L'Unesco come brand per campagne di marketing e poi menefreghismo, per non scoraggiare gli speculatori immobiliari. Anche Venezia potrebbe perdere questo marchio, ma ci consoleremo con il "certificato cinese".
Qualche mese fa, il centro storico di Vienna, che nel 2001 era stato incluso dall’Unesco tra i siti patrimonio dell’umanità, è stato declassato a sito a rischio, perché deturpato da un nuovo complesso edilizio alto sessanta sei metri. La notizia non ha destato grande scalpore, né le istituzioni locali sembrano molto preoccupate. Come ha detto il rappresentante dell’ente per la promozione del turismo, “ci dispiace, ma siamo tranquilli, perché la decisione non avrà ripercussioni sul numero di turisti in arrivo”.
Ancora più sprezzanti nei confronti delle valutazioni
dell’Unesco sembrano le autorità di Liverpool, il cui porto mercantile, che era
stato dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2004, in quanto “supremo esempio
di porto commerciale ai tempi della più grande influenza globale della Gran Bretagna”,
è stato retrocesso nel 2012 nella categoria dei siti a rischio, a causa del
progetto di valorizzazione dei suoi sessanta ettari di superficie con una serie
di enormi costruzioni “ispirate alla architetture di Shanghai”.
Il nostro scopo, è di creare una world class
destination, ha detto il presidente di Peel Group, la società di investimento immobiliare che ha acquisito la
proprietà dei terreni. Chi viene a visitare la città, ha aggiunto, “non viene a vedere il certificato dell’Unesco
appeso alla parete del mio ufficio... viene a vedere una città dinamica e
vibrante e… comunque non possiamo sospendere i progetti di
sviluppo, perché significherebbe inviare un messaggio sbagliato agli investitori,
perdere posti di lavoro e metterci a rischio di costose vertenze legali con i
developers”.
Diversamente da Vienna e Liverpool che, dopo avere usato il brand Unesco per le loro campagne di marketing,
sono disposte a rinunciarvi per non scoraggiare gli speculatori finanziari e immobiliari, Venezia è riuscita nell’impresa di
conservare il marchio di qualità Unesco e di disattenderne tutte le
raccomandazioni.
La risoluzione del luglio 2016, con la quale l’Unesco
sollecitava il governo italiano e il comune di Venezia ad adottare misure
concrete per mitigare i problemi che attanagliano la città e la laguna e preannunciava che, in assenza di sostanziali progressi entro il 1
febbraio 2017, avrebbe considerato l’eventualità di porre Venezia nella lista
dei siti a rischio, suscitò, oltre che
l’attenzione della stampa di tutto il mondo, l’immediata reazione del sindaco Brugnaro che
dichiarò “ne abbiamo le scatole piene … siamo stufi di critiche aristocratiche”. Poi, però, il sindaco ci ha ripensato, ed ha
deciso di trasformare la minaccia da
problema in opportunità. Ad un anno di distanza, dobbiamo riconoscere che
l’operazione gli è riuscita perfettamente: si è fatto dare molti soldi dal
governo, ha portato avanti una serie di
progetti che vanno nella direzione opposta da quella auspicata dall’Unesco ed
ha ridicolizzato l’organizzazione internazionale.
L’Unesco aveva identificato quattro principali fenomeni
che stanno distruggendo la città e la Laguna - turismo, grandi navi, grandi
opere, moto ondoso - e per ognuno di essi ci chiedeva concreti interventi,
cioè l’adozione di un piano per ridurre
la sproporzione tra la quantità di turisti e la popolazione residente; la proibizione per le grandi navi passeggeri e commerciali dell’entrata
in Laguna; la sospensione dei progetti di nuove grandi opere
infrastrutturali, in primis l’ampliamento dell’aeroporto e il porto offshore; l’introduzione,
e l’osservanza, di limiti al traffico acqueo, sia in termini di velocità che
di tipo di scafi.
Su tutti i quattro punti l’amministrazione è
intervenuta, come dice il sindaco, “con
fatti e non chiacchiere”. Per quanto riguarda il turismo, il comune,
prendendo atto che la domanda è in crescita costante, da un lato si adopera per
aumentarla ulteriormente, ad esempio sollecitando e stipulando accordi con i tour
operators cinesi, dall’altro continua ad ampliare l’offerta ricettiva con la
costruzione di migliaia di nuovi posti letto, spalmati in tutto il territorio
comunale secondo una zonizzazione che prevede per ogni tipologia di turista la
localizzazione adeguata alla sua capacità di spesa. Quindi i molto, molto
ricchi andranno nelle isole della laguna privatizzate e sottratte ai cittadini normali;
i semplicemente ricchi al Lido e nei palazzi lungo il Canal Grande; i mediamente
dotati di denaro nella parti della città più discoste da san Marco e dalle
grandi attrazioni; i low budget infine, attorno alla stazione di Mestre e sulla
gronda lagunare.
