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Oscar Mancini
Un'altra idea di città: La città amica
29 Settembre 2004
Altre città italiane
Relazione introduttiva al seminario della CGIL, Vicenza, 10-11 settembre 2004. Le ragioni della città e le ragioni del sindacato devono incontrarsi di nuovo

Care/i compagne/i, quando abbiamo annunciato il tema del nostro ormai tradizionale seminario di settembre alcuni compagni mi hanno fraternamente espresso qualche perplessità.

Da un lato la preoccupazione che la materia fosse troppo specialistica e non si prestasse quindi ad essere trattata dai non addetti ai lavori. Dall'altro l'idea che il tema, pur essendo di sicuro interesse culturale, sia però abbastanza estraneo al campo d'azione della Cgil. Affido a Eddy Salzano il compito di fugare la prima preoccupazione. Per quanto riguarda la seconda consentitemi invece qualche rapida considerazione.

Il documento conclusivo del nostro Congresso provinciale affermava autocriticamente che la nostra Camera del Lavoro ha una “scarsa dimestichezza” con il tema della città e dell'uso del territorio. L’ impegno congressuale di lavorare per colmare questa lacuna ha avuto prime risposte nel documento sulla città che abbiamo presentato nel gennaio 2003 e che ha ispirato varie iniziative provinciali e di zona.

Ora ci proponiamo di fare un altro passo avanti cercando di cogliere il nesso tra le politiche per lo sviluppo e il lavoro e il tema della città e dell'uso del territorio.

Nel seminario dello scorso anno con Bruno Trentin e Vittorio Rieser abbiamo analizzato le trasformazioni del lavoro ovvero il passaggio al “nuovo modo di produzione” che definiamo postfordista. Ne abbiamo esaminato le conseguenze dal punto di vista della precarizzazione del lavoro, dell'indebolimento dei diritti e delle tutele, della compressione del costo del lavoro. Oggi ci proponiamo di esaminare l'altra conseguenza di questo “nuovo modo di produzione”, lo sviluppo disordinato generato dalla fabbrica postfordista che esternalizza costi con ricadute pesanti sull'ambiente in termini di:

a) spreco di territorio, squilibrio idraulico, inquinamento dei corsi d'acqua;

b) difficoltà crescenti nello smaltimento dei rifiuti;

c) peggioramento della qualità dell'aria che respiriamo;

d) congestione del traffico;

e) omologazione e spersonalizzazione dei nostri paesi città;

Cosa c'entra tutto ciò con il postfordismo? Nella vecchia fabbrica fordista tutto si faceva in casa. La grande fabbrica segnava anche simbolicamente il territorio: Torino era la Fiat, Olivetti era Ivrea, Marzotto si identificava con Valdagno, la Lanerossi era Schio e così la Pellizzari per Arzignano e le Smalterie per Bassano.

Il postfordismo è il rovesciamento di questa impostazione. Conviene esportare fuori dalla fabbrica una serie di funzioni, si risparmia. È una corsa alla riduzione delle dimensioni produttive, la fabbrica snella tende a procurarsi all'esterno ciò che prima produceva all'interno. Nasce così l'impresa a rete, il lavoro si disperde nel territorio e così nascono come funghi i capannoni che si mangiano il territorio.

Prima le reti sono corte, distrettuali, oggi le reti diventano sempre più lunghe, tendono a stendersi ed articolarsi su scala planetaria, connettendo segmenti di produzione, saperi tecnologici e reti commerciali dislocate magari in continenti diversi. La fabbrica just in time elimina il magazzino, il magazzino viaggia sulle nostre strade congestionate. Il cambiamento reso possibile dalla rivoluzione delle nuove tecnologie dell’ I.C.T. che velocizzano le comunicazioni e dalla ricerca del capitale di luoghi di produzione a minor costo del lavoro (Samorin/Cina).

Ma le merci non viaggiano via satellite e neppure attraverso le fibre ottiche. Ecco che allora il nuovo modo di produzione genera una mobilità esasperata e multidirezionale delle merci e delle persone, generalmente su gamma e quasi sempre su mezzi privati da un punto all'altro di un sistema insediativo disperso nel territorio.

Il traffico è sempre più congestionato. Di qui la richiesta di nuove autostrade che si mangiano un'altra fetta di territorio. Capannoni e strade impermeabilizzano il territorio, rallentano la ricerca delle falde acquifere, provocano esondazioni dei corsi d'acqua.

Si affermano nuovi modi di costruire. Prendiamo ad esempio la Statale 11 verso Montecchio Maggiore ed oltre. Essa è diventata una strada-mercato, una successione lineare di fabbriche ed edifici mostra. Più in generale, quello che un tempo era campagna è diventato un paesaggio reticolare della piccola impresa disseminato di case laboratorio. Nuovi monumenti suburbani crescono come funghi, sono i centri commerciali che sostituiscono le vecchie piazze cittadine.

Insomma, per farla breve, il paesaggio urbano che avanza prepotentemente e sembra quasi un fiume inarrestabile, è il paesaggio reticolare della città diffusa, insieme rurale e urbana, ma credo che a Eddy non piaccia questa definizione, credo anch'io sia più corretto parlare di città dispersa.

In sostanza un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi. Un ambiente vissuto in modo sempre più alienante soprattutto da parte delle nuove generazioni. Noi siamo abituati ad affrontare questi problemi in modo settoriale, ovvero non sistemico. Se c'è un problema di traffico la soluzione è semplice: facciamo una nuova strada, meglio se autostrada.

