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Alberto Statera
Cagliari sotto assedio tra banche e mattone
16 Marzo 2007
Altre città italiane
Le quattro M che dominano: Mattoni, Medici, Massoneria, Militari. Da la Repubblica del14 marzo 2007

Nessuno saprebbe dire se è un concetto filosofico, un istituto giuridico, un topos geografico, una categoria dello spirito, una patologia isolana o l’Araba Fenice. Ma qualunque cosa sia, la «Continuità territoriale» agita – eterna croce e delizia – i sonni dei sardi. Arrivi al desk Alitalia di Fiumicino e cominci a capire il perché.

Il sindaco forzista spera, nel 2009, di poter succedere a Renato Soru

Chiedi gentilmente di imbarcarti per Cagliari, esibendo il numero del tuo regolare biglietto elettronico Alitalia, ti guardano come un minus habens e ti spediscono a Meridiana, la compagnia di Karim Aga Khan, da dove, con sguardo di compatimento, ti rispediscono all’Alitalia, in un balletto che farebbe infuriare non un sardo «fumino», come dicono i pisani, ma un flemmatico britannico. Anche l’Inghilterra è un’isola e non ci puoi andare in bicicletta, ma la British Airways ti ci porta da quando esiste l’aviazione civile senza farla tanto lunga. L’Alitalia di Giancarlo Cimoli, invece, quando l’anno scorso ci fu la gara per l’assegnazione delle tratte sarde, dice di essersi distratta un po’ e di aver dimenticato di partecipare, lasciando sole Meridiana e Air One, che però non avevano aerei sufficienti. Per cui il governatore Renato Soru, che - pur nato figlio di un edicolante a Sanluri ai bordi delle mammellose colline della Marmilla - è uno di quei sardi che amano le valli interne e sono capaci di terribili ire fredde, si è dovuto sbattere da pazzi per tentare di risolvere alla meglio il problema.

Quando finalmente ci fanno sbarcare a Cagliari per la modica somma di 148 euro, solo andata, Soru lo troviamo proprio in una di quelle giornate di rabbia fredda che ben conosce Luigi Pomata, lo chef preferito dal coté di potere cagliaritano, tornato in città dopo aver lavorato a New York a «Le Cirque» di Sirio Maccioni. Da quando due anni e mezzo fa è stato eletto presidente della Regione autonoma della Sardegna, l’uomo che inventò Tiscali e cominciò a dare gratis Internet, che è un capitalista ma cita Gramsci, si è battuto per sfrattare dall’isola i sottomarini nucleari americani e liberarla almeno da una parte dalle asfissianti servitù militari. Ci è riuscito, gli americani se ne andranno dalla Maddalena nel 2008, come promesso. Ma adesso sono le «lobby militari italiane», come le chiama, a non voler schiodare, nonostante l’accordo politico già siglato. In una riunione tecnica al ministero della Difesa, retto dai corregionali Arturo Parisi, ministro, e Emidio Casula, sottosegretario, l’ammiraglio Paolo La Rosa, capo di stato maggiore della Marina, ha dichiarato con militaresca fermezza che non molleranno mai non solo il deposito munizioni della Maddalena, il più grande d’Italia, Punta Rossa, dove si fanno le esercitazioni degli incursori, Capo Frasca, Teulada e Capo Marrargiu, dove aveva sede «Gladio», l’organizzazione che, complice Francesco Cossiga, doveva salvare l’Italia da un eventuale attacco comunista, ma neanche le spiagge occupate dagli «Ops». Che cosa sono gli «Ops»? Sono gli Organismi di Protezione Sociale, che, tradotto in italiano, significa le case di vacanze estive dei militari, dei dignitari ministeriali e dei loro cari. Altro che gli americani a Vicenza, la caserma Ederle e l’aeroporto Dal Molin. A Cagliari non c’è il Palladio, ma c’è quella che il governatore definisce «l’occupazione militare delle spiagge più belle del mondo». Mille ettari in tutta la regione, 120 solo nel capoluogo, con 42 immobili cittadini, a cominciare dall’immensa caserma Ederle - lo stesso nome di quella di Vicenza - a Calamosca.

Cagliari città delle «Tre Emme» - medici, massoni e mattoni - si è sempre detto, trascurando colpevolmente la quarta emme, quella dei militari. I medici cagliaritani sono vivi e vegeti, controllano la sanità privata, sono i padroni delle cliniche. Uno di loro, Emilio Floris, è il sindaco forzista di Cagliari.

