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Vittorio Gregotti
Ma il futuro di Milano non sarà nei grattacieli
21 Luglio 2004
Milano
Una iniziativa sbagliata in partenza, una decisione solo di convenienza economica, un progetto bruttissimo: questa l'opinione espressa sul Corriere della sera del 6 luglio 2004

Si è concluso da qualche giorno il concorso per l' area centrale della Fiera di Milano, che verrà abbandonata alla data del compimento della nuova sede in costruzione nel Nordovest di Milano. Si tratta di uno degli episodi più tristemente significativi della bassa condizione in cui vive la cultura architettonica milanese, italiana e, in parte, anche internazionale. Il concorso è stato vinto dal gruppo finanziario-assicurativo formato da Generali, Sai e Ras, tra sei concorrenti, dai quali ne erano stati scelti tre. Scrivo del gruppo finanziario vincitore perché i nomi e i progetti degli architetti chiamati dai vari gruppi a collaborare non hanno contato quasi nulla. Ha contato solo l' offerta economica e l' affidabilità finanziaria con cui il vincitore ha superato gli altri concorrenti.

Il progetto peraltro era nato sin dall' inizio con i peggiori auspici. Densità eccessive, scarsi spazi verdi, ampia apertura alla monetizzazione degli standard del piano, tutti elementi contro i quali erano mosse osservazioni e ricorsi sinora rimasti inascoltati. I progettisti, buoni o meno buoni, scelti tra i nomi più alla moda e sovente assai lontani dalle specifiche questioni locali, sono stati comunque utilizzati come specchietti per le allodole così come i consulenti esterni (sociologi, economisti, storici, trasportisti) il cui parere è rimasto a livello del tutto accademico. La commissione giudicatrice di un concorso dall' evidente importanza urbana era formata solo dai componenti del consiglio di amministrazione dell' ente banditore. Il disprezzo per la cultura architettonica non potrebbe essere più ampio. Naturalmente sul piano giuridico l' Ente Fiera è un privato che si comporta come meglio crede. Toccherebbe piuttosto all' autorità comunale dare il giudizio sulle qualità e opportunità pubbliche del progetto vincitore: ma questo è impossibile che avvenga con la necessaria distanza critica essendo il Comune di Milano coinvolto politicamente ed economicamente nell' affare sin dall' inizio. Ma vi sono due altre questioni. La prima è la morfologia del progetto vincitore: il progetto vincitore sembra la rappresentazione dell' «horror-show» omologato dalla opinione corrente dei gusti di massa. Che si trattasse di grattacieli nessuno aveva dubbi, date le barzellette su Hyde Park (su cui peraltro non affacciano grattacieli) e il provincialismo della cultura milanese che vede ancora, dopo un secolo e mezzo dal proprio apparire, negli edifici alti un segno di modernità e il simbolo di orgoglio cittadino, anziché una qualunque delle possibili soluzioni tipologiche dell' abitare.

Le seconda questione è quella del valore puramente mediatico dei protagonisti vincitori apparenti, evidente omaggio all' indifferenza globalista dei contesti culturali. Non voglio certamente fare appello a dazi culturali di stampo nazionalista, ma perché le équipes scelte sono quasi tutte di architetti non italiani? La risposta potrebbe apparentemente essere semplice e cioè che architetti buoni in Italia ce ne sono ben pochi; ma forse le cose sono più complicate di così. La questione della prevalenza degli stranieri (alcuni fra loro, intendiamoci, sono ottimi architetti) nei concorsi italiani degli ultimi anni è impressionante. A Milano vi sono casi clamorosi come quello del mediocre progetto olandese scelto per la nuova biblioteca o quello, non certo brillante, scelto per la sede della Regione Lombardia, mentre per la stazione dell' alta velocità di Firenze è stato scelto l' ottimo Foster e per Napoli il discutibile progetto della simpatica Zaha Hadid: una «vera artista». E l' elenco potrebbe continuare a lungo. I concorsi internazionali fanno parte della storia della modernità anche se sovente essa ne è uscita sconfitta. Ma in quegli anni almeno i concorsi internazionali erano un momento significativo dello stato della cultura architettonica e non solo un confronto professionale o di mercato urbano come oggi. Va confermato subito che le partecipazioni internazionali sono un fatto assolutamente positivo anche se la reciprocità fra le varie comunità europee non è così frequente e negli Stati Uniti i concorsi pubblici sono rarissimi. Le cause del fenomeno dei concorsi italiani sono più complicate e nello stesso tempo più modeste. Vi è naturalmente una componente di superficiale snobismo che deriva però, in generale, dalla scarsa competenza specifica di chi sceglie. Un fattore che io spero minore (anche se presente) è anche la discriminazione politica. Ciò che conta veramente è che la scelta della «vedette» straniera permette di non prender partito nel dibattito intorno alla cultura architettonica o, meglio, permette di mettersi al riparo dalle critiche locali e di fare alla fine una scelta architettonica il più possibile astratta e alleata con le mode estetiche del momento nella speranza del consenso di massa. Naturalmente gli architetti stranieri conoscono bene questa situazione a loro favorevole e cercano di utilizzarla, anche se questo li spinge talvolta a considerare, con eccessiva disinvoltura, l' Italia un Paese coloniale. La cultura architettonica italiana ha certamente molti vizi, ma non sono pochi i talenti tra le giovani generazioni in grado di assumere le responsabilità di una tradizione con la coscienza di tutte le sue contraddizioni: almeno a questo dovrebbero servire i grandi concorsi. Vittorio Gregotti Tre giganti, un parco e un museo Tre grattacieli, abitazioni, un parco e il Museo del Design: tutto questo troverà posto nell' area dell' ex Fiera Campionaria di Milano. Il cantiere prenderà il via solo nel 2006, dopo che l' intera area sarà stata «liberata». La cordata CityLife si è aggiudicata la gara con un' offerta di 523 milioni di euro. L' investimento globale previsto sarà di oltre un miliardo e mezzo di euro. Il cantiere avrà un' ampiezza di 255 mila metri quadrati; l' area potrà accogliere 15 mila persone. Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid, Pier Paolo Maggiora sono i progettisti dei tre grattacieli: la «vela» (170 metri) è firmata da Libeskind, il grattacielo «attorcigliato» (185 metri) da Zaha Hadid e quello «modulare» (215 metri) da Isozaki

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