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Elio Veltri
La finanza creativa, ultimo piccone calato sul Bel Paese
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Prosegue l'esplorazione del nuovo mondo che si aggira attorno al territorio e al nostro futuro, in attesa della legge Lupi. Da l'Unità del 3 luglio 2005

Il fondo Carlyle, scrivono Paterniti e Fodde, non è un gruppo finanziario come un altro. È la più grande azienda privata degli Stati Uniti con interessi economici in 55 paesi e partecipazioni in 164 società che impiegano 70000 mila persone in tutto il mondo. Bush padre è il principale consigliere del Fondo Asia e prima dell'attacco alle torri gemelle partecipavano al Fondo anche alcuni membri della famiglia Bin Laden. Dell'advisory board fa parte l'ex direttore della CIA e segretario alla difesa Frank Carlucci e l'ex segretario di Stato Baker. Del Board europeo ha fatto parte Letizia Moratti e di quello italiano Chicco Testa, finchè non è scoppiato il caso della vendita del patrimonio culturale.

Cosa c'entra il Fondo Carlyle con la finanza creativa? C'entra, perché ha comprato una parte dei beni artistici: villa Manzoni sulla Cassia a Roma, «complesso immobiliare di interesse storico, culturale e ambientale circondato da un parco di oltre 9 ettari»; un palazzo in stile Liberty a Genova, «immobile prestigioso destinato ad uso terziario»; due palazzi a Reggio Emilia, uno definito «edificio signorile» e l'altro «edificio storico molto prestigioso». I palazzi sono stati acquistati con ribassi del 35% rispetto ai prezzi d'asta di partenza e sono diventati un affare, al punto che gli americani abituati a vendere dopo tre anni, hanno venduto dopo un anno perché, spiega Guido Audagna, capo del fondo Carlyle in Italia, al Sole 24 Ore, «gli immobili avevano raggiunto l'apprezzamento obiettivo». Questo è solo un piccolo esempio di svendita dei gioielli di famiglia, nonostante le raccomandazioni e le proteste.

Già nel corso della discussione parlamentare per l'approvazione della Patrimonio SpA, il 15 Giugno del 2002, Ciampi aveva chiesto a Berlusconi precise garanzie per il rispetto dell'articolo 9 della Costituzione nel quale è scritto che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Il Presidente della Repubblica invitava «ad assicurare che la valorizzazione del patrimonio stesso sia coerente non solo con principi di economicità e redditività, ma anche con il rigoroso rispetto dei valori che attengono alle finalità proprie dei beni pubblici». Berlusconi, rispondeva assicurando che «la nuova normativa postula in mantenimento di tutte le garanzie che la legislazione vigente prevede per il demanio e per il patrimonio indisponibile». Le cose però non stavano proprio come affermava il Presidente del consiglio se il sottosegretario Sgarbi votava contro il decreto legge attaccando il ministro dei beni culturali per il suo silenzio e decine di esponenti della cultura lanciavano un grido di allarme. Giulia Maria Crespi, presidente del FAI (Fondo per l'ambiente Italiano) sul Corriere della Sera scriveva che «se di Azienda Italia dobbiamo parlare è buona norma allora, in materia di gestione aziendale, fare tutto il possibile per non intaccare il patrimonio: che in Italia è costituito dalle chiese, dai palazzi storici, dai musei e dalle loro collezioni, dalle ville, dai castelli, dai piccoli e antichi borghi, dai giardini, dalle coste marine, dai fiumi, dai laghi, dai boschi, dalle montagne». Esattamente tutto ciò che sta andando alla deriva e ingrassa gli speculatori, se è vero, come denuncia Lega Ambiente, che il paese conosce un boom di abusivismo, ogni 2 km di costa si rilevano 5 abusi e cresce del 7% il mare inquinato. Il regolamento del Codice di tutela dei beni culturali, denunciava Salvatore Settis, il quale ha contribuito a scriverlo, è stato stravolto. In una intervista al Tirreno( 29-2-004), il direttore della Scuola Normale di Pisa rincarava la dose: «Il regolamento del 2000 per l'alienazione di immobili del demanio culturale conteneva , in effetti, norme e scadenze secche, ma non espresse nei termini di silenzio-assenso. È questo lo sviluppo nuovo e peggiorativo, che non era affatto necessario. È Tremonti che lo ha imposto, perchè in origine il codice Urbani, prevedeva tutt'altra procedura». Lo slogan diventa : «La Scip ci scippa». Per emulare il governo e trovare soldi pronto cassa non si bada né alle procedure né a ciò che si vende. Se il paese è in svendita perché non approfittarne?. Dopo i beni dello Stato e degli Enti, arrivano quelli della Difesa, che però non possono essere venduti ai comuni, ma solo agli immobiliaristi, quelli delle Ferrovie e i beni delle Regioni. Umbria, Marche, Lazio, Lombardia, Abruzzo, Sicilia, Puglia, Valle d'Aosta, Toscana, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Liguria e il comune di Milano, utilizzano le cartolarizzazioni e vendono. La regione Lazio vende anche gli ospedali. «Sotto la guida del governatore Francesco Storace», scrive Corriere Economia, «ha fatto cose impressionanti. Ha addirittura creato una società alla quale sono stati venduti gli ospedali, e che a sua volta ha emesso obbligazioni per pagare la Regione. Il servizio di queste obbligazioni era garantito dall'affitto che la stessa Regione Lazio avrebbe versato alla società». Interpellato, l'ex ministro Sirchia ha dichiarato che era d'accordo. Per tutte le iniziative il mercato di quotazione è il Lussemburgo e per la Provincia di Napoli Londra. Le banche che collocano i bond sono per lo più estere, sempre le stesse, e il più delle volte quelle che danno il punteggio favorevole alle operazioni in modo da incoraggiare ministero e regioni a vendere il più possibile. Ma niente paura. Paolo Foschi sul Corriere Economia del 27 Giugno 2005 scrive: «La finanza creativa, se davvero andrà in pensione, rischia di lasciare in eredità, anche se in parte solo virtuale, un buco di 70 miliardi di Euro. Se si aggiungono le Una Tantum (condoni, privatizzazioni ecc) il conto lievita a 160 miliardi di Euro».

Naturalmente, mentre il governo vende parti importanti del Bel Paese, il capo del Governo continua a comprare: ville, quadri, mobili antichi, collezioni, promontori, parchi, e guai a chi ci mette il becco.

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