premessa
pubblichiamo l'ampio documento approvato il 26 novembre 2016 dalla Sezione Emilia-Romagna di Italia nostra: una puntuale critica di un testo inaccettabile da chi non sia intimamente legato agli interessi immobiliari, o non trovi comunque il suo tornaconto nell'ulteriore sfacelo delle città, dei territori e delle società che li abitano: la bozza di legge "Disciplina regionale sulla tutela e l'uso del territorio" (scaricabile qui)
Invitiamo i nostri lettori a soffermarsi in particolare sugli ultimi paragrafi, là dove si argomenta questa sintetica definizione della proposta emiliano-romagnola: la "semplificazione" introdotta dalla proposta consiste«semplicemente nell’abolizione della disciplina urbanistica, intesa come determinazione preventiva delle trasformazioni ammissibili sul territorio nel segno dell’interesse pubblico, fondata sull’accertamento sistematico della loro sostenibilità e sul preordinamento delle condizioni di fattibilità e dei requisiti, sia per nuovi insediamenti che per interventi di rigenerazione e qualificazione urbana Sulla proposta pubblicheremo ulteriori scritti.
Invitiamo i nostri lettori a soffermarsi in particolare sugli ultimi paragrafi, là dove si argomenta questa sintetica definizione della proposta emiliano-romagnola: la "semplificazione" introdotta dalla proposta consiste«semplicemente nell’abolizione della disciplina urbanistica, intesa come determinazione preventiva delle trasformazioni ammissibili sul territorio nel segno dell’interesse pubblico, fondata sull’accertamento sistematico della loro sostenibilità e sul preordinamento delle condizioni di fattibilità e dei requisiti, sia per nuovi insediamenti che per interventi di rigenerazione e qualificazione urbana Sulla proposta pubblicheremo ulteriori scritti.
LA BOZZA DI PROPOSTA
DI NUOVA LEGGE REGIONALE
PRIME CONSIDERAZIONI
L’assessore Donini conclude le sue presentazioni affermando
la necessità di grande celerità nel procedimento di esame a approvazione della
nuova legge regionale 20/2000, per la quale esisterebbero in ambito nazionale
vaste aspettative. Vorrebbe sottoporre la proposta alla giunta regionale entro
l’anno, o nelle prime settimane del prossimo, comprimendo la presentazione in
un paio di settimane, e attendo osservazioni e contributi entro novembre.
L’entità del provvedimento, che azzera il sistema di
disciplina del territorio e con esso buona parte dei poteri e delle competenze
dei comuni, esige un confronto ampio e approfondito, assolutamente non
riducibile a qualche settimana. É indispensabile quindi che la consultazione
sia condotta ora, prima dell’approvazione da parte della giunta, dedicando tempo
ed energie adeguate e grande attenzione a quanto ne risulterà. Va poi
considerato che oltre al merito del provvedimento, ,anche la sua stessa stesura
merita censure gravi, soffrendo di gravi contraddizioni e lacune, tali da
esigere comunque sostanziali rielaborazioni.
L’assessore Donini inizia invece le sue presentazioni con l’immagine
della bussola con i punti cardinali della sua proposta: ambiente, semplificazione, sviluppo economico, legalità. Vediamo come
sono interpretati questi riferimenti nei dispositivi della nuova legge.
1. Le disposizioni proposte in materia di ambiente
La politica per l’ambiente coincide interamente con il vantato
taglio del consumo di suolo, che in realtà è più che dubbio. Secondo i dati presentati dall’assessore, gli insediamenti
urbani occupano nel territorio regionale 2.280 chilometri quadrati, e i piani
urbanistici consentono un’ulteriore espansione di 250. Limitando a un massimo
del 3% la crescita del territorio urbanizzato l’espansione ulteriore sarebbe,
secondo l’assessore, contenuta in 70 Kmq.
