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Giorgio Nebbia
Dall'abbondanza all'abbastanza
18 Novembre 2016
Libri segnalati
«Commento al libro di Johan Rockström e Mattias Klum
«Commento al libro di Johan Rockström e Mattias Klum

Grande mondo, piccolo pianeta. La prosperità entro i confini planetari». Casa della cultura, Milano, online, 18 novembre 2016 (c.m.c.)

Il libro di Johan Rockström e Mattias Klum, Grande mondo, piccolo pianeta (sottotitolo: La prosperità entro i confini planetari, Edizioni Ambiente, 2015), nelle sue 219 pagine porta un contributo alla tesi che il progresso tecnico e la crescita economica comportano, sì, problemi ambientali locali e planetari ma che loro stessi sono in grado di attenuare e risolvere.

Già nella metà dell'Ottocento l'americano George Marsh aveva parlato dell'uomo come "modificatore" della natura ma, senza tornare troppo indietro nel tempo, si può dire che l'attenzione per gli effetti negativi delle attività umane sulla natura e l'ambiente cominci negli anni Sessanta del secolo scorso: un periodo di grande e rapido sviluppo economico e tecnologico dei paesi industrializzati - Unione Sovietica compresa - mentre nei paesi poveri stavano crescendo i movimenti di liberazione dai domini coloniali e la volontà di trarre beneficio, per i rispettivi popoli, dalle risorse naturali (minerali, fonti di energia, prodotti agricoli e forestali) che fino allora erano stati sfruttati da paesi e società stranieri.

Violenza e sfruttamento si manifestavano anche nei confronti della Natura (con la enne maiuscola): le esplosioni sperimentali delle bombe nucleari stavano diffondendo polveri radioattive su tutto il pianeta; il crescente uso di pesticidi per aumentare la produzione agricola spargeva sostanze tossiche fra i viventi, vegetali, animali, compreso l'"animale uomo"; la crescente produzione di merci della società dei consumi si traduceva in una altrettanto crescente produzione di agenti inquinanti da parte delle fabbriche e delle stesse, sempre più estese, città; nuove sostanze chimiche e armi erano usate, nella guerra del Vietnam e nelle tante guerre e guerriglie, contro la popolazione civile.

Negli stessi anni le fotografie della Terra scattate dai satelliti artificiali mostravano che questa grande e bella sfera era ricca di acqua e foreste, ma era limitata, l'unica nostra casa nello spazio da cui trarre materie utili alla vita e in cui mettere le scorie delle attività umane. Prima negli Stati Uniti, poi in Europa, si diffusero così due parole sovversive: limite e ecologia; proprio quel Kenneth Boulding - che il libro di critica fin dalle prime pagine - aveva contribuito a diffondere, nella metà degli anni sessanta, l'idea che dobbiamo vivere sul nostro pianeta come gli astronauti in una capsula spaziale, "Spaceship Earth", perché solo da questa Terra possiamo trarre i beni per la vita e solo in essa possiamo rigettare i nostri rifiuti.

Nel corso di pochi anni fra il 1965 e il 1972 si sono moltiplicati libri e articoli che mettevano in guardia circa la strada imboccata dall'umanità, fino al libro più sovversivo di tutti, apparso nel 1972 - The Limits to Growth di Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows; Jørgen Randers e William W. Behrens - che in poche pagine invitava l'umanità a porre "limiti alla crescita" della popolazione e della produzione industriale di merci, se si volevano evitare prevedibili crisi economiche, ecologiche e sociali come guerre e malattie.

Ben presto il potere economico capì che questo modo di ragionare avrebbe disturbato il mondo degli affari fondato proprio sulla crescita delle merci e del denaro e passò al contrattacco. Alcuni importanti economisti accademici, come l'inglese Wilfred Beckerman, spiegarono che mai la crescita economica avrebbe potuto comportare nuovi danni ambientali, anzi che solo la crescita avrebbe potuto risolverli. Altri sostennero che una limitazione della crescita economica avrebbe danneggiato i paesi più poveri che, al contrario, avrebbero potuto uscire dalla loro condizione di miseria soltanto se avessero potuto disporre di più merci e beni materiali. Altri ancora, invece, come Colin Clark, si sforzarono di riportare il mondo alla ragionevolezza dimostrando, dati alla mano, che le risorse della Terra sarebbero state sufficienti a sfamare fino a 40 miliardi di persone (allora la popolazione mondiale era di meno di 4 miliardi).