E siccome l’Unesco non chiedeva misure scoordinate,
ma un piano, il comune ha adottato il DMP,
“Destination Management Plan della
destinazione turistica Venezia e Laguna”, per il triennio 2016-2018. Si tratta di uno strumento inventato dalla
regione Veneto (che ha individuato nel suo territorio tredici destinazioni turistiche)
che, di fatto, altera il sistema pianificatorio.
Da un lato, al DPM, che diventa il principale strumento di
“gestione strategica del territorio in funzione dello “sviluppo, gestione e
marketing del turismo e della sua economia”, viene demandata” l’individuazione delle
decisioni strategiche, organizzative e operative attraverso le quali deve
essere gestito il processo di definizione, promozione e commercializzazione dei
prodotti turistici espressi dal territorio veneziano al fine di generare flussi
turistici di incoming equilibrati, sostenibili e adeguati alle esigenze
economiche degli attori coinvolti”.
Dall’altro il DPM, essendo adottato dagli “attori
pubblici e privati che partecipano all’"Organizzazione di gestione della destinazione
turistica", presieduta dal comune di Venezia e della quale fanno parte affittacamere
e albergatori, commercianti ed esercenti, artigiani ed industriali, esclude da
ogni decisione relativa al territorio chiunque non eserciti un’attività
economica legata al turismo. Per i cittadini che non beneficiano del business
turismo (e che potremmo chiamare i “senza turismo”) sono previsti solo aumenti
di tasse e tagli di servizi.
“Via le grandi navi dal bacino di San Marco”,
mentre la richiesta dell’Unesco era “via le grandi navi dalla laguna”, è poi
l’astuto slogan al cui riparo il comune continua a promuovere progetti per
nuovi scavi e nuovi terminal in laguna e a slogan e annunci pubblicitari, come
l’operazione “onda zero”, si riducono anche le misure per contenere il moto
ondoso.
Su tutti questi fronti, e soprattutto su quello
delle grandi opere infrastrutturali, il sindaco ha anche abilmente negoziato
con il governo Renzi, con il quale ha firmato, il 26 novembre 2016, il cosiddetto
patto per Venezia che destina circa quattrocento cinquanta sette milioni di
euro per “il rilancio della città”. Un successo che Brugnaro ha commentato cosi: “il
progetto per questa città lo abbiamo delineato chiaramente e parla dello
sviluppo delle sue infrastrutture: porto, aeroporto, ferrovie, connettività e
fibra ottica, perché se riparte Venezia possiamo dare il segnale che può
ripartire l'Italia. Venezia si è rimessa in moto, adesso ha bisogno di persone
lungimiranti che vogliano investire”.
Dopo di che il sindaco ha messo tutto in un
dossier, è andato a Parigi per “dettagliare i progressi per la rivitalizzazione
della città” e l’Unesco, riconoscendo “i progressi ed i risultati raggiunti”,
ha rinviato ogni decisione.
Al ritorno dalla vittoriosa spedizione e giustamente
fiero del risultato, il sindaco ha annunciato che nel gennaio 2018 Venezia
ospiterà in palazzo Ducale un grande evento, per inaugurare l’anno del “turismo
cinese in Europa”, al quale interverranno
le maggiori autorità politiche cinesi ed europee, oltre a delegazioni di tour
operator. L’iniziativa ha avuto l’immediato
plauso del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che è venuto a Venezia
per congratularsi e, abbracciando Brugnaro, ha detto: vorrei vedere meno acciaio e più turisti cinesi.
Non sappiano se l’Unesco figura tra gli invitati
alla cerimonia in palazzo Ducale. Sappiamo però
che l’assessore al turismo si è recata in missione promozionale in Cina
e che stiamo lavorando per ottenere la cosiddetta “welcome chinese
certification”, cioè il riconoscimento di destinazione chinese
tourist friendly. Per i cittadini è una consolazione sapere che se
mai dovessimo perdere il marchio Unesco ci rimarrebbe il certificato cinese, ma
siamo fiduciosi che il nostro sindaco smart riuscirà a cumularli.