Scrive un grande urbanista: " l'errore più grave è quello di pensare di risolvere un problema così grave come quello del traffico isolandolo dal più generale contesto della pianificazione urbanistica territoriale”. Appunto, la pianificazione urbanistica è mancata nel Veneto e i risultati sono sotto i nostri occhi.

Il territorio è stato trasformato dagli spiriti animali del capitale. Oggi anche la parte più avvertita della classe dirigente vicentina si rende conto che occorre mettere un freno a questo sviluppo disordinato, ma le soluzioni proposte sono solo delle toppe.

Occorre invece pensare ad una riorganizzazione complessiva e organica del territorio, che riduca la dispersione delle attività produttive, commerciali e residenziali; che punti al trasporto collettivo delle persone e a soluzioni logistiche adeguate. E’ il tema che ci illustrerà Marco Guerzoni domani mattina.

Tutto ciò è necessario ma non basta. Occorre connetterlo con l’idea di uno sviluppo più qualificato capace di competere nella fascia alta ed innovativa delle produzioni e, di conseguenza, in grado di generare lavoro qualificato, di sostenere più elevati livelli salariali e migliori condizioni di lavoro. Questo tipo di economia è anche più rispettosa dell’ambiente, meno “energivora”. Per questa via passa anche il tema della riconversione ecologica dell’economia di cui ci parlerà Salzano.

Proviamo invece a vedere cosa succede a Vicenza, Vicenza città capoluogo. A Vicenza manca il PRG. Nessuno sa che fine ha fatto il piano Crocioni, costato un paio di miliardi di vecchie lire. Nel contempo apprendiamo, senza che ciò provochi particolare scandalo in città, che il Sindaco e i vari amministratori adattano gli strumenti urbanistici alle pretese di vari operatori privati interessati ad edificare migliaia di metri cubi. E tutto ciò indipendentemente dalle reali esigenze della città.

E così nascono astruse sigle, il Piruea ( ex Cotorossi) per 218.000 mq, lo giustificano con l’esigenza del nuovo tribunale, ma esso riguarderebbe poco più di un quarto della superficie. Il resto è suddiviso tra direzionale, commerciale, residenziale. La stessa logica vale per il nuovo stadio Menti, per l’ex Lanerossi, per la Cittadella dello Sport e via dicendo.

Dalla semplice somma di questa ed altre iniziative dalla scarsa trasparenza emerge la ragguardevole cifra di 1 milione di mq di nuova edificazione da realizzarsi con la deprecabile modalità dell’urbanistica contrattata. Una follia per una città di poco più di 100.000 abitanti. Il nostro obiettivo è invece recuperare qualità urbana e sociale.

Cosa è accaduto in questi anni a Vicenza?

La prima dinamica. La città si allarga perché tanti vicentini vanno a vivere nei comuni della provincia. I motivi di questa fuoriuscita vanno ricercati in primo luogo nell’elevato costo degli affitti e delle case e nella ricerca di una qualità della vita urbana migliore che si trova nei comuni della cintura. La fuga dalla città ha effetti sul sistema territoriale che si misurano in una esponenziale crescita della mobilità privata e sul sistema cittadino con un allentamento dei legami sociale e dell’identità dei luoghi con una tendenza all’isolamento che riduce la socialità.

La seconda dinamica. Vicenza e la sua provincia in questi anni sono diventate più ricche grazie all’eccezionale crescita dell’economia e, in particolare del settore industriale. Gli insediamenti produttivi e terziari hanno consumato il territorio. L’assenza di un adeguato governo del territorio e delle sue trasformazioni, lasciate alle spontaneità degli spiriti animali, ha però determinato quell’ambiente urbano a marmellata, sempre più privo di identità e memoria dei luoghi, di cui abbiamo già parlato.

La terza dinamica. I trend demografici mostrano che nel prossimo decennio avremo una diversa composizione anagrafica con un aumento delle fasce di popolazione costituite da bambini e anziani e di “ immigrati extracomunitari”.Il futuro richiede quindi più Welfare e quindi maggiore impegno da parte dell’amministrazione pubblica. Se tale impegno non dovesse esserci lo scenario futuro potrebbe riservarci situazioni di emarginazione sociale e la creazione di quartieri monoculturali ed etnici. La risposta della giunta Hullweck di tenere fuori dalla città i migranti e i ceti poveri è pericolosa perché è l’antitesi dell’integrazione necessaria al nostro sistema produttivo. Quando i luoghi di lavoro sono lontani dai i luoghi dell’abitare e a loro volta sono lontani dai luoghi dei sevizi e della socialità si perde gradualmente l’identità sociale di una comunità e la sua coesione sociale.

Dunque, qualità urbana e qualità dello sviluppo devono connettersi alla qualità sociale, ciò significa affrontare il tema dei servizi collettivi, del Welfare locale sempre più minacciato dai tagli del governo e della Regione.

Il nostro obiettivo è recuperare qualità urbana e sociale. Quanto della qualità sociale dipende anche dalla qualità urbana? Lo chiedo al Compagno e al Prof. Edoardo Salzano.

Noi ci riconosciamo in quello che egli ha scritto con grande efficacia. “Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo d’incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva ed i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti.

La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale.

E’ una visione che tradotta nel nostro linguaggio più consueto si propone di affermare il diritto all’ambiente, alla mobilità, alla casa, al lavoro, alla salute, all’istruzione e poi anche opportunità formative e culturali.

Per questo abbiamo promosso questo seminario e chiesto ad Edoardo Salzano, a cui tra un attimo cedo la parola, di alfabetizzarci su una materia della quale abbiamo “scarsa dimestichezza” ma al contempo anche la consapevolezza che essa è essenziale per la nostra azione politica e sindacale.

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