Figlio di Mario Floris, vecchio vicesindaco democristiano soprannominato «Marpio», che controllava gran parte della sanità privata, Emilio è anche lui un perfetto democristiano, che con l’acuminato governatore mantiene un buon rapporto, sperando di succedergli nelle elezioni regionali del 2009, se Berlusconi ci sarà ancora e se punterà su di lui, e non magari sull’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, dopo la tragicomica esperienza di Mauro Pili. Pili era quel ragazzone berlusconiano che trescava con l’ex ragazza demichelisiana, l’opima Anna La Rosa televisiva, e che, diventato presidente della Regione, inaugurò il suo mandato leggendo lo stesso discorso che Roberto Formigoni aveva fatto all’insediamento in Lombardia. Fu scoperto per una piccola distrazione, perché parlava della sua regione come della regione nord-occidentale più industrializzata d’Italia, con un numero di province che purtroppo in Sardegna non tornava proprio. L’Antonio La Trippa del principe De Curtis - vot’Antonio, vot’Antonio! - al giovane Pili faceva un baffo.

Se i medici sono in salute, non si può dire lo stesso dei massoni, che pure tradizionalmente con i «clinicari» s’identificavano. Ora si riuniscono tristemente il lunedì sera da Beppe al Flora, in via Sassari, convocati da Francesco Puxeddu, ex presidente dell’Ersat, accusato anni fa di aver maneggiato una tangente del figlio di Claudio Abbado per cedere un terreno pubblico adiacente alla villa algherese del maestro. Altri tempi quelli in cui il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, la massoneria di Palazzo Giustiniani, era Armandino Corona. Ex presidente regionale, lamalfiano, spadoliniano, Armandino, il «risanatore» massonico dopo il ciclone della P2 di Licio Gelli, era anche lui proprietario di cliniche, ma soprattutto era il grande mentore del potere cagliaritano, delle nomine, degli affari immobiliari e non. Oggi, ultraottantenne, vive defilato e tristissimo in lite con i figli per la gestione dell’ingente patrimonio familiare.

In compenso, la terza emme, quella dei mattoni, impazza, pur dovendosela vedere con il governatore Soru, che della difesa ambientale ha fatto la sua cifra politica, varando tra mille polemiche il suo piano paesaggistico. Sta vedendo i sorci verdi Gualtiero Cualbu, di amicizie trasversali, comprese quelle con il presidente della Provincia di Cagliari, il diessino Graziano Milia e con l’ex ministro lombardian-craxiano Giovanni Nonne, che stava colando cemento sul Colle di Tuvixeddu, la più importante necropoli punica del Mediterraneo, prima di essere fermato da Soru. Sergio Zuncheddu, palazzinaro di Burcei proprietario dell’«Unione Sarda», il quotidiano cagliaritano che acquistò per un centinaio di miliardi da Niki Grauso, e comproprietario con Veronica Berlusconi del «Foglio» di Giuliano Ferrara, sta spargendo cemento anche lui al centro di Cagliari e aveva la promessa che i suoi palazzi sarebbero stati acquistati dalla Regione. Ma Soru si è messo di traverso ed è ricambiato quotidianamente dagli attacchi del quotidiano cagliaritano, l’unico giornale italiano che ha un ex direttore affidato ai servizi sociali per reati patrimoniali. Lo attaccano tutti i giorni direttamente o per l’interposta persona del suo direttore generale Fulvio Dettori, docente di Diritto costituzionale regionale e figlio di un antico e stimato presidente democristiano della Regione, per una gara da 60 milioni di euro in tre anni vinta dalla Saatchi & Saatchi, che ha precedentemente lavorato per Tiscali, sulle tasse sul lusso, sul conflitto d’interessi, sugli ospedali cittadini, che vuole dismettere per destinarli ad altri usi e per costruirne uno tutto nuovo, sul progetto del grande museo nuragico da realizzare per risanare l’area degradata di Sant’Elia. Anche Roberto Colaninno, l’uomo della scalata a Telecom della razza padana, ha esigenze cementifere a Is Molas, un complesso turistico-sportivo a due passi da Cagliari, e si sente ripetere dal governatore che non si può andare avanti con «una grande ricchezza di tutti usata solo da pochi». E c’è persino il rettore dell’Università Pasquale Mistretta, ingegnere, che ha una passione per gli immobili: ne compra, ne vende, ne affitta, costruisce nei giardini.

«Macché cultura, Gramsci si rivolta nella tomba, macché industriali, macché capitani coraggiosi, qui abbiamo solo palazzinari non propriamente coraggiosi e una nuova borghesia mercantile proveniente dai paesi, abbiamo gente che preferisce sfruttare il bene pubblico piuttosto che investire nell’industria», provoca il governatore. Non più le grandi famiglie borghesi, ma i re dei supermercati, i Murgia, i Pilloni.

E gli industriali, quei pochi che ci sono, offesi, gli rispondono per bocca del loro presidente Gianni Biggio, titolare di una piccola agenzia di «transhipment», con un sondaggio tra gli iscritti che giudica la politica di Soru «largamente inadeguata».

Come collocare, tra tante emme, Niki Grauso, discussa e nervosa star cittadina, inventore di Videolina, ex padrone dell’Unione Sarda e ora dei quotidiani gratuiti «E Polis», di cui sostiene di distribuire nelle città italiane un milione e più di copie? L’uomo è genialoide e spesso avventuroso, come dimostrò nella mediazione che tentò di fare nel rapimento di Silvia Melis, ultimo dei grandi rapimenti sardi, perché - questo è un fatto - dopo il suicidio del giudice Lombardini e la misteriosa mediazione di Grauso, in Sardegna non ci sono più stati grandi sequestri.