Questo obiettivo è perseguito nella legge con due
disposizioni:
- riservando il consumo di suolo a opere pubbliche o di
interesse pubblico, a insediamenti strategici per l’attrattività e la competitività del territorio, nonché alle
edificazioni residenziali necessarie per
attivare interventi di rigenerazione di parti significative del territorio
urbanizzato a prevalente destinazione residenziale e per realizzare interventi
di edilizia residenziale sociale (articolo 5, commi 2 e 3);
- limitando l’ulteriore consumo di suolo al tre per cento del
territorio urbanizzato esistente (articolo 6, comma1).
La prima di queste disposizioni non è limitativa come
appare. In primo luogo è contraddetta dall’articolo 6, comma 5 che invece
esclude le opere pubbliche o di interesse pubblico e gli insediamenti
strategici dal computo del consumo di suolo. E per legittimare il consumo di
suolo per nuovi insediamenti residenziali appare sufficiente associarvi una
quota di edilizia residenziale sociale anche modesta, finanziata con la
valorizzazione della restante parte. Visto che opere pubbliche o interesse
pubblico e insediamenti strategici non sono da computarvisi, il contingente di
territorio consumabile è quindi da intendersi essenzialmente destinato a
residenza e a insediamenti produttivi non
strategici.
La seconda disposizione, che stabilisce il limite del 3% all’ulteriore
consumo di suolo, non è affatto in sé restrittivo: nel territorio provinciale
di Modena i centri abitati perimetrati dall’ISTAT hanno un’estensione
complessiva di oltre 23mila ettari. Il 3% corrisponde a 630 ettari (6,3 Kmq),
sufficienti ad accogliere almeno 70mila abitanti, oppure circa 40mila addetti.
La sola città di Modena potrebbe crescere più o meno altri 160 ettari, ovvero
ottomila abitazioni per ventimila abitanti.
A questo incremento del 3% è inoltre da aggiungersi una
buona parte delle espansioni urbanistiche già disposte dai piani vigenti, che
l’assessore quantifica in 250 Kmq. Entro tre anni dall’approvazione della legge
regionale i proprietari possono stipulare con i comuni accordi operativi per la loro utilizzazione edificatoria, anche
derogando alle norme della legge regionale che li subordinano al POC (piano
operativo comunale). A norma dell’articolo 6, comma 6 tali aree non sono
computate nel limite del consumo di suolo: sono così tutelati i sedicenti diritti acquisiti, per i quali l’ANCE rivendica però almeno cinque anni di tempo per provvederne il salvataggio.
Mancano i dati per una valutazione quantitativa della quota
di questi 250 Kmq che risulterà sottratta al limite di consumo di suolo.
Considerando tuttavia che una parte consistente è sicuramente già disciplinata
da POC o PUA (piani urbanistici attuativi), e che è da attendersi una corsa a
mettere al sicuro quella che ancora non lo è, non sarebbe sorprendente che i 70
Kmq di nuovi insediamenti fattibili nel limite del 3% se ne aggiungessero più
che altrettanti, fatti passare per diritti
acquisiti.
Nelle pieghe della proposta di legge si possono poi scoprire
altre disposizioni che concorrono ad estendere ulteriormente la quantità di
suolo consumabile. Ad esempio:
- nella definizione del territorio
urbanizzato su cui calcolare il contingente di suolo consumabile (il 3%) rientrano
anche i parchi e servizi pubblici esistenti: quelli di nuova realizzazione non
concorrono però al computo del consumo di suolo; la possibilità di soddisfare
gli standard a distanza consentirebbe
di delocalizzare le quote di verde di un nuovo insediamento, sottraendole al
computo del consumo di suolo essere assegnate altrove, e tendenzialmente
destinare l’intero 3% alla sola edificazione e urbanizzazione primaria;
- sono classificati come territorio
urbanizzato anche i pezzi di campagna sui quali vigono piani
particolareggiati o sono convenzionate le opere di urbanizzazione;
quindi non sono considerati consumo di suolo, ma anzi concorrono ad accrescere
la base su cui è calcolato l’incremento ammissibile del 3%;
- le opere pubbliche, l’ampliamento di stabilimenti su
contiguo territorio agricolo, i nuovi insediamenti produttivi di interesse
strategico regionale (come la Philip Morris di Crespellano), le infrastrutture
nel territorio rurale (anche la Cispadana) non sono computate come consumo di
suolo.
