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Referendum Kurdistan, Affluenza alta alle urne. Soldati al confine
27 Settembre 2017
Democrazia
NENA News, 27 settembre 2017 «Secondo i risultati provvisori, il “Sì” è al 93%. Baghdad: “Non dialogheremo con i curdi”. Il parlamento iracheno vota per il dispiegamento di soldati vicino alle aree controllate dal Krg dal 2003. Ankara minaccia l’invasione del nord dell’Iraq»

Il governo iracheno non dialogherà con il governo regionale curdo (Krg) sui risultati del referendum “incostituzionale” di ieri tenutosi nel nord dell’Iraq. A dirlo è stato ieri il premier iracheno Haider al-Abadi durante un discorso trasmesso dalla tv di stato. “Molti dei problemi della regione curda sono interni, non con Baghdad, e aumenteranno con le richieste di separazione – ha spiegato il primo ministro – I problemi economici e finanziari di cui stanno soffrendo sono il risultato della corruzione e della cattiva amministrazione”.

Al-Abadi si mostra sicuro perché sa di avere molti alleati. Innanzitutto ha il pieno appoggio dei parlamentari iracheni che ieri hanno votato la sua richiesta di dispiegare le truppe “in tutte le zone controllate dopo il 2003 dalla regione autonoma del Kurdistan”. La decisione veniva presa nelle stesse ore in cui alcune unità dell’esercito nazionale partecipavano a esercitazioni congiunte con i turchi al confine con il territorio kurdo-iracheno.

Donne di Suleymaniya testimoniano di aver votato (Reuter)

L’addestramento militare fa il paio con altre decisioni intimidatorie prese da Baghdad: sospensione degli stipendi ai dipendenti pubblici che prendono parte al voto, stop alle compagnie pubbliche che operano nelle aree contese e ordine di cedere al governo centrale il controllo dei valichi di frontiera e dell’aeroporto di Erbil. Scelte che mostrano come le autorità irachene stiano impiegando tutte le misure a loro disposizione per far desistere i “ribelli” curdi.

Oltre al sostegno interno, il premier può poi vantare quello ben più importante in campo internazionale (Usa, Onu e Europa) e regionale (Iran e Turchia). Ieri Teheran ha lanciato un’esercitazione militare al confine, chiuso lo spazio aereo ai voli da Erbil e Suleymaniya e sospeso quelli diretti in territorio kurdo. Un tale embargo potrebbe avere – se reiterato – effetti gravi su una regione di cui l’Iran è primo partner commerciale con 5 miliardi di dollari di scambi annuali.

Durissima la reazione turca: ieri il presidente Erdogan ha minacciato l’invasione del nord dell’Iraq (dove i suoi soldati in realtà già ci sono a sostegno dei peshmerga intorno Mosul) e la sospensione degli affari commerciali in campo energetico tra Ankara e Erbil, in particolare la chiusura dell’oleodotto che collega Kirkuk alla turca Ceyhan.

Misure dure, ma che al momento non fermano il desiderio curdo all’indipendenza. Masoud Barzani, il leader del Krg, ha ribadito in più circostanze che il referendum di ieri non è vincolante e che non porterà all’indipendenza immediata, ma a uno-due anni di negoziati con Baghdad. In ogni caso, ha però precisato, “non torneremo ad una partnership fallimentare con uno Stato teocratico e settario”.

Nella sua ostinazione ad andare avanti nonostante le pressioni politiche, Barzani non è affatto solo. Secondo la Tv Rudaw di stanza a Erbil, ieri l’affluenza alle urne è stata del 78% (poco più di 5 milioni gli aventi diritto al voto) con picchi del 92% nella yazidi Sinjar, l’84% a Erbil e l’80% nella multietnica Kirkuk. Stando ai risultati provvisori diffusi dalla stessa emittente televisiva, il “Sì” è al 93%. In pratica, come era prevedibile, un vero e proprio plebiscito.

Per i curdi del Krg ieri è stata una giornata di festa: con fuochi d’artificio, musica ad alto volume, balli e canti centinaia di persone sventolanti le bandiere curde hanno festeggiato in serata la certa vittoria del Sì.

Bisogna capire solo quanto questi festeggiamenti potranno davvero durare. Nena News

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