Una svolta importante si ebbe nel 1987 quando fu pubblicato il rapporto intitolato Il futuro di tutti noi elaborato da una commissione di studiosi, economisti e politici - la World Commission on Environment and Development, WCED - coordinati dalla ministra svedese Gro Harlem Brundtland. Nel rapporto si sosteneva che è vero che esistono problemi ambientali associati alla crescita dell'economia e della produzione agricola e industriale ma che, con opportuni accorgimenti finanziari e scientifici, sarebbe stato possibile raggiungere un futuro "sostenibile". "Sostenibile" - il contrario di insostenibile, insopportabile, che non può durare a lungo - divenne così la bandiera di un vasto movimento destinato ad arginare le proposte di decrescita, tanto che la Conferenza delle Nazioni Unite che si tenne a Rio de Janeiro nel 1992, a venti anni da quella precedente sull'Ambiente umano, scelse proprio come tema quello dell'Ambiente sostenibile.

Ormai il concetto di sostenibilità è stato adottato anche da molti movimenti ambientalisti, dai governi, dalle imprese, per cui l'aggettivo sostenibile è oggi tranquillizzante garanzia di un futuro di progresso, sviluppo, crescita e benessere. Esso accompagna anche prodotti, comportamenti e merci come garanzia del loro carattere ecologico.

Esiste un gran numero di libri, riviste, conferenze, programmi politici e cattedre universitarie che spiegano la sostenibilità degli affari umani, anche in anni di crisi questi primi due decenni del XXI secolo. A questo punto non resta che vedere se e come è possibile risolvere in maniera sostenibile le principali contraddizioni ambientali e sociali con cui stiamo facendo i conti. Un aiuto viene dal libro che citavo all'inizio. Come spiega la "Prefazione", esso è diviso in tre parti. La prima elenca le sfide ambientali; la seconda spiega che si può avere insieme prosperità e maggiore giustizia fra gli abitanti della Terra e fra le generazioni nel rispetto delle dimensioni, "piccole", come dice il titolo, del pianeta; e la terza elenca varie soluzioni tecniche già sperimentate e che funzionano, all'insegna della "resilienza", cioè della capacità di adattamento e di correzione in funzione dei mutamenti ambientali. Sono queste soluzioni che meritano una analisi più dettagliata.

La possibilità di muovere a grandi distanze e velocemente persone e cose è stata una delle grandi conquiste del XX secolo. L'invenzione del motore a scoppio, i perfezionamenti della raffinazione del petrolio, i progressi nei trasporti terrestri con autoveicoli e camion hanno modificato le città e tutta l'economia mondiale. Oggi gli autoveicoli che percorrono le strade del mondo sono oltre un miliardo. Col passare del tempo si è però visto che i comodi rapidi e continui cambiamenti di velocità, consentiti dal motore a scoppio, sono accompagnati da una combustione parziale della benzina e del gasolio con conseguenti emissioni di gas inquinanti, alcuni nocivi, che fanno sentire i loro effetti soprattutto negli spazi urbani.

Inoltre, si è osservato che i trasporti assorbono una rilevante frazione, circa il trenta percento, dei consumi totali di derivati del petrolio. Per passare a trasporti sostenibili, le case automobilistiche si sono impegnate nella produzione di motori che usano meno carburante e inquinano di meno per ogni chilometro percorso, anche per adeguarsi a limiti sempre più severi imposti da molti stati europei. Un contributo importante alla diminuzione dell'inquinamento dovuto al traffico automobilistico è stato dato dall'introduzione delle marmitte catalitiche capaci di trasformare i composti del carbonio in anidride carbonica e gli ossidi di azoto in azoto gassoso.

Se proprio occorre spostarsi in automobile, è possibile diminuire i consumi di carburante e l'inquinamento facendo in modo che più persone che fanno lo stesso percorso utilizzino un solo autoveicolo: si tratta del cosiddetto car-sharing già incoraggiato da molte aziende ed uffici o autonomamente organizzato fra colleghi o conoscenti che quotidianamente percorrono lo stesso tratto di strada. Tuttavia, le maggiori speranze sono riposte nella transizione verso automobili elettriche. I successi sono rapidissimi: alcune case automobilistiche hanno già messo in commercio veicoli dotati di batterie che possono essere ricaricate in stazioni poste lungo le strade o addirittura dalla rete elettrica domestica.

Nell'attesa che questo sistema si consolidi e diffonda, gli autoveicoli con motori a scoppio potrebbero essere alimentati con carburanti diversi da quelli petroliferi, per esempio derivati dalla biomassa come l'alcol etilico, il cosiddetto bioetanolo, ottenibile da sottoprodotti agricoli o da piante non alimentari, o gli esteri degli acidi grassi chiamati biodiesel, anche questi ottenibili da grassi non alimentari o di scarto.