Venduta a Giorgio Mazzella, presidente del Credito industriale sardo, oggi proprietà di Banca Intesa, la sua villa in viale Trento, dove si mangiava su piatti di cristallo poggiati su un tavolo di cristallo, avendo l’impressione che le pietanze levitassero nel vuoto, Grauso era scomparso da Cagliari, si dice per lidi libanesi. Ora è tornato, ha riportato le sue società a Cagliari per poter ottenere 3 milioni di euro di finanziamento dalla banca regionale Sfirs, presieduta dal sociologo Gianfranco Bottazzi. Mauro Pili, quell’ex presidente berlusconiano un po’ debole in geografia, ha fatto fuoco e fiamme, accusando Soru di proteggere Grauso, uomo della sinistra. Figurarsi. Che c’è mai di sinistra a Cagliari? «Assolutamente niente», secondo il vecchio dirigente comunista Andrea Raggio. «C’è solo una combinazione tra presidenzialismo forte e politica debole». Che piace, paradossalmente, a Rifondazione Comunista, come ci racconta Luigi Cogodi, nato in un paese vicino a quello di Emilio Lussu, detto Gigi il Rosso non solo per i capelli rossi, ma da quando, giovane assessore regionale all’Urbanistica con il presidente sardista Mario Melis, fece abbattere dalle ruspe in Costa Smeralda la villa miliardaria appena costruita da Antonio Gava, allora capo della Corrente del Golfo e potentissimo ministro democristiano. «Soru - giura Cogodi - è una contraddizione positiva, più illuminista che illuminato, è un uomo che fa una politica in una prospettiva di progresso con un taglio non direi dittatoriale, ma manageriale».

Anche Gigi il Rosso, oggi deputato di Rifondazione, naturalmente, soffre del terribile, trasversale chiacchiericcio cagliaritano. Raccontano di quel giornalista dell’»Unione», oggi suo braccio destro in Consiglio comunale, che era accreditato come il confidente di Niki Grauso nel controllo dei colleghi dell’Unione Sarda.

«Le banche, guardiamo alle banche che comandano da fuori», fa il governatore capitalista osteggiato dai partiti, che nel 2009 vorrebbero liberarsene. Una, il Cis, Credito industriale sardo, è ormai governata da Milano, l’altra, il Banco di Sardegna, nell’orbita della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, con Natalino Oggiano, ex direttore dell’Antonveneta ai tempi di Silvano Pontello, che oggi passa le carte bolognesi. «Io - rivendica Mariotto Segni, l’uomo che con l’elezione diretta dei sindaci ha cambiato di fatto i pilastri della politica italiana - sono stato un fiero avversario della gestione politica delle banche fatta dalla Democrazia cristiana, ma oggi devo dire che il Banco di Sardegna democristiano dei Giagu De Martini era migliore di quello di oggi ai fini locali». E’ nata da poco la Banca di Cagliari, creatura della famiglia Randazzo, padre, figli e discendenti vari, messa in piedi dalle cooperative rosse e dall’Aias, l’Associazione che dovrebbe assistere i portatori di handicap. Soldi pubblici, commistione di affari e politica, trasversalismo, quello che Cogodi chiama il potere che «veste pubblico e opera privato». Come quello di Sandro Usai, presidente da antiche ere del Consorzio di sviluppo industriale e quello di Nino Granara, presidente del porto, autori della grande incompiuta, costata centinaia di miliardi di lire, del canale navigabile. Un’incompiuta che ha favorito in Calabria il successo del porto di Gioia Tauro, che sembrava all’inizio la peggiore cattedrale nel deserto d’Italia.

Si chiama Bètile la scommessa della Cagliari di Soru, che vorrebbe fare a meno delle quattro emme, integrate dalla B delle banche, dalla C dei comitati d’affari e dalla P dei poteri collaterali. Bètile è un idolo sardo di pietra, ma nella testa di Soru è un grande museo dell’arte nuragica e contemporanea, che spazierà dai bronzetti che colpirono Picasso, alla ricerca artistica attuale del Mediterraneo e del Nord Africa, in un bianchissimo palazzo a vela già progettato dall’architetta irachena Zaha Hadid. «Cagliaricentrismo autolesionista» per la Sardegna, divina il sassarese Mario Segni, mentre la sua capitale del nord, in passato produttrice di classi dirigenti, perde posizioni a favore di Olbia. Soru, l’unico vero potere che resta, che comanda ma non è detto che governi, prepara, secondo lui, una Sardegna semispopolata, che fra trent’anni avrà poco più di un milione di abitanti, di cui 500 mila sul polo metropolitano di Cagliari. Se bastasse il sogno di Bétile, della Bilbao sarda, vagheggiata dall’uomo di Tiscali a salvarla...

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