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Maria Pia Guermandi
Pompei e i venditori di tappeti
23 Maggio 2011
Maria Pia Guermandi
Il ministro Galan comincia dunque da Pompei e quindi da un sito esemplare, nel bene e nel male, il suo non facile percorso.

Gli auguriamo naturalmente un ampio successo nella sua attività di governo: a tutti è noto quanto bisogno abbiano il nostro patrimonio culturale e il nostro paesaggio di una politica finalmente adeguata alla loro straordinaria importanza.

Mentre il ministro sarà oggi in visita al sito archeologico campano, comincerà il suo percorso parlamentare il decreto legge 31 marzo 2011 , n. 34 contenente, fra l’altro, disposizioni urgenti in favore della cultura.

Ed è sull’articolo 2 di tale decreto, quello dedicato ai provvedimenti in favore di Pompei, che desideriamo attirare l’attenzione del ministro.

Al contrario di quanto autorevolmente affermato sui media e in sede governativa, nel decreto non vi sono per Pompei risorse economiche aggiuntive certe: non un euro proviene dalle casse ministeriali in più dei fondi normalmente in dotazione alla Soprintendenza autonoma di Napoli e Pompei. E non solo ci si affida all’ipotesi di eventuali risorse messe a disposizione dalla Regione Campania (in condizioni finanziarie non esattamente floride), ma il comma 8 prefigura addirittura trasferimenti di fondi fra Soprintendenze. Peccato che in passato tali trasferimenti abbiano piuttosto seguito un percorso al contrario, abbiano cioè comportato il passaggio di risorse finanziarie dalla Soprintendenza pompeiana (d’altro canto di gran lunga la più ricca) ad altre in maggiori difficoltà.

Riequilibri e aggiustamenti non sono peraltro riprovevoli in sè, soprattutto nella disastrata situazione economica in cui versa il Mibac, ma è a dir poco contraddittorio che in un decreto che dovrebbe stanziare risorse aggiuntive si prevedano storni che non potranno che essere in una sola direzione.

Ancora, per quanto riguarda le risorse in termine di personale, del tutto avventate ci sembrano, rispetto al dettato del decreto, le cifre pur autorevolmente avallate di 30 archeologi e 40 operai da ssumere ex novo: i 900.000 euro peraltro già nella disponibilità del Mibac consentiranno un massimo di 25-30 assunzioni complessive (e si tratta, beninteso, di uno sforzo non esiguo).

Ma ben più grave, sotto il profilo della legittimità, appare il comma 6 che consente interventi - di qualunque natura - in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica e rappresenta quindi l’ennesima, ingiustificabile sanatoria a priori.

In un territorio quale quello campano gravato da decenni di abusivismo che hanno degradato uno dei paesaggi fra i più celebrati al mondo si vuole quindi consentire l’ennesimo strappo alle regole, peraltro senza alcuna reale necessità legata alle esigenze di conservazione e tutela in senso ampio dell’area archeologica.

Affinchè questo nuovo corso che si preannuncia finalmente per Pompei proceda con quella trasparenza necessaria all’importanza della posta in gioco, occorre fare chiarezza sulle risorse disponibili, e dare in via esclusiva alla Soprintendenza Archeologica la gestione di quel programma di manutenzione programmata che, come ci risulta, la stessa Soprintendenza aveva peraltro già elaborato in anni recenti.

La conservazione programmata quindi è la strada maestra, quella pratica che seppur sbandierata come recente acquisizione , ben prima di ora e a ben altro livello di competenza lo stesso ministero aveva saputo concepire: il lungimirante e straordinario Piano Umbria di Giovanni Urbani, vera pietra miliare della storia della tutela, risale al 1974.

Archiviata doverosamente la disastrosa stagione dei commissariamenti (ma lo stesso si deve fare, da subito, per l’area archeologica centrale di Roma e per L’Aquila) nessuna scorciatoia amministrativa è riproponibile, ma piuttosto si deve mirare ad una collaborazione allargata con professionalità di consolidata esperienza (archeologi, architetti e restauratori di sicura competenza pompeiana) quali peraltro abbondano fra gli studiosi stranieri . Pompei torni ad essere il nostro biglietto da visita: un laboratorio internazionale così come avveniva fin dagli anni Sessanta del secolo scorso.

Un cantiere di restauro a cielo aperto accessibile ai visitatori (non quello finto e perciò fallimentare della Casa dei Casti Amanti) come pratica di valorizzazione ben più efficace dei ricorrenti e risibili progetti in stile “Disneyland peplum”, inequivocabile sintomo di provincialismo culturale.

Senza rifare per l’ennesima volta operazioni di documentazione e rilievo già compiuti in passato anche recente, disponibili e tutt’al più aggiornabili con costi limitati. E senza distorcenti aspettative nelle salvifiche virtù della tecnologia (dalle nuvole di punti alle ricostruzioni in 3D) che se non inserite e rigidamente verificate all’interno di una pianificazione di attività complessiva, finiscono inevitabilmente per produrre disastrosi risultati quanto a rapporto costi/benefici.

Ma la prima azione che invitiamo il ministro a intraprendere con decisione è, senza ombra di dubbio, il ripristino della legalità: a partire dalla più ferma opposizione ad ogni iniziativa di condono e a provvedimenti che a qualsiasi titolo consentano operazioni in deroga alle norme vigenti.

La rinascita di Pompei non può che essere fondata su di un sistema di regole certe e trasparenti; in tal senso il sito archeologico deve essere l’esempio di quel ritorno ad una corretta pratica di governo del territorio che costituisce il primo e più efficace strumento per la difesa del nostro paesaggio e del nostro patrimonio culturale.

Il testo costituisce una versione rielaborata di un comunicato predisposto dall'autrice per Italia Nostra

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