Il problema della mobilità è strettamente legato a quello delle città che saranno in futuro sempre più grandi e sempre più affollate ma che possono essere riprogettate con spazi verdi e ricreativi e strade adeguate alla mobilità dei mezzi di trasporto sia privati sia pubblici. Dove possibile, come sta avvenendo in diversi contesti, andrebbero previsti anche percorsi riservati alla mobilità in bicicletta: questo sarebbe un modo semplice e al tempo stesso importante per diminuire i consumi di energia e l'inquinamento. Oltre a ciò è necessario considerare che la città ha un suo metabolismo: tutti i materiali - cibo, acqua, merci - che entrano nella città ne escono, dopo un tempo più o meno breve, sotto forma di rifiuti gassosi, liquidi e solidi.

Per lo smaltimento di questi ultimi - in molte metropoli si arriva a mezza tonnellata di rifiuti solidi urbani all'anno per abitante - diventa sempre più difficile trovare spazi e tecnologie che non provochino inquinamenti. Per rendere le città sostenibili sarebbe necessario adottare tecniche per il riciclo di tutto quanto è possibile: carta, vetro, metalli, separarti dai rifiuti, sono già materie "seconde" per molti cicli produttivi e se ne possono ricavare nuove merci con minore consumo di energia e riducendo l'estrazione di materie prime dalla natura.

Maggiori difficoltà, se non si mettono in campo politiche per il riciclo, si hanno con i rifiuti di plastica, difficilmente decomponibili da parte dei microrganismi, i grandi riciclatori naturali di quasi tutta la materia. Molti sforzi sono fatti per arrivare a oggetti di plastica che siano biodegradabili partendo da materie vegetali attraverso il contributo di una chimica "verde", ma il problema rimane aperto e interessa in particolare gli shoppers, i sacchetti per il trasporto delle merci dal negozio a casa: solo in Italia vengono usati 20 miliardi di sacchetti all'anno, spesso dispersi nell'ambiente.

Cibo e acqua sono beni essenziali per la popolazione umana in continua crescita. Per evitare l'estensione delle terre coltivabili - che comporta perdita di biodiversità e sottrazione di spazi indispensabili per le popolazioni locali - è possibile aumentare la resa produttiva per ettaro con un uso più razionale dei concimi, evitando cioè che il loro uso eccessivo provochi alterazioni degli ecosistemi.

Anche le tecniche di aratura possono essere perfezionate in modo da evitare la distruzione degli strati superficiali di fertile humus. L'irrigazione, che assorbe circa il 70% di tutta l'acqua utilizzata nel mondo, può essere effettuata con molta meno acqua. La riflessione sulla sostenibilità va poi estesa ai tipi di alimentazione. Spesso le carenze alimentari sono dovute a mancanza di proteine di elevata qualità, come quelle degli alimenti di origine animale, mentre molte proteine vegetali, soprattutto dei cereali, sono povere di amminoacidi essenziali. L'allevamento del bestiame da carne e latte comporta però un elevato consumo di prodotti agricoli sottratti all'alimentazione umana.

Proteine con buona composizione di amminoacidi sono contenute nelle leguminose, le piante capaci anche di fissare l'azoto atmosferico e di crescere senza bisogno di concimi azotati artificiali. Una migliore conoscenza e una maggiore diffusione dei legumi - una volta chiamati "la carne dei poveri" - aiuterebbe a migliorare l'alimentazione di molta parte della popolazione umana. Grandi progressi nella disponibilità di alimenti per i paesi poveri e le classi più disagiate dei paesi industrializzati potrebbero essere realizzati attraverso la lotta agli sprechi nella lunga catena che va dai campi, alle industrie di trasformazione, alla distribuzione nei negozi, alle famiglie. Si calcola che ogni anno vada perduto oltre un miliardo di tonnellate di prodotti che potrebbe essere destinato all'alimentazione umana.

Forse il più delicato dei problemi ambientali che abbiamo di fronte riguarda i mutamenti climatici provocati da un lento inarrestabile riscaldamento dell'intero pianeta Terra. Tutte le attività umane, il metabolismo delle persone, degli animali e delle fabbriche, libera nell'atmosfera gas che vanno dall'anidride carbonica, prodotta dalla combustione dei combustibili fossili in ragione di oltre 30 miliardi di tonnellate all'anno, al metano liberato dagli animali da allevamento e dalla decomposizione dei rifiuti organici, ad altri gas di origine industriale, complessivamente indicati come "gas climalteranti" o "gas serra": la loro crescente presenza trasforma l'atmosfera in una specie di barriera che trattiene il calore solare come fa il vetro di una serra.