Tenendo conto di tutte le eccezioni e garbugli della proposta di legge, non sorprenderebbe affatto se l’effettivo consumo di suolo che ammette (in termini di terreno attualmente agricolo assegnato ad altre funzioni) risultasse doppio o triplo del proclamato 3%.
In realtà una limitazione seria del consumo di suolo non può venire da quantificazioni di legge, apparentemente facili ma difficilissime da tradurre in pratica, ma solo da una pianificazione territoriale consapevole e capace.
Gli standard della attuale legge regionale vengono mantenuti solo per le nuove urbanizzazioni, mentre nel territorio
urbanizzato gli interventi di
ristrutturazione urbanistica e di addensamento e sostituzione urbana possono
comportare la cessione al Comune di aree per dotazioni territoriali anche al di
sotto della quantità minima prevista dal DM 1444/1968, e addirittura di
monetizzarla. Per
questi interventi è addirittura ammessa la derogabilità delle dotazioni di
parcheggi, a fronte dell’impegno
dell’operatore e dei suoi aventi causa a rispettare le limitazioni al possesso
e all’uso di autovetture.
Considerando che in generale sono solo proprio gli interventi di ristrutturazione urbanistica e
di sostituzione urbana su complessi edilizi dismessi, pubblici e privati, a
consentire la possibilità di adeguamenti delle dotazioni di verde e servizi a
favore del contesto urbano, queste disposizioni favoriscono politiche urbane
opposte a quelle indispensabili a conseguire effettivi guadagni di qualità nel
territorio urbanizzato, in particolare quanto a dotazioni di verde,
determinanti sotto il profilo ambientale.
2. Le disposizioni proposte in materia di semplificazione
La bozza di legge propone di porre in atto due ordini principali
di sedicenti semplificazioni:
- nei confronti della disciplina urbanistica, sopprimendo la
sua funzione essenziale, ovvero la regolazione preventiva delle trasformazioni
intensive della città;
- nei confronti del sistema di disciplina del territorio,
soppiantandolo con un altro radicalmente diverso.
Sono poi proposte altre misure, fra cui un allargamento
dell’impiego della SCIA a ulteriori tipi di intervento.
2.1 La semplificazione della disciplina del territorio
Questa semplificazione consiste semplicemente nell’abolizione della disciplina urbanistica, intesa come determinazione preventiva delle trasformazioni ammissibili sul territorio nel segno dell’interesse pubblico, fondata sull’accertamento sistematico della loro sostenibilità e sul preordinamento delle condizioni di fattibilità e dei requisiti, sia per nuovi insediamenti che per interventi di rigenerazione e qualificazione urbana.
Per le trasformazioni intensive nel territorio urbanizzato
(che può includere grandi complessi dismessi, e aree inedificate anche ampie) l’articolo
32 comma 4 vieta addirittura la possibilità stessa di disciplina urbanistica
generale: il PUG non può stabilire la
capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato
né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili.
É lasciata la possibilità di regolare gli interventi minori diffusi sul
patrimonio edilizio esistente.
Per le nuove urbanizzazioni la sola disciplina quantitativa appare
consistere nel limite del 3% alla loro estensione complessiva.
In luogo della disciplina urbanistica subentra una Strategia per la qualità urbana ed ecologico
ambientale cui, sul riferimento di obiettivi molto generali, spetta
indicare i criteri e le condizioni generali
che, specificando le politiche urbane e territoriali perseguite dal piano,
costituiscono il quadro di riferimento per gli accordi operativi. E che in
sostanza sono circoscritti alla formulazione di obiettivi generali in ordine ai sistemi dei servizi pubblici e
delle infrastrutture, e a nebulose istanze di riduzione della pressione del sistema insediativo sull’ambiente
naturale, di adattamento ai
cambiamenti climatici e di miglioramento
della salubrità dell’ambiente urbano.
