loader
menu
© 2024 Eddyburg
Enrico Credendino
Spruzzi d'umanità sui crimini dei respingimenti
1 Luglio 2016
2015-EsodoXXI
Articoli di Alfredo Marsala e intervista di Carlo Lania all'ammiraglio Credendino sugli sforzi per salvare qualcuno sulla strage in atto nel Mediterraneo dalla fine del secolo scorso, nell'indifferenza di chi comanda e di chi forma il pensiero corrente.
Articoli di Alfredo Marsala e intervista di Carlo Lania all'ammiraglio Credendino sugli sforzi per salvare qualcuno sulla strage in atto nel Mediterraneo dalla fine del secolo scorso, nell'indifferenza di chi comanda e di chi forma il pensiero corrente.

Il manifesto, 1 luglio 2016, con postilla

UNA STRAGE DI DONNE

di Alfredo Marsala

Un mare senza pace. Proprio mentre il peschereccio naufragato il 18 aprile del 2015 entrava nel porto di Augusta con la stiva piena di cadaveri, un altro naufragio è avvenuto a 20 miglia dalla Libia provocando la morte di dieci donne.

Duecento, forse 300. Non si sa ancora quanti siano i corpi incastrati nella stiva del relitto del peschereccio recuperato a 370 metri di profondità dalla Marina militare, a 40 miglia dalla Libia e a 100 dalle coste della Sicilia.

Quel che resta del barcone, naufragato il 18 aprile dell’anno scorso per quella che è stata definita la più grande tragedia nel Mediterraneo di tutti i tempi ma che sembra non aver insegnato nulla ai potenti dell’Ue, è stato trasportato ad Augusta. Nel molo è stata costruita una tensostruttura refrigerata. Una sorta di mega cella frigorifera lunga 30 metri, larga 20 e alta 10 realizzata per contenere il peschereccio.

Un posto di morte e dolore. Qui inizieranno le operazioni di recupero delle salme. I pompieri si occuperanno di estrarre i cadaveri, un equipe di medici, coordinata dalla professoressa Cristina Cattaneo della sezione di medicina legale dell’università di Milano, con la collaborazione degli atenei di Catania, Messina e Palermo e dei medici della polizia, farà poi i rilievi sui corpi. Un salto all’inferno, una mesta conta di cadaveri: bambini, donne e uomini senza volto, senza nome. Con i corpi martoriati, dilaniati dai pesci e dal mare, rimasti più di un anno negli abissi. Morti intrappolati nella stiva perché i trafficanti sigillarono i portelloni per impedirne l’uscita mentre il barcone, col suo carico di 700 disperati, come raccontarono i 28 superstiti, affondava. Se da quella maledetta stiva saranno estratti 300 corpi, come stima la Marina, significa che altre 200 persone sono state risucchiate dal Canale di Sicilia, ormai diventato il cimitero più grande del pianeta. I superstiti della grande strage furono 28, soccorsi dalla nave portoghese King Jacob, con a bordo marinai filippini che non appena giunsero nel porto di Palermo chiesero l’aiuto di un prete e di una squadra di psicologi per lo sotto shock subito dalla terribile esperienza.

Fu proprio quando la nave si avvicinò per prestare soccorso che il peschereccio stracolmo di disperati si capovolse. Decine di persone finirono in mare, la King Jacob lanciò le scialuppe ma nemmeno un terzo dei migranti riuscì a salvarsi. Gli altri furono risucchiati dal mare o intrappolati nel barcone dell’orrore.

Il tentativo che si farà ora è quello di identificare le salme. Difficile, quasi impossibile. Sarà il Dna se sarà possibile incrociarlo con le banche dati a stabilire la nazionalità e a dare un nome alle vittime, sempre che i Paesi di provenienza abbiano gli archivi. «Abbiamo già centinaia di richieste e stiamo raccogliendo dati dai familiari che si trovano in Senegal e Mali – dice la professoressa Cattaneo – e riceviamo richieste dai parenti che sono nel nord Europa. C’è già pronto il materiale necessario per fare i confronti.

Il riconoscimento ha una ripercussione sui familiari vivi, ma ci sono anche ripercussioni amministrative perché alcuni ricongiungimenti sono impossibili perché mancano i certificati di morte». Il recupero è stata un’operazione complessa anche perché, sottolinea l’ammiraglio Pietro Covino, «non era mai stato fatto per un peschereccio di tali dimensioni e a una profondità di circa 400 metri. Con tre fasi principali: l’ispezione del relitto per verificarne la struttura, le dimensioni e le capacità di sostenere la presa per riportarlo in superficie; la realizzazione del modulo di recupero; e la mobilitazione dei mezzi necessari». Il tutto è costato 9,5 milioni di euro, finanziati dalla Presidenza del consiglio dei ministri. Ed è un operazione che andava fatta, sostiene il premier Matteo Renzi, per «dare una sepoltura a quei nostri fratelli, a quelle nostre sorelle che altrimenti sarebbero rimasti per sempre in fondo al mare». La logista prevede vitto e alloggio a tutti gli operatori coinvolti, 150 in media al giorno. Una cittadella per i vigili del fuoco – con aula incontri, due dormitori e uno spogliatoio – per la Croce rossa, un posto medico avanzato e un consultorio psicologico h24. Le aree dove saranno eseguite le autopsie saranno tre.