L'aumento della loro concentrazione nell'atmosfera influenza il bilancio fra la radiazione solare visibile che arriva sulla superficie della Terra e la radiazione infrarossa che la Terra riemette verso il cielo, un equilibrio che finora ha consentito di conservare la temperatura "media" del pianeta intorno a circa 15 gradi Celsius. Da mezzo secolo un aumento di tale temperatura, per ora valutabile in circa un grado Celsius, sta provocando in alcune zone del pianeta piogge intense e improvvise intercalate da periodi di siccità; in altre l'avanzata dei deserti e siccità; in altre ancora la fusione di una parte dei ghiacci polari e di alta montagna e un conseguente lento aumento del livello degli oceani per ora stimabile di alcuni millimetri all'anno. All'effetto serra contribuisce anche la progressiva distruzione delle foreste per estrarre minerali e per espandere coltivazioni commerciali.

Al problema del riscaldamento planetario e a un minore uso dei combustibili fossili si potrebbe far fronte con strumenti fiscali - come una tassa applicata a chi usa tali combustibili - o tecnologici - come la diffusione di impianti fotovoltaici che producono elettricità dal sole, con centrali termoelettriche azionate dal vapore prodotto concentrando la radiazione solare mediante specchi su adatte caldaie, con pale tenute in moto dall'energia del vento, con centrali idroelettriche che utilizzano la forza delle acque in movimento: tutte fonti "pulite" e continuamente rinnovabili -. E magari - perché no? - con centrali nucleari. Si è già accennato che anche la parte dei prodotti petroliferi richiesti dai trasporti terrestri può essere sostituita da carburanti liquidi ricavati dalla biomassa.

Il libro di Rockström e Klum contiene molti altri esempi di soluzioni tecniche e di proposte innovative sostenibili, qua e là realizzate concretamente e con successo: porta dunque un messaggio di speranza e di ottimismo sul futuro dell'umanità con "illimitate opportunità di abbondanza", in marcia verso l'obiettivo del "triplo zero: zero emissioni, zero perdita di biodiversità, zero espansione dei terreni agricoli". Alla fine della lettura del libro restano però alcuni dubbi. Purtroppo la natura non fa sconti a nessuno. Ogni attività umana, sia pure virtuosa e apparentemente sostenibile, non fa altro che prelevare materie dalle riserve, grandi ma non illimitate della natura, trasformarle in cose utili, la cui massa è inferiore a quella delle materie prelevate. Inoltre, tanto gli scarti della trasformazione, tanto le cose utili, dopo l'uso, ritornano nell'ambiente naturale in forma di scorie e rifiuti.

Questi possono in parte essere trasformati in altre cose utili, ma in quantità inferiore e di qualità peggiore rispetto a quella delle materie originali. Insomma non esiste nessun "zero rifiuti" e si ha una continua perdita di risorse naturali e un continuo peggioramento della qualità delle risorse disponibili, compresa la perdita di fertilità dei terreni agricoli. Questo terribile vincolo è imposto dalle leggi della termodinamica e della conservazione della massa. Le "opportunità di abbondanza", promesse dal libro in realtà non sono "illimitate" e col limite ci si scontrerà tanto più presto quanto maggiore e rapida sarà la corsa verso tale abbondanza.

Quindi se ci sta a cuore assicurare i beni essenziali - cibo, acqua, salute, istruzione, dignità - a tutti, comprese le persone delle classi più disagiate dei paesi ricchi e quelle dei paesi poveri, in un pianeta i cui abitanti aumentano ancora oggi di sessanta milioni all'anno, bisognerà giocoforza passare dal mito dell'abbondanza a quello dell'abbastanza. Anche così le attività umane continueranno a impoverire le risorse della natura e a contaminare tali risorse con le loro scorie ma, almeno, ciò avverà più lentamente.

Ogni accelerazione del cammino sulla via dell'abbondanza comporta l'impoverimento, oltre che della natura, di "qualcuno", il che provoca inevitabilmente conflitti, malattie, rivendicazioni, migrazioni. È lo scenario che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni, sotto i lustrini del lusso, le luci sfolgoranti, le promesse della pubblicità: con buona pace dei libri come quello di cui si è parlato. So che, di questi tempi, citare il pensiero espresso da Papa Francesco nell'enciclica Laudato si' è considerato da taluni politicamente poco corretto. Tuttavia il modesto autore di queste note - per quel poco che ha studiato in molti decenni sui rapporti fra attività umane e modificazioni ambientali - ritiene che il Papa, quando mette in guardia nei confronti dei nostri modi di produzione e di consumo, abbia proprio ragione.

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