La Strategia può anche
comprendere indicazioni sull’assetto
spaziale di massima degli interventi e individuare i relativi fabbisogni specifici di servizi e
infrastrutture, ma secondo l’articolo 33, comma 2, nel queste indicazioni di massima possono essere modificate in sede di accordo
operativo senza che ciò costituisca variante al PUG.
In sostanza ogni determinazione quantitativa e qualitativa
su nuovi insediamenti o rigenerazioni urbane è assegnata a valutazioni da
svolgersi caso per caso su proposte avanzate per esclusiva e arbitraria iniziativa
privata, in tempi ristretti e perentori. É preclusa la funzione essenziale
della disciplina urbanistica, cioè la valutazione sistematica preventiva della
sostenibilità e compatibilità delle trasformazioni del territorio,
necessariamente da compiersi nell’ambito della pianificazione generale.
É da aggiungere che le valutazioni caso per caso sono
peraltro circoscritte dall’articolo 37 comma 6 alla solo verifica della loro
conformità al PUG, comunque certa a priori, considerata la proibizione di
disposizioni vincolanti in questo strumento.
In conclusione il comune risulta totalmente subordinato
all’iniziativa privata, e perde ogni potere negoziale nei confronti dei
privati, non avendo controllo sulla graduazione temporale degli interventi né
sulla capacità insediativa da assegnare, né sulla loro conformazione.
Altre semplificazioni sono
proposte con la differenziazione e la derogabilità degli standard, già qui
considerate al punto 1, e con la generale derogabilità nel territorio
urbanizzato dei limiti di distanza, altezza, densità disposti dal DM 1444/1968
e dalle discipline comunali delle libere visuali, anche in caso di demolizione
e costruzione o ampliamento. Anche nel caso di interventi più radicali sarebbe
così interdetta la possibilità di miglioramenti della qualità abitativa e
funzionale dell’edificato.
2.2 La semplificazione
del sistema di disciplina del territorio
Tutti i vigenti strumenti urbanistici vengono soppressi.P SC (piano strutturale comunale), RUE (regolamento
urbanistico edilizio) e POC (piano operativo comunale) sono sostituiti dal PUG
(piano urbanistico generale). Ai piani urbanistici attuativi subentra il solo accordo operativo,
che tutti li sostituisce.
La differenziazione fra PSC e RUE aveva il compito primario
di discriminare le discipline da decidere attraverso l’interazione di una
pluralità di soggetti portatori di interessi pubblici, da codificarsi stabilmente
nel PSC, e quelle da rimettersi all’autonomia decisionale dei comuni definite
da RUE e POC.
L’unificazione nel PUG sopprime la possibilità di nette
attribuzioni dell’autonomia comunale, e riconduce ad un unico procedimento di
approvazione. Qualsiasi modificazione o aggiornamento del PUG è soggetto alla
valutazione del comitato urbanistico di area vasta (la Provincia), a
prescindere dalla sua importanza ed entità, anche quando si tratti di
determinazioni che oggi dovrebbero spettare ad autonome determinazioni dei
comuni, se coerenti al PSC. Questo contraddice le esigenze di tempestività e
agilità indispensabili per cogliere le opportunità e rispondere alle istanze
che nel corso del tempo emergono nel territorio urbanizzato e nel territorio
rurale.
La sostituzione dei piani urbanistici attuativi con l’istituito
dell’accordo operativo esautora i
comuni dalla capacità di iniziativa per modellare e dirigere qualsiasi
trasformazione urbanistica. Nella proposta di legge il diritto di iniziativa è
infatti attribuito in via esclusiva ai
privati proprietari, cui soli spetterebbe la funzione di elaborare e presentare
progetti urbanistici. Al comune rimane solo da verificarne la scontata conformità
a una pianificazione priva di disposizioni cogenti, e negoziare il concorso dei privati alle dotazioni, infrastrutture e
servizi correlati all’intervento, nel termine perentorio di sessanta giorni.
Se i privati non avanzano proposte il comune non può avviare
alcuna iniziativa, né formare propri piani urbanistici attuativi, nemmeno allo
scopo di preservare dalla decadenza quinquennale i vincoli espropriativi;
nemmeno può utilizzare i poteri disposti dalla legge urbanistica nazionale per coordinare
o imporre l’attuazione di piani particolareggiati.
