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Roberto Camagni
Debito pubblico: D'accordo, ma...
27 Febbraio 2017
Critica
Prosegue il dibattito sul debito pubblico, sulle sue origini, comosizione, uso politico carattere, necessità di rimborsarlo o meno. Camagni replica a Edoardo Salzano invitando a distinguere tra il trend politico generale e la questione del debito pubblico.

Caro Salzano
trovo molto bella la tua riflessione sul tema del debito pubblico e la tua “diversa visione” – rispetto a quella da me espressa - sulla quale ampiamente concordo. Il fatto è che il mio contributo era mirato a un tema specifico, come quello di che fare col nostro enorme e crescente debito pubblico, che solo in minima parte dipende dalle nuove tendenze di globalizzazione della finanza, mentre la tua riflessione affronta con coerenza il tema politico della trasformazione recente del capitalismo finanziario.

E’ molto vero che da sempre con il cosiddetto Washington consensus il paese leader del capitalismo mondiale ha imposto ai paesi in via di sviluppo, ma anche ai paesi sviluppati, ricette di politica economica che andavano contro gli interessi di questi paesi (privatizzazioni, apertura alle multinazionali e al commercio internazionale di materie prime, politiche fiscali inesistenti per compiacere le élite “compradore” e corrotte, politiche monetarie restrittive) e nel chiaro interesse del/i paesi leader. Ed è anche molto vero che, a partire dagli anni ’90, il sistema capitalistico ha sposato decisamente la dimensione finanziaria cambiando di colpo l’arena del confronto con i singoli paesi e le loro istituzioni (che aveva portato a quel compromesso fra capitalismo e democrazia che hai richiamato): la nuova arena è diventata il mondo globale in cui non esistono istituzioni legittimate dai popoli, quelle poche che esistono sono deboli e ampiamente controllate, le regolamentazioni finanziarie praticamente inesistenti. Solo dopo la catastrofe della crisi del 2008, determinata totalmente dalle pratiche truffaldine e opache della finanza ed enfatizzata dalla somiglianza dei criteri di azione dei software con cui i titoli vengono scambiati internazionalmente, gli Stati Uniti hanno varato strette regole (interne) di comportamento per le banche e le istituzioni finanziarie, che tuttavia Trump sta iniziando ad azzerare.

Mentre occorrerebbe una forte solidarietà politica internazionale per redigere le nuove regole valide per tutti (come Joseph Stiglitz non smette di raccomandare), nuovi governi di destra minacciano di costruire nuovi paradisi fiscali per la finanza (il Regno Unito della May). E i nuovi irresponsabili populisti europei (Marine Le Pen) e nostrani (Salvini e Grillo), minacciando o invocando l’uscita dall’euro vanno approntando tappeti rossi alla speculazione finanziaria internazionale che, attraverso le inevitabili drastiche svalutazioni delle monete nazionali che seguirebbero, si impossesserebbe con un pugno di dollari delle ricchezze, finanziarie e immobiliari, degli italiani.

Ma vengo al punto su cui le nostre visioni divergono. Tutto quello che ho detto, e che tu hai detto meglio, non c’entra niente col nostro debito pubblico e con le nostre banche. Queste ultime hanno fatto certo “operazioni speculative sbagliate o addirittura criminose”, le più grandi lanciandosi nella finanza immobiliare e nella finanza (politicizzata) degli anni del boom dell’inizio del secolo senza la necessaria competenza e correttezza (e per questo hanno pagato con la perdita di due terzi, in media, del loro capitale e con le attuali ricapitalizzazioni forzate), e le piccole e medie banche con truffe non diverse da quelle dei “furbetti” romani, pagando nello stesso modo fino al quasi azzeramento del loro capitale. Lo stato sta salvando queste ultime dal fallimento, ma il supporto non è destinato ai precedenti padroni o ai manager corrotti che sono indagati dalla magistratura, ma al mantenimento delle aziende e dell’occupazione; come nel caso americano, in cui le grandi banche hanno finito in questi mesi di restituire allo stato gli aiuti elargiti da Obama, così pure questi supporti dovranno essere ripagati dalle nuove gestioni (e su questo in genere nel dibattito non si fa chiarezza). Ma tutto ciò, come dicevo, non c’entra niente col debito pubblico italiano, cresciuto a dismisura per la facile disponibilità dei governi a far pagare alle generazioni future (che sono quelle di oggi) i compromessi e le elargizioni del passato. Non siamo tenuti a rimborsare i soldi che il nostro sistema bancario ha perso “per colpa sua”, ma i nostri debiti: per questo ho detto che “prendersela col debito è scorretto” (e anche rischioso, se qualche politico di livello nazionale dovesse accodarsi pubblicamente a questa “sparata”, come dici tu).

Come ho detto nel mio articolo, la soluzione al problema del debito sta, almeno in parte, in una forte tassazione una tantum dei grandi patrimoni: una misura di equità fiscale, che non genera caduta dei consumi e della domanda e che sarebbe internazionalmente apprezzata. Ma Renzi non ha mai voluto sentir parlare di tasse!

Riferimenti

L'articolo di Camagni fa seguito a un documento del CADTM, alla replica critica di Roberto Camagni e al successivo intervento di Edoardo Salzano,

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