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Stefano Rossi
Benvenuti a Ligrestown
2 Agosto 2008
Milano
Il degrado, territoriale e non solo, di una città, fra produzione e trasferimento di “diritti” edificatori. La Repubblica ed. Milano, 1 agosto 2008 (f.b.)

«Vede quella cascina? È amministrata da una società di Ligresti. Siamo buoni vicini di casa. Noi facciamo gli agricoltori, loro fanno gli agricoltori». A parlare è Paolo Bossi, 50 anni, veterinario. Con il fratello Francesco (agronomo), la sorella Giuditta (medico) e la mamma farmacista è affittuario di 40 ettari in via Selvanesco. Non molto lontano dalla sua azienda sorgerà il Cerba: su un’area di Ligresti, come d’altra parte è di Ligresti l’area dello Ieo, l’Istituto europeo di oncologia. Alla Immobiliare Costruzioni dell’ingegnere di Paternò sono riconducibili proprietà nei fogli catastali 633, 635, 655, 685 a sinistra dell’asse di via Ripamonti. Ma altre sue società possiedono terreni a destra di Ripamonti. Questa non è più Milano, è Ligrestown. Il trapasso avviene in modo simbolico ancora sulla via Ripamonti. Uscendo dalla città si incontra prima il palazzo della Coldiretti, con la grossa insegna verde «Consorzio agrario».

Più a Sud, un po’ sopra via Selvanesco, là dove il 24 fa capolinea a rispettosa distanza dall’area di via Macconago del Cerba, svettano le torri di Ligresti. Un simbolo, appunto. Del suo potere e del suo stile. L’ingegnere ha tirato su due piani in più di quelli previsti dalla concessione edilizia. Lo hanno fermato e questi ultimi due piani sono rimasti uno scheletro non costruito, un cappello bucherellato, d’aria e cemento, in testa agli edifici. Dentro c’è l’Inps.

Le tappe del degrado di cui si parla a proposito del parco Sud, sono quattro. Si parte da una azienda agricola funzionante e stabile grazie a contratti di lungo periodo: almeno vent’anni. La proprietà perciò accorcia i contratti degli affittuari, rendendo più onerosi gli investimenti (il rientro deve avvenire in tempi brevi) e più incerte le prospettive: l’agricoltura d’impresa si trasforma in agricoltura di sopravvivenza. Il terzo passaggio è l’abbandono: il contadino va in pensione o getta la spugna, la proprietà non riaffitta. È il gran finale: sui terreni lasciati a se stessi si insinuano attività abusive. Arrivano gli sfasciacarrozze, proliferano le discariche.

Il consigliere comunale verde Enrico Fedrighini la chiama «costruzione del degrado». A cosa serve? «Alla valorizzazione immobiliare dei terreni - risponde Fedrighini - perché i proprietari non sono imprenditori del settore alimentare ma di mestiere costruiscono palazzi». Con la sola Immobiliare Costruzioni, Salvatore Ligresti possiede ettari ed ettari di aree agricole inedificabili fra Cerba e dintorni. Cosa se ne fa? Li coltiva, certo. Però i fratelli Bossi strabuzzano gli occhi nel sentire che il Pgt, il Piano comunale di governo del territorio, potrebbe assegnare un indice di edificabilità dello 0,20 ai terreni coltivati: «L’indice agricolo è dello 0,03. Con lo 0,20, sui nostri 40 ettari verrebbero 80.000 metri quadrati di case, hai voglia quante sono».

Il Pgt assegna alle aree agricole un indice virtuale. La scommessa è che la proprietà lo riversi su altre aree (edificabili) e in cambio ceda gratuitamente l’area al Comune. È la cosiddetta perequazione. Ma gli immobiliaristi sembrano voler puntare sul «degrado costruito», grazie al quale porteranno a casa l’8,15% di aree edificabili in più nelle aree del parco Sud comprese nei Piani di cintura urbana. Perfino la Provincia, che governa il parco, lo ritiene un sacrificio necessario per salvare il resto con gli oneri di urbanizzazione. Ma a questo punto, perché «perequare»? Conviene accettare l’indice di edificabilità e far fare al degrado il suo lavoro. Poi si risanerà costruendo.

La cascina Gaggioli dei fratelli Bossi fa agricoltura biologica. Vende riso, farina, la carne di una cinquantina di mucche (francesi, razza Limousine), ha cinque camere per agriturismo. Molti turisti stranieri preferiscono dormire in campagna e al mattino prendere la bicicletta. Il Duomo è a 6 chilometri. Il fondo della Gaggioli è coltivato in modo documentato dal 1300 ma esiste da prima, da quando i monaci cistercensi bonificarono le paludi, costruirono i canali per irrigare e diedero vita sulle due fondamenta della presenza del bestiame e di una abbondante riserva d’acqua alla produzione di latte, carne, riso, foraggio (mais, orzo, prati).

«Con le ovvie modifiche tecnologiche - spiega Dario Oliviero della Cia (Confederazione italiana agricoltori) - la trasformazione pensata allora è valida concettualmente ancora oggi». Siamo dunque alla fine di una storia plurisecolare? «Per noi - dice Oliviero, che rappresenta la categoria nel direttivo del parco Sud - l’espulsione dell’agricoltura è un fatto evidente». E i piani di cintura urbana con i quali parco Sud, Provincia e Comuni devono dettare le norme urbanistiche di 4.800 ettari prevalentemente in Comune di Milano? «Se ben calibrati - risponde Oliviero - sono un elemento regolatore fondamentale».

Questi sono i campi più fertili d’Europa. Il terreno a medio impasto, né argilloso né sabbioso, è il migliore per i seminativi. Il sindaco Moratti aveva promesso attenzione per il settore. Eppure i Bossi, semplicemente per rifare la stalla, hanno chiesto l’autorizzazione al parco Sud, poi atteso 11 mesi l’ok della commissione edilizia, dalla scorsa primavera aspettano il permesso di costruire. In Comune hanno chiesto lumi sull’allacciamento fognario: «Facciamo una stalla, quali fogne? il letame va nei campi». Questo nel secondo Comune agricolo italiano (800 ettari di terre), nella città che propone al mondo una Expo sull’alimentazione.

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