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Paolo Griseri
Terrorismo La sfida della ragione
21 Marzo 2017
Democrazia
«Non è sospendendo lo Stato di diritto che si sconfigge chi minaccia la libertà dell’Occidente.Se ne discute a Biennale Democrazia, dal 29 marzo a Torino

».

la Repubblica, 21 marzo 2017 (c.m.c.)

I signori della paura segnano le generazioni. Dimmi chi ti ha spaventato e ti dirò quanti anni hai. Per gli italiani nati fino agli anni Settanta il terrorismo ha il volto mascherato dei rapitori di Aldo Moro in via Fani, la faccia dei brigatisti in gabbia che rivendicano gli omicidi durante i processi, i sacchi di sabbia con i nidi di mitragliatrice ai posti di blocco nei centri storici di Roma, Milano, Torino, Genova. Per gli europei più giovani il terrore è raccontato dai cadaveri ai tavolini dei bar, dalle stragi ai concerti e sui lungomare, dai volti esaltati dei giovani soldati del califfato che rivendicano su Youtube gli omicidi che stanno per compiere. Per gli abitanti di Aleppo e delle tante aree del mondo sotto le bombe il terrorismo ha la stessa faccia della guerra e per distinguere l’uno dall’altra bisogna attendere la fine del conflitto e il racconto del vincitore.

L’uscita di emergenza dal terrorismo italiano degli anni Settanta costò centinaia di morti, famiglie distrutte, ma fu trovata. La vera discussione di allora fu per molti aspetti la stessa di oggi: si deve sospendere la democrazia per difendersi da chi l’attacca? Nonostante le tentazioni di destra e di sinistra per varare leggi da stato di polizia, si può dire che l’Italia sconfisse il terrorismo seguendo il principio per cui la democrazia si difende con la democrazia, perché sospendere il nostro sistema di garanzie rappresenta la prima vittoria per chi lo sta attaccando.

L’Europa e, più in generale l’Occidente, possono sperare nel 2017 di seguire la stessa strada? Il terrorismo che dice di ispirarsi a una religione si può combattere con le stesse armi che funzionarono contro il terrorismo ideologico di quarant’anni fa?

Strenuo oppositore delle legislazioni eccezionali, il politologo francese Bernard Manin ne parlerà domenica 2 aprile a Biennale Democrazia, con il direttore di Repubblica Mario Calabresi. Essere contrari alle leggi eccezionali in un Paese che continua a rimanere nel mirino dei terroristi e che ha istituito lo stato di emergenza fin dal 2015 non è facile. Manin spiegherà il suo punto di vista. Il dilemma è quello tra sicurezza e libertà anche se è tutto da dimostrare l’assunto per cui alzando muri ai confini e aumentando i controlli di polizia si sia davvero più sicuri.

Di quel dilemma parlano i giuristi Mauro Barberis e Geminello Preterossi coordinati il 30 marzo da Pier Paolo Portinaro. Una terza via tra chiudersi nel castello e lasciare totale libertà anche ai nemici è probabilmente quella che a livello internazionale ha tradizionalmente perseguito l’Italia. Ma anche in questo campo, ha segnalato più volte il capo della Procura di Torino, Armando Spataro, manca un coordinamento europeo tra intelligence, lacuna drammaticamente emersa anche dopo i recenti attentati. Spataro ne parla con l’inviato del Corriere della Sera Giovanni Bianconi. «Non è solo una questione di sicurezza ma di cultura», dice Christiane Taubira, ex ministra della giustizia in Francia con i governi Ayrault e Valls. Proprio la sua opposizione alle misure antiterrorismo varate dopo le stragi l’ha indotta a dimettersi dall’incarico. Venerdì 31 marzo racconterà il suo scomodo punto di vista.

Per combattere il terrore dei nostri giorni è indispensabile capire da dove nasce. Ed è questo un altro dei punti di discussione nell’Occidente. Non è irrilevante sapere se tutto parte da una radicalizzazione delle correnti più estreme dell’Islam o se, al contrario, è stata la voglia di rivolte radicali a trovare nel Corano la scusa per darsi una struttura culturale e religiosa di sostegno.

La prima ipotesi, quella dell’Islam che si radicalizza e arriva a conquistare le nostre città, come ideale prosecuzione della guerra santa per estendere il Califfato oltre la penisola arabica, è forse la spiegazione più rassicurante per l’Occidente. E per questo suona incompleta. La storia sociale delle banlieues parigine racconta che, almeno in quei luoghi, la rivolta sociale ha preceduto e di molto la radicalizzazione islamista. Come se l’integralismo religioso rappresentasse l’ultima àncora a cui attaccare la rabbia sociale dopo che la politica francese di destra e di sinistra l’aveva catalogata come una rivolta marginale: «Racaille», plebaglia, aveva esclamato il ministro degli interni dell’epoca, Nicolas Sarkozy. Era il 26 ottobre 2005.

Oggi che la “racaille” alimenta i campi di addestramento per foreing fighters in Siria rispondere alla domanda: «Come si diventa terroristi?» è fondamentale. L’inviata di guerra Francesca Borri, il sociologo Stefano Allievi e lo scrittore Giuseppe Catozzella ne parlano il 31 marzo coordinati da Renzo Guolo. Sperando di trovare un’uscita di emergenza dalla logica dello scontro tra civiltà che ha ormai ruotato di novanta gradi il suo asse e oggi si combatte esplicitamente tra Nord e Sud del mondo.

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