2.3 Considerazioni
conclusive
Concludendo, la proposta semplificazione della disciplina
del territorio consiste sostanzialmente nella sua abolizione. Alla
pianificazione è addirittura vietato accertare
preventivamente la sostenibilità dei nuovi insediamenti e delle
intensificazioni del tessuto urbano, e disporre di conseguenza una disciplina
cogente.
Destinazioni residenziali, produttive, per terziario o
distribuzione commerciale sul territorio, e il dimensionamento degli
insediamenti sono rimessi all’iniziativa propositiva dei privati, la cui
inerzia non può essere al caso supplita, nonostante le norme nazionali lo
consentano: tutto è subordinato al raggiungimento di accordi con le proprietà
private proponenti, in tempi e a condizioni proibitivi per i comuni. La
casualità di questo processo preclude in particolare l’opportunità, anzi il
dovere, di utilizzare i nuovi insediamenti che concluderanno la fase storica
dell’urbanizzazione per condurre a buon compimento la forma delle città e
soprattutto conferire qualità ai margini urbani e alla loro relazione con il
paesaggio agrario.
Per quanto riguarda l’asserita semplificazione degli
strumenti urbanistici è facile prevedere effetti di segno contrario fortemente
preoccupanti.
In primo luogo tutto il sistema di pianificazione
territoriale, sia regionale che provinciale, fa riferimento all’ordinamento e
ai contenuti degli strumenti comunali disposti dalla legge regionale 20/2000:
la loro abrogazione, e i sostanziali cambiamenti nei compiti e contenuti della
pianificazione comunale sconvolgono sia i riferimenti della pianificazione
sovraordinata alle funzioni di PSC, RUE e POC, sia il concetto stesso di
conformità dei PUG ai piani territoriali. Le medesime considerazioni valgono
per piani e discipline di settore, sia regionali che provinciali, con
conseguenti inestricabili complicazioni e confusione.
L’integrazione nel complessivo sistema di governo del
territorio del modello e dei compiti della pianificazione urbanistica proposti esigerebbe
la sostanziale rielaborazione dei vigenti piani territoriali e discipline di
settore appoggiate alla strumentazione urbanistica comunale.
In secondo luogo tutte le modificazioni alla disciplina
urbanistica comunale vengono ricondotte ai due procedimenti di formazione o
variazione del PUG, e di formazione degli accordi
operativi (non è contemplato il caso di loro varianti).
Quindi anche le varianti minori al PUG, attualmente
sostanzialmente rimesse all’autonoma competenza comunale, risultano soggette al
medesimo procedimento Anche la sostituzione di tutti i piani urbanistici
attuativi con il solo istituto dell’accordo
operativo, oltre a esautorare i comuni, pone preoccupanti interrogativi, ad
esempio sulle modalità di modificazione o di rinnovo dei piani
particolareggiati in corso di attuazione o a scadenza.
3. Le disposizioni proposte in materia di sviluppo economico
Le disposizioni specifiche consistono essenzialmente nella
esenzione dalle limitazioni sul consumo di suolo di molta parte delle esigenze
di ampliamento e sviluppo di impianti produttivi e di nuovi insediamenti
produttivi strategici. Molto appare
atteso tuttavia dalla soppressione di larga parte della disciplina urbanistica.
Vale la pena di ricordare che i vertici dello sviluppo
economico in questa regione sono stati toccati tra gli anni ’70 e ’80 in
contesto istituzionale e in un ordinamento che attribuivano massima importanza
alla disciplina del territorio e al pieno utilizzo dei poteri istituzionali dei
comuni per governarne e anche attuarne le trasformazioni richieste dalle
accelerate dinamiche sociali ed economiche.
4. Le disposizioni proposte in materia di legalità
Consistono in obblighi di pubblicità e trasparenza sugli
effetti economici prodotti dalla conclusione di accordi operativi, in termini
di valorizzazioni e di loro beneficiari.