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Cosimo Rossi
Massimo Cacciari: «Bush? Rivincita autoritaria dei valori forti»
4 Novembre 2004
2004-Bush II
«L'automatismo tra partecipazione al voto e aumento dei consensi all'area progressista non c'è più. Bush ha mobilitato strati popolari più consistenti di Kerry, superando la contraddizione con gli interessi materiali attraverso il richiamo a valori forti». Da il manifesto del 4 novembre 2004

«Con buona pace di tutti, voto politico e comportamento politico hanno larga autonomia rispetto a interessi materiali e economici». Per Massimo Cacciari questa è l'indicazione di fondo da trarre dal voto presidenziale americano. Perché la sinistra si è convinta troppo in fretta «che la politica si fosse separata dal cielo o dall'inferno dei valori». Che invece si ripropongono «da destra». Tanto che l'automatismo secondo cui l'aumento della partecipazione favorirebbe le aree progressiste è brutalmente scardinato. Dalla «paura».

Il dato più clamoroso è stato che la maggiore partecipazione al suffragio, l'allargamento della democrazia, è andato a favore di Bush anziché di Kerry, come molti si sarebbero aspettati...

I numeri mi sembrano impietosi. La partecipazione più alta è coincisa con una vittoria nettissima di Bush. Tre milioni e mezzo di voti in più, per di più in presenza di un aumento di dieci milioni di elettori nel paese, significano che Bush ha mobilitato anche strati popolari e in modo più consistente di Kerry. Bisognerà vedere quali settori della popolazione sono andati a votare per Bush: probabilmente gli americo-latini, i polacchi... certamente non gli afroamericani. Questo deve comunque far riflettere. L'automatismo tra aumento della partecipazione e voto al centrosinistra non c'è più. E' ora di finirla con i discorsi puramente retorici o ideologici. Anche se dovremmo già essere vaccinati, visto che nel 2001 Berlusconi ci ha battuto proprio tra le classi deboli su un programma di destra ultraliberista.

E in fondo il fenomeno berlusconiano anticipa anche Bush...

Insomma: la capacità di una certa ideologia o certi slogan della nuova destra internazionale nell'acchiappare il voto anche popolare, laddove questo è in palese contrasto con gli stessi interessi materiali di chi vota, è fortissima.

Nel senso che qualcosa di immateriale travalica gli interessi materiali?

Quale interesse può avere un portoricano nella riduzione delle tasse per ricchi? Con buona pace di tutti, voto politico e comportamento politico hanno larga autonomia rispetto a interessi materiali e economici.

La paura invece no?

In questo caso certamente ha contato tantissimo. Su questo ha battuto Bush per tutta la sua campagna: «Io sono il capo». E ha aumentato la deriva plebiscitaria autoritaria. Siamo nel pieno di un'ondata di questo genere: la funzione del capo è sempre più determinante per le scelte politiche dell'elettorato. Questo vale alla grande negli Usa, ma anche qui ci sono esperienze simili. E un'altra cosa fondamentale, sempre con buona pace di tutti, sono i soldi. Averne tanti a disposizione è un'altra delle variabili determinanti: nel mobilitare l'opinione pubblica, nel reclamizzare le idee e renderle senso comune. E la capacità di spesa repubblicana è stata infinitamente maggiore. Ormai è assodato che la disponibilità finanziaria è decisiva. Il che significa una democrazia sempre più oligarchica, condizionata da potentati economici. E in cui di conseguenza l'immagine del capo diventa di nuovo essenziale. E' la paura che porta a esigere il capo e lui rimane tale finché alimenta la paura.

Significa che la paura diventa una contraddizione materiale, forse la principale, da sconfiggere per vincere?

Bisogna sapere in modo disincantato che se il centrosinistra mondiale e la sinistra europea vogliono giocarsela contro questa nuova destra, devono tener conto di questo elemento. La paura materialmente esiste, se è vero che sposta a destra il portoricano povero, il messicano immigrato, quelli che materialmente sarebbero nostri. Bisogna sapere che la politica si porta dentro questa roba. Ci muoviamo in questo mondo, ci piaccia o no. Anche rispetto alla guerra in Iraq dobbiamo aggiornare questo ragionamento, perché fa presa il messaggio «siamo in guerra, allarme arancione». Funziona. E noi dobbiamo rispondere a questa paura, non semplicemente snobbarla e tentare illuministicamente di razionalizzarla coi discorsi. E' un compito difficilissimo, perché la sinistra europea non ha nemmeno gli strumenti culturali per comunicare in questo modo. Neanche Kerry ce li aveva, ed era americano: infatti non è riuscito a battere Bush, ad apparire il capo.

Secondo alcuni Kerry ha perso dentro una radicalizzazione dell'alternanza, altri criticano invece la sua rincorsa sul terreno moderato. Schemi vecchi?

