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Marina Della Croce.
Legambiente: 7 milioni di italiani vivono in zone a rischio frane e alluvioni
18 Maggio 2016
Consumo di suolo
«Consumo del suolo. Presentato nella sede dell'Anci il rapporto "Ecosistema rischio 2016"».

«Consumo del suolo. Presentato nella sede dell'Anci il rapporto "Ecosistema rischio 2016"». Il manifesto, 18 maggio 2016 (p.d.)

Costruire fabbricati su zone alluvionali o a rischio frane è un vecchio vizio italiano, ma la notizia è che purtroppo, dopo tante vittime e tragedie, non è ancora un vizio perso. Nel Belpaese ci sono ad oggi ancora 7 milioni di persone che convivono quotidianamente con il pericolo costante di frane e alluvioni; oltre 100 mila solo a Roma, e altrettante a Napoli. E sono oltre 400, i Comuni dove interi quartieri potrebbero essere spazzati via da un momento all’altro, mentre in più di mille Comuni (1.047) ci sono singole abitazioni costruite in aree a rischio, vicino ad alvei di fiume, terrapieni alluvionali o in zone pedemontane a rischio frane.

In realtà i numeri assoluti sono inevitabilmente sottostimati, perché l’indagine condotta da Legambiente per il rapporto «Ecosistema rischio 2016» presentato ieri nella sede dell’Anci è stata realizzata sulla base delle risposte fornite da solo 1.444 Comuni a un questionario inviato invece a tutti le amministrazioni comunali di città o paesi con aree a rischio idrogeologico (che solo la maggior parte degli 8 mila Comuni italiani).

Tuttavia da tale monitoraggio sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del pericolo idrogeologico si rileva che «l’urbanizzazione delle aree a rischio non è solo un fenomeno del passato: nel 10% dei Comuni sono stati realizzati edifici in aree a rischio anche nell’ultimo decennio». Nel 31% dei casi, ci sono interi quartieri in pericolo, nel 51% dei Comuni invece nelle aree golenali o franose sorgono impianti industriali o (nel 25%) commerciali, e perfino (nel 18% dei Comuni) scuole o ospedali. Inoltre «solo il 4% delle amministrazioni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1% di insediamenti industriali».

E non si tratta solo di piccoli paesi o cittadine: a sottovalutare il rischio idrogeologico ci sono anche le amministrazioni delle città capoluogo o metropolitane. Non a caso infatti «solo 12 capoluoghi hanno risposto al questionario di “Ecosistema rischio”: Roma, Ancona, Cagliari, Napoli, Aosta, Bologna, Perugia, Potenza, Palermo, Genova, Catanzaro e Trento». Secondo il report di Legambiente, «a Roma e Napoli sono oltre 100.000 i cittadini che vivono o lavorano in zone a rischio, poco meno di 100.000 anche le persone in aree a rischio nella città di Genova. E, nonostante i pericoli ormai evidenti, nelle città di Roma, Trento, Genova e Perugia anche nell’ultimo decennio sono state realizzate nuove edificazioni in aree a rischio».

Prendiamo il Lazio, per esempio: l’85% dei Comuni della regione è a rischio. Il 33% perché contiene interi quartieri costruiti in aree che dovrebbero essere off limits, e il 15% ha continuato a edificare in tali aree negli ultimi 10 anni.

«È evidente l’urgenza di dire concretamente Stop al consumo di suolo, di bloccare per sempre il diluvio di cemento e fermare l’espansione infinita delle città – afferma il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti – a partire da Roma, dove in ogni settore continua ad avanzare il cemento e contemporaneamente si rischia la paralisi della città e si trema ad ogni bomba d’acqua». Una situazione, questa, ha aggiunto il delegato Anci, Bruno Valentini, «già ben a conoscenza dei Sindaci, che da anni chiedono rafforzamento delle risorse, semplificazione normativa e competenze adeguate per intervenire in modo sempre più efficace».

In questa pagina del sito di Legambiente è scaricabile il rapporto.

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