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L’Ue fa arrabbiare Israele ma non muove un passo senza gli Usa
12 Dicembre 2017
2015-La guerra diffusa
NENA news, 11 dicembre 2017. Dall'autorevole Nord East News Agency un panorama degli ultimi eventi e dei tentativi di spegnere il fuoco provocato da Trump

Roma, 11 dicembre 2017, Nena News – Non calano le tensioni intorno a Gerusalemme. Ieri i Territori Occupati sono stati teatro di nuove manifestazioni e scontri: almeno 157 i feriti tra Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania, secondo la Mezzaluna Rossa. Due giovani palestinesi sono stati colpiti dal fuoco israeliano a Betlemme, sparato dalle torrette militari che costellano il muro di separazione.
Secondo testimoni, i due sono stati soccorsi da alcuni civili mentre cercavano di scappare verso il vicino campo profughi di al-Azza. Sono ricoverati in ospedale. Poco prima a Gerusalemme un palestinese di 24 anni ha accoltellato una guardia privata israeliana alla stazione degli autobus della città: il giovane è stato arrestato, la guardia è in ospedale.

Lontano dalle piazze continuano i bracci di ferro tra i protagonisti dell’attuale crisi. La Casa Bianca ha accusato il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, di abbandonare il negoziato di pace con Israele dopo l’annuncio di non voler incontrare il vice presidente Usa Mike Pence, che sarà in visita nella regione a fine mese. Abu Mazen aveva congelato l’incontro fino a quando gli Stati Uniti non avessero ritirato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. L’ufficio del vice presidente ha invece confermato l’incontro con il premier israeliano Netanyahu e il presidente egiziano al-Sisi, da più parti indicato come il nuovo mediatore della pace. Una conferma che si scontra invece con il rifiuto del grande imam di al-Azhar che ha già fatto sapere di non voler vedere Pence.

(Foto: Ma’an News)

Diversa la posizione europea espressa ieri vis-à-vis dal presidente francese Macron a Netanyahu, in visita a Parigi. All’Eliseo Macron non ha risparmiato dure critiche all’alleato: in due ore di colloquio, Parigi ha chiesto a Tel Aviv “il congelamento della colonizzazione”, ma soprattutto ha espresso “disapprovazione” per la decisione di Trump definendola “contraria al diritto internazionale e pericolosa per la pace”. Netanyahu, consapevole dell’opposizione di quella parte della comunità internazionale che ancora vede nella soluzione a due Stati l’unica via d’uscita al conflitto, pur all’angolo ha ripetuto lo stesso mantra: “Se Parigi è la capitale della Francia, Gerusalemme è la capitale di Israele”. Un discorso che viola alla radice quanto previsto dal diritto internazionale e da quella risoluzione, la partizione della Palestina storica da parte dell’Onu nel 1947, che Israele ha sempre utilizzato per legittimarsi.

Lo ha ribadito, con più debolezza, stamattina anche l’Alto rappresentante della Ue per gli Affari Esteri, Federica Mogherini: a Bruxelles durante la visita di Netanyahu – che da parte sua ha chiesto agli europei di seguire l’esempio statunitense – ha ripetuto la necessità di riaprire il dialogo coinvolgendo i paesi della regione mediorientale e poi, senza nominare la repressione delle proteste palestinesi, si è detta preoccupata per la sicurezza di Israele e per l’aumento dell’estremismo come frutto delle attuali tensioni intorno Gerusalemme.
Dura la Lega Araba che, sabato al Cairo, ha fatto appello a Washington perché ritiri la dichiarazione di Trump, sottolineandone allo stesso tempo il nullo “effetto legale” della decisione che è volta solo ad “aumentare la tensione e alimentare la rabbia”. Ma, come nel caso europeo, alle parole non seguono i fatti: nessun paese arabo ha assunto misure più drastiche al di là delle condanne a parole, ritirato gli ambasciatori o congelato i rapporti diplomatici. Solo il Libano, per bocca del suo ministro degli Esteri, ha chiesto alla Lega Araba di imporre sanzioni a Washington.
Ma quello che appare chiaro è che i palestinesi sono di nuovo soli. Accanto alle loro proteste ci sono quelle della base, dei cittadini di paesi di tutto il mondo scesi in decine di migliaia in piazza per protestare contro gli attacchi alla Gerusalemme araba. Ma le leadership restano distanti: molte parole, zero fatti.

Articolo tratto da "Bocche scucite". La pagina originale può essere raggiunta qui

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