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Paolo Lanapoppi
Non si vende Venezia per 3 milioni
20 Agosto 2016
Vivere a Venezia
L'opinione del vicepresidente Italia Nostra -sezione di Venezia- sull'abnorme trasformazione della città in "case-albergo".
L'opinione del vicepresidente Italia Nostra -sezione di Venezia- sull'abnorme trasformazione della città in "case-albergo". La Nuova Venezia, 20 agosto 2016 (m.p.r.)

Il pericolo vero, di fronte al moltiplicarsi di appartamenti trasformati in strutture per turisti, è che l'amministrazione sia disposta a chiudere un occhio, come ha fatto finora, purché i proprietari paghino al Comune la tassa di soggiorno imposta per ogni cliente. Per quelle strutture si tratta di un euro e mezzo al giorno a persona. A nostro avviso i posti letto non dichiarati nel Comune sono circa diecimila (sui 27mila dell’intero Comune). Calcolando una media di occupazione di 200 notti all'anno, parliamo di circa due milioni di persone, che pagherebbero una tassa di tre milioni di euro.

Per un comune in perpetuo deficit di cassa, si può capire che la somma faccia gola. Forse per questo il sindaco Brugnaro, di fronte alle recenti scoperte di veri e finti bed and breakfast in nero ha dichiarato: dovranno mettersi in regola. Non ha detto: sono troppi, stravolgono il vivere cittadino, trasformano la città in un albergo. Ha parlato come se per lui la cosa più importante non fosse l'effetto che tutte quelle case-albergo provocano sulla vita veneziana. Ha parlato come se per lui contasse solo che gli occupanti pagassero il dovuto euro e cinquanta di tasse. Ma non è così.
Le case-albergo provocano una grave diminuzione di residenti. Le persone che lavorano a Venezia sono costrette (o spesso spinte dai loro stessi interessi) ad andare ad abitare in terraferma per lasciar posto ai turisti, che possono pagare molto di più. La città si svuota di residenti e non è più il luogo diverso e speciale in cui vivere. Le scuole non hanno più bambini, i luoghi di ritrovo cominciano a chiudere, le società di voga non hanno più iscritti, la cantieristica tradizionale scompare, gli spettacoli pubblici sono sempre diretti al turismo di massa (non si sente parlare di altro che di Casanova, magari spingendosi qualche volta fino a Vivaldi), le piccole aziende nuove si stabiliscono in terraferma, i palazzi diventano alberghi. Nelle stagioni morte la città si svuota, nelle altre diventa gremita di folla.
Io stesso ho ripreso delle "nostalgiche" foto di via Garibaldi in novembre, a fine gennaio o in febbraio, con i residui abitanti fermi in qualche crocicchio a scambiarsi un saluto, con la borse della spesa e con i bambini sui loro tricicli. Ma forse ho fatto male a usare l'aggettivo "nostalgiche". Non si tratta di far rivivere il passato, si tratta solo di potersi aspettare un futuro. Un futuro che non sia nella pur apprezzabilissima terraferma ma nella città in cui si vive meglio che in qualsiasi altra parte del mondo, pagando magari il prezzo di qualche disagio com'è sempre stato e come tutti facciamo ben volentieri (rinunciamo alla comodità della macchina per vivere qui).
I soldi della tassa di soggiorno aiuterebbero forse a sollevare in (piccolissima) parte il peso del deficit dei conti pubblici. Ma una città ben regolata troverebbe altri e più redditizi cespiti da fonti diverse, senza sacrificare la propria stessa natura ed essenza. Il sindaco precedente, Paolo Costa, era un economista e questo forse non poteva capirlo. Ma da quanto traspare finora sembra che anche il sindaco attuale, per quanto laureato in architettura e non in economia, sia molto più attratto dalle questioni di bilancio che da quelle che riguardano la qualità della vita. Forse perché a Venezia lui non ci ha mai abitato e non vorrebbe neppure abitarci. *
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