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Judith Butler e Paola Rudan
La città plurale che cresce a Barcellona
26 Aprile 2017
Altre città
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«Un rapporto sullo stato dell’economia sociale e solidale porta alla luce cifre ed esperienze che fanno della capitale catalana un interessantissimo esempio di come al giorno d’oggi proposte di modelli alternativi al neoliberismo non solo siano possibili, ma già in atto».comune-info, 24 aprile 2017 (c.m.c.)



A Barcellona, ​​più di 4.700 iniziative socio-economiche si ispirano ai valori della cooperazione, dell’orizzontalità e dell’autogestione. Sono l’espressione dell’economia sociale e solidale catalana, esperienze che allo stesso tempo si configurano come pratica economica e come movimento sociale.

Nel 2016 Anna Fernàndez e Ivan Miró pubblicano un rapporto sullo stato dell’economia sociale e solidale a Barcellona, portando alla luce cifre ed esperienze che fanno della capitale catalana un interessantissimo esempio di come al giorno d’oggi proposte di modelli alternativi al neoliberismo non solo siano possibili, ma già in atto. Gli autori presentano un lavoro di ricerca che ha fatto emergere una realtà che a Barcellona è radicata da molto tempo e che conta oltre 4.700 iniziative socio-economiche, pari al 2,8% del totale delle imprese registrate, distribuite nei differenti quartieri della città (vedi cartografia). Un insieme di realtà dove trovano lavoro più di 53.000 persone, pari all’8% dell’occupazione totale e che partecipa al 7% del PIL della città. Ma di preciso di cosa stiamo parlando?

L’economia sociale e solidale nei quartieri di Barcellona

Senza entrare nel dibattito sui concetti, per il quale si rimanda al documento prodotto da RIPESS nel 2015, riportiamo integralmente la definizione che il volume dà riprendendola da una proposta di legge redatta nel 2015 dalla rete di economia solidale catalana, la XES Catalunya: «[…] si definisce l’economia sociale e solidale come un insieme di iniziative socio-economiche i cui membri, in modo associativo, cooperativo, collettivo o individuale, creano, organizzano e sviluppano democraticamente e senza dover necessariamente avere scopi di lucro, processi di produzione, di scambio, di gestione, di distribuzione delle eccedenze, di sistemi monetari, di consumo e di finanziamenti di beni e servizi volti al soddisfacimento dei bisogni. Promuovono relazioni di solidarietà, cooperazione, reciprocità, basate sul dono e la trasformazione egualitaria della economia e della società; hanno come finalità la promozione del bien vivir e la sostenibilità e la riproduzione della vita di tutta la popolazione».

Riportare la vita al centro e ripartire dalle relazioni

Si tratta di un paradigma che, contrapponendosi a quello dominante, rimette al centro la vita umana e le relazioni, ponendo l’accento sulla necessità di portare sullo stesso piano produzione e riproduzione. Produrre per rispondere alle necessità umane nel riconoscimento del ruolo fondamentale che ha il processo di riproduzione. Si tratta di un modello socio-economico che mette in secondo piano la formalizzazione giuridica delle entità, raccogliendo al suo interno realtà di differente tipo. La prima parte del lavoro di Fernàndez e Mirò illustra in maniera dettagliata e con dati alla mano la pluralità delle esperienze che compongono il panorama dell’economia sociale e solidale barcellonese: cooperative di lavoro, di servizi, di consumatori e di utenti; cooperative per l’abitare e per la formazione; le mutue e i servizi bancari e di credito che promuovono la finanza etica; il terzo settore sociale e imprese per l’inserzione e l’avviamento al lavoro; gruppi di consumo, orti urbani e banche del tempo; forme di autogestione comunitaria di strutture ed edifici pubblici e altri ancora.

Risulta evidente come non siano la forma giuridica o il settore di riferimento a determinare quali siano le esperienze afferenti all’economia sociale e solidale, quanto piuttosto un insieme di criteri che spaziano dall’equità di genere alla sostenibilità ambientale, dalla democraticità dei processi decisionali alla [re]distribuzione egualitaria della ricchezze e altri ancora. Certo non sempre è facile stabilire un confine netto tra chi è dentro e chi è fuori, ma trattandosi di pratiche che hanno l’ambizione di trasformare la società in cui intervengono, si tratta di percorsi e processi sempre perfezionabili e in continuo mutamento. Una questione, quest’ultima, messa in luce anche da un’altra esperienza del panorama catalano volta alla mappatura delle realtà dell’economia solidale del territorio. Si tratta del Pamapam, una pratica di collaborative mapping realizzata dalla ONG Setem Catalunya su base volontaria per intervistare, conoscere e, successivamente, mappare pratiche solidali.

Verso un nuovo modello di città: cooperativa, solidale e per il bene comune

La seconda parte del volume è dedicata alla configurazione dello spazio urbano di Barcellona con un approfondimento su alcuni suoi quartieri emblematici che, provenendo da traiettorie storico-culturali nonché socio-economiche differenti, sono oggi protagonisti nella definizione di un modello di spazio urbano che si ponga come alternativo a quello dominante. Quest’ultimo ha dato alla luce un modello di città che già nell’89 fu definito da David Harvey “entrepreneurial city” (città imprenditoriale), così indicata per l’accumulazione del capitale con i conseguenti fenomeni di privatizzazione e mercificazione di risorse pubbliche, esclusione di intere fasce della popolazione, finanziarizzazione della rendita urbana e depauperamento del patrimonio storico-culturale nonché dell’ambiente stesso.

Fernàndez e Mirò mostrano come nei differenti quartieri sia in atto una – riprendendo le parole di Lefebvre – produzione sociale dello spazio urbano volta ad affermare pratiche collettive e solidali, nel perseguimento del bene comune. Così sta accadendo alla Barceloneta, quartiere con un forte passato cooperativo e che oggi soffre una forte pressione turistica, o a Sants, quartiere di tradizione operaia dove si incontrano pratiche di autogestione di aree ed edifici dismessi minacciati da progetti immobiliaristi.

Gli autori hanno messo in luce i punti di forza e di debolezza di un fenomeno che a Barcelona sta crescendo in maniera esponenziale. Ne è un dato chiaro anche la costituzione del Commissionat de Economía Cooperativa, Social i Solidaria i Consumo da parte della sindaca Ada Colau, eletta nel giugno del 2015 con la piattaforma cittadina nata con il nome di Guanyem Barcelona – Vinciamo Barcelona – e oggi conosciuta come Barcelona en Comú. La giunta comunale dichiara così apertamente qual è il modello socio-economico che intende perseguire, un modello improntato proprio al paradigma dell’economia solidale.

Articolo pubblicato anche su Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà

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