Sì. Ormai il centro è tutto. Dove stanno più gli estremi? Questa geografia politica degli estremi dove per vincere dovevi conquistare il centro, tutta interna allo schema ottocentesco e novecentesco, è sfasciata. Tutte le forze si muovono in un crogiolo che ormai si determina sulla base di occasioni particolari, delle emergenze determinate. E' tutto trasversale. Dov'è il centro negli Stati uniti? Kerry cosa sarebbe, un pericoloso sinistro? Il ragionamento da fare è un altro: come corrispondere a determinate sensibilità, anche psicologiche, dell'opinione pubblica, e rappresentarle. La situazione è in rapidissima trasformazione: non hai più elementi di riferimento di classe, ideologicamente permanenti. E' tutto un mordi e fuggi. Poi avrà giocato a favore di Bush anche un forte richiamo a un ordine valoriale, no? La mobilitazione nei settori evangelici è stata evidentemente formidabile. E' avvenuta sulla base del grande richiamo etico. Anche su questo noi abbiamo sempre una chiave illuministico-razionalistica. Noi diciamo: «Ragioniamo». Lui invece dice: «Credi e segui». Pare sia stato più efficace il suo modo. E' una riflessione che dobbiamo fare bene e con un po' di spregiudicatezza: la sinistra forse troppo rapidamente si è convinta che la politica si fosse separata dal cielo o dall'inferno dei valori. E adesso te li ritrovi tra le palle da destra.

Come il fatto che 11 stati su 11 martedì abbiano detto no ai matrimoni gay...

Questo dovrebbe farci riflettere, anche per venire alle cosucce di casa nostra. Su Buttiglione, ad esempio, credo che i laici di Strasburgo abbiano commesso un errore bestiale. Silurandolo abbiano fatto un enorme regalo all'ideologismo fondamentalista. Non perché dobbiamo inseguire, per carità, ma perché dobbiamo avere anche noi delle proposte di valore, capaci di dare senso. Facciamo sempre discorsi di razionalizzazione, messa a punto, tolleranza, riconoscimeto delle differenze. Mentre il grosso dell'elettorato chiede decisioni, vuol sapere da che parte stai. Forse uno degli elementi di forza di Bush è stato questo: si capiva dove stava. La sinistra è stata per 15 anni portatrice di una visione rassicurante e razionalizzatrice, calcolatrice e amministrativa. Non è questo il modo in cui fanno politica i Bush e nemmeno i Berlusconi.

Rispetto all'irrazionale caccia alle streghe bisogna cioè rispondere «viva le streghe» senza troppe ciance?

Dobbiamo contemperare le due dimensioni, la politica come commisurazione dei mezzi al fine e la sua dimensione di valore e immaterialità. Dobbiamo riconoscere la fondatezza anche della seconda. E' naturale che in una situazione di grande inquietudine ci sia una domanda di rassicurazione, soprattutto da parte dei ceti deboli. E in questa situazione il rischio che prevalgano dimensioni demagogiche popopulistiche aumenta. Ma bisogna sapere che hanno una fondatezza, ragioni oggettive. Non possiamo semplicemente essere quelli che hanno l'aspetto dell'educatore, del razionalizzatore. Può andare bene in epoche tranquille, non in epoche di assoluto casino come quella attuale. Dobbiamo anche decidere, apparire in grado di comandare. C'è poco da fare: l'elemento decisionistico in politica, la sinistra non l'ha mai voluto capire. Guardiamo anche le riforme costituzionali: ogni volta che scatta un'idea decisionistica la sinistra frena. Invece il decisionismo non va necessariamente assunto come deriva populistica. O fronteggiamo anche su questo piano la nuova destra oppure subiremo sconfitte durissime. Pensiamo alla guerra: dopo l'Iraq, dopo 1.500 morti americani, con tutta l'opinione pubblica europea contro, che succede? Che vedi come l'opinione pubblica europea non conti nulla. Lo vogliamo dire anche questo? Sarà un problema anche per noi o lo è solo per loro? Oppure diciamo «che bello che le due sponde dell'atlantico si dividano». E' una tragedia, sai? E dovrebbe indurci ad affrontare anche le questioni internazionali in un modo più attento. Non è un problema di rapporto con Bush, ma con il popolo americano.

Da questo punto di vista non c'è il rischio che la dialettica politica diventi geopolitica, ovvero che si approfondisca una frattura con gli Usa?

La politica con P maiuscola è già geopolitica. Qui si apre un altro problema, che riguarda cosa farà Bush. Ma secondo me non continuerà con l'unilateralismo: sul fronte dei rapporti israelo-palestinesi, ma anche con l'Europa, cambieranno i toni.

Tuttavia la portata del risultato rinfocola gli argomenti di un certo antiamericanismo generalizzatore...

E allora siamo spacciati. L'amministrazione Bush ha dimostrato essere in sintonia con la sua opinione pubblica molto più di quanto non fossimo noi. E allora: modestia e sangue freddo, perché le democrazie oggi corrono davvero il rischio di prendere le derive di cui abbiamo parlato. Quindi registriamoci anche noi prima che sia troppo tardi. Ricordandoci che nel 2006 si vota anche in Italia, per quanto può valere. E che qui abbiamo un esponente non proprio di quart'ultima fila del neoconservatorimso mondale.

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