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Andrea Bonanni
L'Europa sull'orlo di una crisi di nervi
17 Settembre 2016
Politica
«Siamo in una situazione critica», ha confermato la cancelliera Merkel. «Il rischio di sfaldamento dell’Europa non è mai stato così grande. Parlo proprio della separazione, del ritorno alle frontiere, del rifiuto della solidarietà, della fine dell’euro».

«Siamo in una situazione critica», ha confermato la cancelliera Merkel. «Il rischio di sfaldamento dell’Europa non è mai stato così grande. Parlo proprio della separazione, del ritorno alle frontiere, del rifiuto della solidarietà, della fine dell’euro».

La Repubblica, 17 settembre 2016 (m.p.r.)

Un padre troppo rigido che vuole solo risparmiare. Una madre troppo frivola che pensa solo a spendere. Dei figli ingrati e ribelli che non aiutano in casa e pensano solo alla paghetta. Ora che la vecchia zia inglese, ricca ma rompiscatole, ha annunciato che se ne va, salvatela voi una famiglia così. Poiché l’Unione europea non si è ancora dotata di un consultorio familiare, i leader dei Ventisette si sono trovati ieri a Bratislava per cercare di risolvere «la crisi esistenziale» dell’Europa innescata dalla Brexit. Ma, proprio come succede a certe famiglie disfunzionali, non hanno trovato soluzione migliore che ignorare i troppi motivi di contrasto per concentrarsi sui pochissimi punti di possibile consenso. Non c’è da stupirsi che Renzi, ieri, abbia usato toni così duri nella conferenza stampa finale, prendendo le distanze da Berlino e Parigi e sottolineando senza perifrasi la sua insoddisfazione.

Tra i potenziali terreni di intesa c’è il rafforzamento di una vera Difesa europea, sulla base di un documento messo a punto dall’Alta rappresentante Federica Mogherini e ripreso da una lettera congiunta di Merkel e Hollande. Potrebbe essere un passo avanti molto importante sulla via dell’integrazione. Ma certo da solo non basta per tenere insieme una famiglia che appare sempre più divisa. E se la compagine non ritrova le ragioni della propria convivenza, anche la Difesa comune, in prospettiva, va a farsi benedire.

Uno dei pochi segnali veramente incoraggianti che è arrivato dal vertice informale di ieri, il primo senza la partecipazione degli inglesi, è nel linguaggio usato dai capi di governo. Per una volta, i leader europei hanno smesso di fare finta di nulla, hanno riconosciuto la profondità dei fossati che li separano e hanno ammesso esplicitamente la gravità del momento. «Siamo in una situazione critica», ha confermato la cancelliera Merkel. «Il rischio di sfaldamento dell’Europa non è mai stato così grande. Parlo proprio della separazione, del ritorno alle frontiere, del rifiuto della solidarietà, della fine dell’euro», ha detto Hollande che, forse perché è il più debole, appare anche il più sincero.
Alla fine, Merkel e Hollande hanno scelto di tenere una conferenza stampa congiunta. Anche questo, nonostante l’irritazione di Renzi, è un buon segnale, perché mostra che l’asse franco tedesco, nonostante tutto, continua a resistere. Se Francia e Germania reggeranno l’urto dell’ondata populista alle elezioni dell’anno prossimo, e non è detto che accada, c’è speranza che il nocciolo duro dell’Europa possa continuare a garantire l’Unione.
Dietro i troppi silenzi del vertice di Bratislava, proprio questa è infatti la partita che si sta delineando sul dopo Brexit. Una partita che avrà tempi necessariamente molto più lunghi della scadenza di marzo che si sono dati i capi di governo. L’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, tema che ieri è stato sfiorato solo di sfuggita, dimostra infatti che l’idea di una Europa troppo elastica, capace di allargarsi all’infinito diluendo le ragioni di fondo del proprio esistere, non è in grado di reggere alle tensioni politiche che genera. Oggi la Ue non può permettersi nuove secessioni. Ma in prospettiva la soluzione di un nucleo centrale più ristretto, attorno al quale possano trovare una collocazione i Paesi che non vogliono più condividere la loro sovranità politica, come appunto gli inglesi e la galassia dell’Europa centro-orientale, appare come l’unica strada possibile a chi non vuole perdere quanto finora è stato costruito.
Sono stati proprio i Paesi del “gruppo di Visegrad”, Polonia, Slovacchia, Cechia, Ungheria, a porre ieri con più forza la necessità di ridefinire gli equilibri tra sovranità nazionali e sovranità europea. È una questione vitale, ma che la Vecchia Europa non può affrontare adesso per due motivi. Il primo è che deve innanzitutto sopravvivere alla sfida dei populisti, che dominerà nel prossimo anno le elezioni olandesi, francesi e tedesche. Il secondo è che in questa fase il patto fiduciario, indispensabile per ricompattare il nocciolo duro, è reso impossibile dalle crescenti divergenze sulla strategia economica da seguire. Il danno che deriva dall’incomprensione tra “falchi” e “colombe” sull’austerità va ben al di là dell’ambito contabile in cui si è formato. È diventato unvulnus politico, un deficit generale di fiducia che rende impossibile continuare sulla strada dell’integrazione, come dimostrano i toni irritati usati ieri dal presidente del Consiglio Renzi.
Come nelle vere famiglie, occorre che il padre avaro e la madre spendacciona ritrovino le ragioni del vincolo di fiducia e di solidarietà che li unisce. Solo a quel punto, se ci arriveranno, potranno confrontarsi con i figli. E costringerli a scegliere se restare in famiglia accettandone le regole e la coesione, oppure uscirne e decidere quale strada imboccare per il loro futuro. Ma, a Bratislava, questo momento della verità appare ancora lontano nel tempo.

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