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Salvatore Veca
Spazio pubblico per le idee
29 Agosto 2016
Spazio pubblico
«Lo spazio delle alternative come luogo dei possibili transiti o della possibile rispondenza fra politica e società democratica. Alternative politiche e sociali, in tensione, in interazione, in equilibrio instabile fra loro. Anche in tempi difficili, incerti e rischiosi. Soprattutto, in tempi difficili».

«Lo spazio delle alternative come luogo dei possibili transiti o della possibile rispondenza fra politica e società democratica. Alternative politiche e sociali, in tensione, in interazione, in equilibrio instabile fra loro. Anche in tempi difficili, incerti e rischiosi. Soprattutto, in tempi difficili». Il Sole 24Ore, 28 agosto 2016

L’idea di spazio pubblico è una delle tessere fondamentali di quel mosaico, che chiamiamo forma di vita democratica. In genere, quando pensiamo a una forma di vita democratica, più o meno decente, pensiamo a un regime politico che ospita istituzioni, norme di livello costituzionale e ordinario, procedure per la scelta di chi ha diritto temporaneo a governare, provvedimenti e scelte collettive, interpretazioni politiche alternative dell’interesse pubblico di lungo termine.

E consideriamo tutti questi elementi come elementi fondamentali di un regime di democrazia pluralistica che, grazie a regole, norme e procedure, si distingue da regimi autocratici o autoritari, di differente tipo e natura. La mia tesi è che questo quadro sia certamente fedele ma sia, al tempo stesso, fondamentalmente incompleto.

Sono convinto che uno dei tratti distintivi cruciali di una democrazia politica sia l’ampiezza e la ricchezza del suo spazio pubblico, in cui si esercita la libertà democratica per eccellenza, quella di condividere con altre cittadine e cittadini modi di valutare e proporre soluzioni di problemi collettivi fra loro alternative e confliggenti. Lo spazio pubblico, in questa prospettiva, è uno spazio sociale, e non già istituzionale.

È lo spazio delle voci di cittadinanza. Lo spazio in cui possono emergere potenzialità altrimenti non espresse, bisogni altrimenti non visibili, incertezze e ansie, speranze altrimenti opache e negate. È uno spazio pieno di dissonanze e piuttosto cacofonico. Ma quando i confini di questo spazio sono vietati o ristretti, quando viene meno l’esercizio della libertà democratica o i costi d’accesso allo spazio pubblico di una democrazia diventano terribilmente alti e ineguali per il demos, allora la qualità di una democrazia mostra un deficit significativo e, a volte, severo. E ciò non è riconoscibile o avvertibile se si resta alla prospettiva, decisiva ma incompleta, della democrazia come sistema di istituzioni, norme e procedure. La questione centrale che emerge è quella dell’allineamento o del disallineamento fra spazio sociale e 1 spazio istituzionale. Molti deficit e buona parte delle crisi entro le democrazie contemporanee emergono nelle circostanze in cui le voci di cittadinanza nello spazio pubblico, come spazio sociale, non trovano alcuna rispondenza o trovano debole rispondenza entro lo spazio istituzionale dell’esercizio del potere temporaneo di governo delle società.

Perché la democrazia si avvale nel tempo della connessione, dell’interazione e dell’equilibrio instabile fra lo spazio delle alternative politiche e quello delle alternative sociali. E la qualità stessa della rappresentanza politica e delle sue istituzioni è coerente con la variabile intensità della connessione fra i due spazi. Ora, per gettar luce sulla natura della libertà democratica, che è alla base dello spazio pubblico, può essere utile considerarla come la libertà per le persone di identificarsi e reidentificarsi collettivamente in cerchie di riconoscimento distinte e alternative fra loro nel tempo. La libertà democratica per eccellenza è la libertà delle persone di costituire e ricostituire cerchie di mutuo riconoscimento, religioso, politico, sociale, culturale, etico, selezionando fra un insieme di identità sociali possibili.

È propriamente questa pluralità delle cerchie di riconoscimento e di valore politico a generare quell’ingrediente essenziale di una democrazia che è il suo spazio pubblico. Il luogo in cui idee, credenze e convinzioni differenti e a volte inconciliabili si confrontano fra loro, mirando a ottenere adesione e consenso. Il luogo paradigmatico del parteggiare, del convertire e dell’associare, che presuppone il fatto del pluralismo e del disaccordo, che ho più volte definito quali caratteristiche essenziali per un processo politico democratico. Alessandro Pizzorno ha avanzato una illuminante proposta di indagine sulle trasformazioni dei regimi democratici e ha suggerito di guardare allo spazio pubblico come al «luogo dell’operare di uno Stato alternativo». Nel senso che lo spazio pubblico include funzioni alternative a quelle dello Stato e delle istituzioni. Ciò che si manifesta nello spazio pubblico sono le potenzialità alternative della società. In esso viene in luce ciò che in una società si rivela come ancora irriducibile, o difficilmente riducibile, all’ordine costituito. Lo spazio pubblico diventa allora qualcosa come il laboratorio della non conformità a norme date e della varietà delle identità sociali.

Lo spazio pubblico, potremmo dire, è il cantiere sempre in corso della diversità, delle alternative, degli esperimenti di vita e delle differenti mobilitazioni cognitive. Si può allora prospettare l’idea che lo spazio pubblico sia il luogo dove emergono e portano alla luce le loro disparità le forze potenziali di una società. In questo senso, possiamo dire, il luogo sociale, e non istituzionale, del pluralismo entro una forma di vita democratica. Uno spazio, sottoposto nel tempo a metamorfosi e cambiamenti, entro il quale si generano domande o pretese o aspettative che aprono, se le cose hanno successo, un varco per prospettive, esperimenti di vita e possibilità alternative.

Come ho sostenuto più volte, si tratta di una diversità intesa come carattere persistente, e non congiunturale della forma di vita democratica. Ma vorrei aggiungere: si tratta anche di una caratteristica che è il promemoria della congruenza fra democrazia e incompletezza, nel senso della rispondenza e della resilienza dei regimi democratici alla metamorfosi del paesaggio sociale. È nello spazio pubblico così inteso che si genera una varietà di versioni condivise entro alcune cerchie di riconoscimento, e non in altre fra loro differenti, dei fini di lungo termine della convivenza. E alla politica, nelle circostanze ordinarie, sarà ascritto il ruolo di rispondere con i suoi mezzi e i suoi provvedimenti al mutamento sociale, che è esemplificato dalle trasformazioni delle aspettative e delle identità collettive vecchie e nuove che rispondono, a loro volta, alla metamorfosi di interessi, ideali, bisogni e pretese confliggenti.

Ora, se il terminus a quo di una democrazia politica deve essere preservato nel tempo, è naturale chiedersi se mutamenti – economici, culturali, tecnologici, religiosi, sociali - non possano finire per distorcerne i fondamentali. Possiamo rispondere così: salvo che nei casi di perdita e regressione, che implicano l’alterazione dei vincoli propri del terminus a quo, regimi democratici mutati nel tempo dovranno soddisfare almeno la clausola della loro reidentificabilità sulla base di alcuni punti fissi. E tra i punti fissi possiamo indicare prioritariamente tanto l’esercizio della libertà democratica quanto lo spazio pubblico della controversia e della diversità. Lo spazio delle alternative come luogo dei possibili transiti o della possibile rispondenza fra politica e società democratica. Alternative politiche e sociali, in tensione, in interazione, in equilibrio instabile fra loro. Anche in tempi difficili, incerti e rischiosi. Soprattutto, in tempi difficili.

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