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Giuseppe Barbera
L'assalto all'ultimo verde della città
5 Luglio 2006
In giro per l'Italia
“Chi se ne frega avranno pensato i consiglieri comunali: noi non ci saremo”, da la Repubblica, edizione di Palermo, 4 luglio 2006

Negli ultimi 50 anni Palermo ha triplicato la superficie costruita. Nel 1955 la città urbanizzata copriva 2.228 ettari, nel 2002 è cresciuta fino a 6.163 e, da allora, un centinaio di ettari di asfalto e cemento si è ancora aggiunto. Le aree verdi coprono ormai meno dell5percentodellapianu-ra che ospita la città. La mitica Conca d'oro è ridotta a pochi brandelli. Gli studiosi di ecologia rabbrividiscono al vedere le mappe dell'espansione urbana e a leggere gli indici che ne definiscono la sostenibilità ambientale. Chiusa dal mare e da un circuito di monti, Palermo ha largamente superato ili-miti della sua impronta ecologica, sembra—lo dicono i dati scientifici — prossima al collasso. Oltre ai dati parlano i fatti. La periferia urbana — quella che in Europa chiamano «paesaggio supermarket» per il contenere, l'uno accanto all'altro ma in un ben ordinato disegno urbanistico, abitazioni, aree agricole, piccole industrie, centri commerciali, parchi — è ridotta a «paesaggio discarica», dove gli usi e gli abusi più disparati, nel caos e nel degrado, si contendono il poco spazio ancora disponibile. Poi, improvvisamente, una discarica abusiva p rende fuoco e una nube tossica si espande nera sulla città e nei nostri polmoni. Carica di diossina (annuncio di quella quotidiana somministrazione che ci attende con l'inceneritore di rifiuti di Bellolampò) si miscela con le polveri sottili e gas inquinanti che quasi quotidianamente superano la soglia prevista dalla legge, incuranti di ridicole misure di contenimento come le targhe alterne due pomeriggi la settimana, che nessun esperto di inquinamento atmosferico potrebbe mai considerare efficaci. I boschi sulle montagne della città bruciano; il vandalismo e la speculazione le innesca e le temperature torride partecipano all'espandersi degli incendi.

I cambiamenti climatici in atto ci dicono che andrà sempre peggio, le temperature saliranno, gli incendi saranno sempre più probabili, l'aria che respiriamo sempre peggiore. L'incremento dell' effetto serra porterà con se anche l'intensificarsi dei fenomeni temporaleschi di lunga e intensa durata. Le pendici delle montagne povere di boschi, ma ricche di villini e di strade, non assorbono più l'acqua piovana che a velocità si dirige verso la città: questo inverno, l'alluvione del Papireto ha ricordato le disastrose inondazioni degli anni Trenta, quando una città che allora potevamo definire normale in termini ambientali patì disastrosamente un evento piovoso eccezionale. Figuriamoci cosa succederebbe ora al ripetersi di piogge altrettanto intense.

Il quadro è desolante. Le ragioni per cui tutto questo avviene chiare e inconfutabili. Dice una legge della fisica che là dove si trasforma energia, e le città sono i luoghi dove per unità di superficie questo avviene in maggiore misura, si producono inevitabilmente scorie, inquinamento. Le sole aree che svolgono azione positiva sono quelle verdi, animate dall'energia solare pulita: una città dovrebbe quindi mantenere al suo interno e al suo intorno grandi aree verdi che depurino l'aria, assorbano le acque in eccesso, raffreschino le temperature. Palermo per la sua posizione geografica, chiusa all'interno di una conca, dovrebbe tenere particolarmente care per la salute sua e dei suoi abitanti le residue aree verdi, veri polmoni di una città che soffoca. Quasi nessuno, al di là di teoriche posizioni di principio, sembra piuttosto preoccuparsene e progressivamente il cemento avanza. È degli ultimi giorni il parere positivo dell'assemblea comunale alla creazione di due nuovi centri commerciali dalle parti di Borgo Nuovo che si aggiungono a quelli minacciati o promessi nella piana dei Colli, nei pressi dello Zen, o alle porte della città a Maredolce, a Ciaculli e verso Villabate. Si discute anche di un nuovo stadio che sostituisca il "Renzo Barbera", al posto del velodromo o alla Bandita dove ora ci sono gli orti.

Uno splendido esempio di spreco delle risorse in un crescendo di ipermercati, parcheggi, discoteche, che prefigura una città di frenetici consumatori, in perpetuo e incosciente divertimento. Si vorrebbe mitigare il loro impatto, senza timore di incorrere in ridicolo anche considerando la meno che mediocre qualità delle ultime realizzazione di nuovi parchi e giardini, con aree a verde ornamentale in sostituzione degli antichi giardini di agrumi. Viene in mente il famoso capo indiano che ammoniva: «Quando anche l'ultimo albero sarà tagliato ci accorgeremo allora che i soldi non si mangiano."

Palermo, con i suoi amministratori sostenuti, quando fa comodo, anche da gran parte delle opposizioni, sembra non avere idea, se non ai convegni o nei programmi elettorali, dei rischi che corre, incurante di una politica "alta" che da Bruxelles, da Roma, qualche volta anche da Palazzo dei Normanni, proclama la necessità di salvaguardare le residue aree verdi e prefigura politiche (come la prossima programmazione europea 2007-2013) volte a difendere le residue aree periurbane non edificate.

Attorno alla cinquecentesca torre, oltre Borgo Nuovo, sopravvivono alcuni ettari di oliveti secolari, impianti di agrumi, frutteti e orti in parte ancora coltivati, in un contesto di degrado avanzato ma ancora facilmente rimediabile. Una area che i consiglieri che hanno votato a favore con ogni probabilità non hanno mai visitato ma che le politiche europee indicano come ottimale per la creazione di un parco agricolo: spazio dove l'agricoltura è incentivata, l'agricoltore ripagato per il suo ruolo di manutentore dell'ambiente e del paesaggio, il consumatore garantito nella qualità e nei prezzi da una "filiera corta", dal produttore al consumatore. Politiche che hanno radici nella vecchia esperienza del Parco agri colo di Ciaculli, cancellato dal Prg e nato da un progetto Life della UE e che fece vincere, nel 1995, a Palermo l'imprevedibile premio di "città sostenibile". Politiche che hanno avuto successo nelle periferie di Londra, Parigi, Milano e che ora si espandono ad altre città europee che non hanno la qualità paesaggistica, la storia prestigiosa, il valore simbolico nell'immaginario europeo della Conca d'oro. Su questi spazi non ancora urbanizzati, Palermo, che su essi ha fondato tremila anni di storia, dovrebbe fondare anche il suo futuro, considerandole intoccabili dal cemento:per ragioni di pura sopravvivenza, per le opportunità economiche che ne deriverebbero, per il mantenimento della sua identità culturale. Così, oggi, evidentemente non è: si combatte il verde residuo fino all'ultimo albero di mandarino in una visione cieca ed egoista dello sviluppo, incuranti del futuro della città e dei suoi prossimi abitanti. Chi se ne frega avranno pensato i consiglieri comunali: «noi non ci saremo», come cantavano "I Corvi" negli anni Sessanta.

Chi è Giuseppe Barbera, secondo Francesco Erbani

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