Ma alla conta dei morti se ne aggiungono già altri. Proprio mentre il relitto del peschereccio arrivava ad Augusta, un altro naufragio è avvenuto a circa 20 miglia dalla Libia. Dieci i cadaveri recuperati in mare, tutti di donne. I soccorritori della nave Diciotti, allertata dalla guardia costiera, sono riusciti a salvare 107 migranti e a recuperarne poco dopo altri 117 sempre nel Canale di Sicilia.

Il naufragio è avvenuto con condizioni meteorologiche pessime, mare forza 3, vento a 30 nodi e onde alte due metri.
«CONTRO L'ISIS,

MA CONTINUIAMO A
SALVARE I MIGRANTI IN MARE»

intervista di Carlo Lania a Enrico Credendino

EuNavFor-Med, la missione europea di contrasto al traffico di esseri umani, ha appena compiuto un anno. Solo due mesi in più di Sophia, la bambina somala nata il 24 agosto 2015 a bordo della nave tedesca che aveva soccorso la madre e altri 453 migranti nel Canale di Sicilia e che ha dato il suo nome alla missione. La foto ingrandita della piccola Sophia è appesa a una delle pareti dell’ex aeroporto di Centocelle, a Roma, quartier generale dell’operazione. «In questi mesi la missione ha salvato più di 18 mila migranti», spiega il comandante della flotta europea, l’ammiraglio Enrico Credendino.

Torinese, 53 anni, è stato al comando della missione Atlanta, l’operazione europea anti-pirateria, e successivamente è stato tra gli organizzatori di Mare nostrum, la missione umanitaria italiana. Il 20 giugno scorso il Consiglio europeo ha prolungato di un anno, fino a giugno 2017, la missione ampliandone i compiti con l’incarico di addestrare la Guardia costiera libica, mentre una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (la 2292) la impegna nelle operazioni di contrasto del traffico di armi dirette alle milizie libiche.

I nuovi compiti cambiano la natura della missione?
No. Il mandato rimane lo stesso: combattere le reti criminali che lucrano sul traffico di uomini. Sophia nasce dopo il naufragio del 18 aprile 2015, quando l’Europa decide di agire finalmente in maniera più concreta perché non vuole più vedere morti in mare. Nel mandato delle operazioni non è previsto il soccorso ma per un marinaio c’è una sola legge, che è quella di salvare, proteggere e tutelare tutti quelli che sono in difficoltà in mare. Finora abbiamo salvato oltre 18 mila vite, fermato più di 70 scafisti e neutralizzato 170 imbarcazioni. Il mandato quindi rimane uguale, ma sono stati aggiunti due nuovi compiti che ci aiuteranno a conseguirlo.

Con nuove regole di ingaggio?
No, anche se ne avremo qualcuna in più per poter salire e ispezionare le navi sospette di fare traffici illeciti, fermarle e portarle nei porti di riferimento.

Come avverrà la perquisizione delle navi sospette?
La risoluzione dell’Onu ci dice esattamente cosa possiamo fare, cioè salire sulle navi, ispezionarle e se troviamo riscontri di armi o materiale illecito possiamo sequestrarlo e portarlo nel porto di un altro paese consegnandolo all’autorità giudiziaria. Stiamo ancora individuando i paesi, dovrebbero essere quelli più vicini all’area delle operazioni quindi potrebbero essere la Grecia, la Spagna, l’Italia, la Francia.
Approvando l’estensione della missione il parlamento tedesco ha definito i nuovi compiti come operazioni di contrasto all’Isis e al terrorismo. E’ di questo che stiamo parlando?
Indirettamente. Il mio compito in questo caso è di evitare che le armi arrivino ai gruppi terroristici presenti in Libia. In questo senso contribuiamo a combattere il terrorismo.

Tra i nuovi compiti c’è l’addestramento della guardia costiera e delle marina militare libica. Come avverrà?

Va premesso che tutto quello che avviene in Libia avviene solo su richiesta dei libici. Siamo a casa loro, sono loro che devono volerlo e noi vogliamo lavorare insieme a loro. Il governo libico ha appena designato il comitato di esperti che insieme al mio comitato di esperti lavorerà per stilare il programma di addestramento sulla base delle loro esigenze, in modo da poter cominciare entro quattro, cinque settimane. Prevediamo di farlo inizialmente in mare, in acque internazionali, imbarcando cento militari per un periodo di 14 settimane, sul modello di quanto abbiamo fatto due anni fa in Mozambico. Poi cominceremo l’addestramento a terra in un paese membro: Grecia e Malta hanno già offerto le loro strutture, anche l’Italia lo farà, con l’obiettivo di andare a lavorare poi a Tripoli, una volta che ci saranno le condizioni per farlo, nella base navale dove oggi si trova il presidente Serraj e dove potremo addestrare un numero più grande di persone. Infine ci sarà una terza fase nella quale addestreremo i libici sulle loro motovedette. L’Italia ne fornirà dieci, altri paesi membri daranno un contributo.

