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Guido Viale
Sovranismo e razzismo. Che fare?
12 Febbraio 2017
2015-EsodoXXI
«La lotta per l’accoglienza e l’inclusione dei profughi che arrivano in Europa va condotta a livello europeo, perché esige contestualmente un cambio di passo nelle politiche economiche europee». il blog di GuidoViale, 10 febbraio 2017 (c.m.c.)

«». il blog di GuidoViale,

Si può essere sovranisti in campo economico (no all’euro e all’Unione europea, sì a svalutazioni competitive e protezionismo, ecc.) senza essere anche razzisti in campo politico?

Il razzismo di oggi si manifesta innanzitutto nell’atteggiamento e nelle misure da adottare nei confronti dei profughi: il principale problema politico, oltre che sociale e culturale, che l’Europa, e con essa l’Italia, si trova di fronte; quello che ne mette in crisi la coesione sia tra gli Stati membri che all’interno di ogni paese; e che continuerà a sussistere nei prossimi decenni, perché nasce da processi epocali.

Non è casuale che nei numerosi interventi a favore dell’uscita dall’euro o dall’Unione europea, il tema dei profughi non venga mai toccato; oppure vi si accenni di sfuggita, alla fine del ragionamento, senza rendersi conto che invece è il perno intorno a cui ruota e si qualifica ogni prospettiva politica di cambiamento radicale. Il presupposto tacito di questo approccio è che le questioni dell’euro, dell’austerity, della sovranità monetaria possano essere affrontate isolandole dal contesto sociale e geopolitico in cui sono nate e si sono sviluppate, come se il campo economico fosse dotato di leggi proprie, quelle del mercato, che si insegnano all’università, e che “valgono” sempre: sia in presenza di politiche cosiddette liberiste che di politiche interventiste. Di qui la tesi che esistano due sovranismi: uno di destra e uno di sinistra; e che si distinguano tra loro non tanto per le diverse misure economiche che propongono, ma solo per le opzioni in campo sociale e politico.

Ma la questione dei profughi è una questione europea, che può essere affrontata solo a livello europeo. Sbarcano, se non annegano nel Mediterraneo, in Italia – come sbarcavano e torneranno a sbarcare in Grecia, non appena Erdogan avrà perso interesse ai buoni rapporti con l’Unione – perché sono i loro punti di approdo; ma la loro meta è l’Europa, dove Italia e Grecia sono e restano i paesi meno appetibili: quelli che fino a un anno fa, per la maggior parte di loro, erano solo paesi di transito; poi le frontiere interne dell’Unione, quelle che il trattato di Schengen dovrebbe tenere aperte, si sono chiuse e quell’umanità dolente ha cominciato ad accumularsi nel nostro paese. Accumularsi è il termine giusto, perché le autorità italiane la trattano come “cose”: da stoccare in qualche modo in attesa di potersene liberare. In Grecia, per ora, non ne arrivano quasi più; ma anche lì ne sono rimasti “intrappolati” più di 60mila.

Che fare? L’Europa ha la possibilità e l’interesse ad accoglierli tutti: perde, per calo demografico, tre milioni di abitanti all’anno e ha – e avrà sempre più – bisogno di rimpiazzarli per motivi sia economici che sociali e culturali; per non diventare un continente di vecchi, in declino economico, ripiegato su se stesso, culturalmente sclerotizzato, geo-politicamente isolato. Perché la trasformazione del continente in fortezza è bidirezionale. Respingere profughi e migranti, posto che sia possibile, significa ributtarli tra le braccia dei governi, delle bande armate, del degrado sociale e ambientale da cui sono fuggiti; trasformarli in ostaggi o reclute delle forze in campo. Ma significa anche rendere tutti quei paesi off limits per gli europei: chi potrà più andare di persona a fare investimenti, o cooperazione, o turismo, o “scambi culturali” nelle regioni controllate da uno Stato Islamico?

Poi ci sono più di 40 milioni di cittadini europei o di immigrati residenti in Europa che appartengono a comunità religiose o linguistiche in qualche modo legate ai paesi da cui provengono quei profughi. Trattarli come cose da respingere al mittente significa rinfocolare in quelle comunità sentimenti di estraneità e reazioni di ripulsa e di vendetta di cui le stragi che hanno insanguinato il continente sono solo le prime avvisaglie. Continuare su questa strada significa rendere la convivenza in Europa sempre più difficile, alimentando paure e reazioni difensive che sconfineranno sempre più in aperto razzismo.

Per questo la lotta per l’accoglienza e l’inclusione dei profughi che arrivano o cercano di arrivare in Europa va condotta a livello europeo, unendo tutte le forze che si stanno mobilitando contro i respingimenti – e che non sono poche, anche se non hanno voce sui media – in una prospettiva che è al tempo stesso culturale, sociale, politica ed economica: perché esige un cambio di passo nelle politiche economiche al solo livello, quello europeo, in grado di rendere efficace, in termini di occupazione, di redditi e di welfare, la lotta contro l’austerità.

E’ l’austerità, infatti – quella che ha creato 25 milioni di disoccupati tra i cittadini europei – ad aver reso l’arrivo dei profughi un problema, mentre prima della crisi un numero molto maggiore di cosiddetti “migranti economici” veniva non solo accolto e inserito nella società, ma anche richiesto e apprezzato dai datori di lavoro.

L’alternativa a questo irrinunciabile cambio di passo è respingere, o cercare di respingere, o far credere – per meschine ragioni elettorali – di poter respingere; cioè lavorare per estendere a tutti i paesi del Medioriente e dell’Africa centrosettentrionale da cui provengono i profughi diretti in Europa accordi analoghi a quello con la Turchia. Un disegno feroce che equivale a condannare a morte, o a violenze e soprusi di ogni genere, o all’inedia o, nella migliore delle ipotesi, a riprendere da capo la strada da cui sono stati riportati indietro, tutti i profughi che si sarà riusciti a respingere o a “rimpatriare”.

Se non è razzismo questo, che cosa è mai il razzismo? Ma è anche un disegno, come già si intravvede, troppo complesso e impegnativo, oltre che cinico e criminale, per andare in porto: quei paesi non sono la Turchia; in molti ci sono persino Governi che non governano. Senza contare che anche l’accordo con la Turchia è molto precario. Da un momento all’altro Erdogan potrebbe rovesciare in Europa i “suoi” tre milioni di profughi in un colpo solo…

In ogni caso, una volta fuori dall’euro e dall’Unione europea per tutte le forze che lottano per un mondo diverso sarà impossibile anche solo battersi per una politica comune di accoglienza in Europa. Le frontiere al Brennero, a Ventimiglia, a Como, già oggi chiuse, non si apriranno più e sull’Italia, lasciata sostanzialmente sola, verrà scaricato, ben più di quanto già non succeda ora, tutto il peso e l’orrore delle attività operative e delle responsabilità politiche dei respingimenti. E’ questo che vogliamo?

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