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Alberto Vitucci
Povera Italia così maltrattata
20 Marzo 2004
Recensioni e segnalazioni
Alberto Vitucci recensisce sulla Nuova di Venezia e Mestre il libro di Francesco Erbani, L’Italia Maltrattata.

E’ la storia dell’Italia maltrattata. Di un Paese che per rincorrere lo sviluppo e la «modernità» ha finito per consumare buona parte delle proprie ricchezze naturali e del suo territorio. E costruire mostri di cemento, interi villaggi abusivi sulle coste, villette e orribili capannoni industriali che occupano ogni centimetro libero della pianura veneta senza alcun criterio. Il boom edilizio del dopoguerra, la fame di case popolari degli anni Settanta e Ottanta, i condoni. E poi le nuove parole d’ordine: fare presto, costruire, togliere vincoli e impedimenti, modernizzare l’Italia. Non è soltanto un libro scritto bene, quello curato da Francesco Erbani ed edito da Laterza. «L’Italia maltrattata» è un saggio sulla cultura - e l’incultura - del BelPaese che tutti farebbero bene a leggere. Allievo di Antonio Cederna e Antonio Iannello, giornalista di Repubblica e scrittore, Erbani è uno degli ultimi esempi di quel «giornalismo civile» molto poco di moda. Che preferisce denunciare piuttosto che magnificare. Andare controcorrente invece che per prendere per buone le versioni del potente di turno. Il suo volume ripercorre la storia edilizia d’Italia degli ultimi cinquant’anni.

Con otto storie esemplari dei maltrattamenti subiti dal territorio, raccontati con lo stile giornalistico dei reportage e l’intensità del romanzo. Il villaggio Coppola di Caserta, otto enormi casermoni da dodici piani (un milione e mezzo di metri cubi di cemento, 650 appartamenti) in riva al Volturno, tirati su senza lo straccio di una licenza edilizia. La Valle dei Templi assediata dai palazzoni e dalle villette spuntate dalla sera alla mattina, il parco di Palermo e il terremoto dell’Irpinia, occasione per rifare tutto nuovo ma terribilmente anonimo. E poi la «Villettopoli» del Nord Est, come la definì l’urbanista Pieluigi Cervellati, Venezia alle prese con le grandi opere (Mose e sublagunare) e la sempre più rapida trasformazione degli appartamenti in alberghi, pensioni, bed and breakfast che ne accelera l’espulsione degli abitanti. Negli ultimi cinquant’anni sono stati edificati i nove decimi dell’intero patrimonio abitativo italiano, mentre la popolazione in questo mezzo secolo è aumentata soltanto del 20 per cento. Si è scelto quasi sempre - spesso per motivi unicamente speculativi - la nuova edificazione invece del restauro conservativo, il cemento al posto dei mattoni. Un consumo del territorio che non ha eguali in Europa, che ha provocato uno stravolgimento di luoghi unici e delicati.

«Senza guerre, eruzioni, invasioni barbariche», scrive Erbani, «il paesaggio ha cambiato volto. La conservazione ha lasciato il posto alla cementificazione. Negli ultimi dieci anni tre milioni di ettari di terreno sono stati sottratti all’agricoltura, centomila soltanto in Campania». «Qualcosa come due regioni intere urbanizzate spesso senza Piano regolatori o con costruzioni abusive. «Significa tra l’altro», dice Erbani, «rendere i suoli non più permeabili. Così arrivano le alluvioni, sempre più frequenti». Il saccheggio non si ferma, e i condoni lo incoraggiano. La costruzione di edifici abusivi, annota Erbani, subisce un’impennata in coincidenza dei provvedimenti di condono edilizio. Che nelle casse dei Comune portano sempre meno risorse di quelle necessarie per urbanizzare il territorio dove sorgono le opere «condonate». Nel solo 2002 sono state 30.821 le case abusive edificate. di cui il 55 per cento nelle quattro regioni del Sud che ne detengono il record; Campania, Sicilia Puglia, Calabria. 232 mila sono le case edificate dopo l’ultimo condono.

Anche il ricco Nord Est fa la sua parte. Con la trasformazione della pianura in una sequenza di villette con taverna («I veneti sono diventati un popolo di tavernicoli», dice Marco Paolini nei suoi spettacoli), capannoni, svincoli, cemento. Trionfa la cultura degli ipermercati, più che raddoppiati negli ultimi anni. «Non luoghi» che ormai segnano la campagna veneta come un tempo lo facevano chiese e campanili. La monumentale Venezia non fa eccezione. Qui la trasformazione riguarda gli appartamenti, che a ritmo ormai frenetico diventano pensioni, affittacamere e bed and breakfast. Mentre l’attenzione di chi governa è spesso concentrata ad omologare la città d’acqua a tutte le altre. Progettando grandi dighe come il Mose invece di fermare il dissesto della laguna e sperimentare opere compatibili, ripescando idee di metropolitane subacquee già bocciate dieci anni fa, sostituendo i materiali tradizionali (mattoni, trachite e pietra d’Istria) con il finto marmo, il cemento e le lastre tagliate a macchina. I freni sono stati tolti, annota Erbani, e da più parti si intensificano gli attacchi alla pianificazione urbanistica, unico strumento capace di armonizzare le esigenze dei privati con quelle della collettività. Legge obiettivo, conferenza dei servizi e svuotamento di competenze in materia ambientale stanno dando un’ulteriore spinta alla «deregulation». L’Italia è sempre più maltrattata e gli speculatori ringraziano. Anche la stagione delle demolizioni, avviata da qualche sindaco coraggioso sembra ora destinata a fermarsi. Mentre le grandi opere, e la nuova stagione del cemento, dice Urbani, procede a ritmo forsennato. Un libro ispirato da un «ragionevole pessimismo», conclude Erbani, «che non deve però indurre allo scoramento».

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