Ha parlato di un addestramento su suolo libico. Non teme così di provocare una reazione da parte delle milizie?
Questo succederà solo quando ci saranno le condizioni di sicurezza. Intanto l’addestramento a terra lo faremo nei paesi membri.

La fase tre della missione europea prevede un intervento in acque libiche ed eventualmente anche nei porti.
Sempre su richiesta libica e ci vorrà una nuova risoluzione dell’Onu. Comunque saranno attività che condurremo insieme ai libici. Lo scopo dell’addestramento della guardia costiera e della marina libica è proprio quello di conoscerci e quando ci saranno le condizioni lavorare insieme per arrestare gli scafisti e distruggere quelle strutture logistiche che sono di loro esclusivo uso. Noi non vogliamo creare danni collaterali. Per esempio molti dei barconi utilizzati per trasportare i migranti sono pescherecci che i pescatori spesso sono costretti a vendere.

Quando pensa che prenderà avvio la terza fase?

Credo che succederà, non sono però in grado di dire quando.

Quando la missione europea opererà in acque libiche i migranti fermati verranno consegnati alle autorità libiche?
Noi applichiamo in maniera stretta il principio di non respingimento ovunque in mare, sia in acque internazionali che in acque territoriali. Questa è una chiara decisione presa dal Consiglio europeo e questo è il mio mandato. Quindi noi tutti i migranti che prendiamo mare li portiamo in Italia.

Sarà così anche in futuro?
Anche in futuro. I migranti non verranno respinti né consegnati ai libici perché sarebbe un respingimento.

Abbiamo parlato della guardia costiera libica. I migranti salvati da quella che opera oggi finiscono spesso in centri di detenzione dove subiscono violenze. Che garanzie ci sono che la stessa cosa non accadrà anche in futuro?
Come missione Sophia noi siamo parte del piano di azione dell’Unione europea sull’immigrazione che prevede anche una missione civile chiamata Eubam Libya che oggi è a Tunisia ma appena possibile andrà a Tripoli. Questa missione sta pianificando l’addestramento delle forze di polizia e la ricostruzione del sistema giudiziario e carcerario libico, in modo tale che anche le condizioni degli scafisti che verranno arrestati da libici rispetteranno gli standard umanitari. Per quanto riguarda i migranti in particolare noi lavoriamo insieme all’Unhcr, la prima organizzazione che ho incontrato il giorno dopo essere stato nominato comandante della missione. L’Unhcr addestra i nostri equipaggi prima che vadano in mare in modo che la parte umanitaria, la parte gender, l’assistenza ai bambini abbia gli standard previsti. Nell’addestramento della guardia costiera libica ci sarà uno specifico capitolo proprio su questo.

Ogni tanto esce un allarme su possibili invasioni di migranti dalla Libia. Recentemente il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, ha parlato di possibili 300 mila arrivi in Italia entro al fine dell’anno. Condivide questi allarmi?
I dati in Libia noi non li abbiamo, quindi mi baso sui dati ufficiali dell’Oim secondo i quali ci sono circa 200 mila migranti in Libia pronti a muovere e 400 mila sfollati libici che non hanno però intenzione di lasciare il paese. Infine ci sono circa 200 mila rifugiati mediorientali, soprattutto siriani, che però sono in Libia da molti anni, ormai fanno parte del tessuto libico e non vogliono lasciare il paese. Quindi quelli pronti al muovere sarebbero 200 mila. Ed è un numero in linea con quello dell’anno scorso.

Quindi nessuna invasione?

Io questo non lo so, non ho la sfera di cristallo. Non credo però che ci sarà nessuna invasione, penso che i numeri siano più o meno in linea con quelli dell’anno scorso.

postilla
L'Europa dei governi continua nella sua politica di respingimenti criminali conditi con uno spruzzo di umanitarismo: si lascia che i disperati s'imbarchino come possono, quando inevitabilmente affogano si cerca di fare i crocerossini salvandoli dalle onde - o i becchini recuperandone i resti nelle loro bare. Si ignora che si tratta di un esodo di centinaia di migliaia (di milioni) di uomini donne vecchi bambini che scappano dalla miseria e dal terrore. da anni che sa e capisce propone infaticabilmente la necessità di creare dei corridoi umanitari per sostituire il "servizio" offerto dai trafficanti, ma chi decide non li ascolta. Riproponiamo a proposito un intervento di Barbara Spinelli del 2014, La grande finzione di Frontex Plus e le responsabilità dell’Europa

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg