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Enrico De Mita
La società frammentata e l’assenza della politica
1 Agosto 2016
Politica
«Governare con provvedimenti finanziari non è propriamente governare ma andare dietro alle cose per tenere in rotta in qualche modo la barca con un timoniere continuamente all’erta e un equipaggio inquieto sulla propria sorte». Il Sole 24 Ore, 1 agosto 2016, con postilla (c.m.c.)

«». Il Sole 24 Ore, 1 agosto 2016, con postilla (c.m.c.)

Una società frammentata che viene gestita senza progetti unitari e chiari. Che ha urgente bisogno di definire quali devono essere i rapporti fra il Parlamento e il governo, per ritrovare la capacità di individuare obiettivi definiti e specifici al di là delle esigenze del momento.

Nei giorni scorsi da Giuseppe De Rita è arrivata una provocazione. Si è domandato,con un artificio retorico, «se abbiamo oggi una politica della ricerca scientifica, una politica industriale, una politica dello sviluppo universitario, una politica della cultura, che siano espressione di progettazione e volontà politica» (Corriere della Sera, 22 luglio 2016). Per concludere che abbiamo, piuttosto, un avvicendarsi cumulativo di emendamenti particolari che lasciano spazio a una continua frammentazione delle scelte. La parola emendamento viene usata più volte da De Rita e significa la coazione di poteri particolari, settoriali senza impostazione politica.

Del resto, e lo sappiamo bene, le leggi finanziarie sono “omnibus” pieni di emendamenti, strumenti di tutela di interessi particolari. Viviamo in una società del frammento con il primato dell’emendamento. Gli strumenti di questa tendenza sono le leggi finanziarie, che sono l’area di rincorsa di pressioni burocratiche e corporative in vari settori del mondo politico.

Le leggi finanziarie avrebbero lo scopo di adeguare le entrate e le uscite del bilancio dello Stato, delle aziende autonome e degli enti pubblici che si ricollegano alla finanza statale, agli obiettivi di politica economica; attraverso le leggi finanziarie vengono operate modifiche a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio.

Prescindendo dalla funzione della legge di bilancio va sottolineato il risvolto politico istituzionale della stessa legge che rappresenta la verifica puntuale del rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. Essa compone una serie di provvedimenti concreti e spesso singolari. La legge mette in evidenza l’integrazione politica di due organi ed esalta la crisi perenne del loro incerto rapporto.

La prassi politica che non ha saputo rinunciare ai benefici immediati della causalità e frammentarietà non in funzione dei bisogni di una programmata gestione della cosa pubblica, ma di tendenze e richieste momentanee corporative messe in evidenza proprio dall'andamento disordinato e approssimativo dell’azione di governo.

«Governare con provvedimenti finanziari non è propriamente governare ma andare dietro alle cose per tenere in rotta in qualche modo la barca con un timoniere continuamente all’erta e un equipaggio inquieto sulla propria sorte». Così scriveva nel 1986 Giorgio Berti, il quale aggiungeva che «si afferma una concezione del caso e dell’emergenza».

Il sistema fiscale segue alla perfezione la politica degli emendamenti . «Quando sotto falso nome si impongono veri e propri tributi al di fuori della regola costituzionale della capacità contributiva. Il sistema viene impostato al di fuori della regola della solidarietà, perché la tecnica legislativa è funzionale alla politica degli emendamenti e ne segue la casualità».

Vengono moltiplicati, così, i casi di tassabilità (bis, ter, quater, quinquies, così vengono gonfiati i commi delle leggi fiscali); vengono modificate le leggi di applicazione vanificando i termini, il sacrosanto principio della decadenza e quindi dell’affidamento del contribuente; viene fatto ricorso alle leggi interpretative con effetto retroattivo.

E resta da vedere se la riforma appena varata della legge di bilancio saprà superare questi difetti.Sono tante, infatti, le leggi che nell’introdurre nuove forme di tassazione si fregiano del pomposo titolo di «semplificazione» e «certezza del diritto». Ma l’ordinamento tributario alla ricerca, comunque, di un aumento scriteriato di gettito produce l’aumento dell’evasione, perché si inasprisce la tassazione esistente e non si colpiscono i veri evasori.

Le norme non sono individuabili e non sono leggibili, quando sono fatte di articoli dove domina il rinvio e la ricostruzione della legge emendata. Non sono scritte come prescrive lo Statuto del contribuente «riportando il testo continuamente modificato» (articolo 2, comma 4 della legge 212/2000), ma hanno una scrittura che sembra affatto opposta per non essere compresa da giudici e funzionari. Ci pensano, poi, i privati con sedicenti codici tributari che non vincolano i giudici a cercare di ricostruire un quadro comprensibile.

Ma come si esce dalla politica degli emendamenti? Si potrebbe dire con una cultura politica diversa. Ma se il problema è quello dei rapporti fra Governo e Parlamento: bisogna stabilire i confini tra i due poteri. Dobbiamo ancora decidere se siamo una repubblica parlamentare. Dove il Parlamento traccia le linee di programma di governo e non cogestisce con la politica degli emendamenti. Questa è la vera riforma costituzionale alla quale si deve ancora pensare.


Veramente singolare che il commentatore del giornale del padronato italiano non si sia accorto che la "riforma" per la quale Renzi e i suoi supporter continuano a dare spallate straordinarie sia l'esatto contrario di quello auspicato dal prof. De Mita: né Governo né Parlamento, tutto il potere al Capo.

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