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Stefano Feltri e Carlo Tecce
Editori e politica, si va verso il giornale unico
19 Maggio 2016
Democrazia
Quarto potere. «Non solo Rcs. Proprio quando il governo ha più bisogno di appoggio, l’effetto della crisi ha innescato cambiamenti che avvicinano la grande stampa all’esecutivo».

Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2016 (p.d.)

“Mi accorgo che i giornali sono tutti uguali”, diceva Nanni Moretti nel suo Aprile mentre incollava, una dopo l’altra, pagine di testate diverse fino a creare un “unico grande giornale”. Era l’inizio del ventennio berlusconiano, oggi molto è cambiato, ma in questi mesi si assiste a una coincidenza di tempi: mentre si avvicinano gli appuntamenti più rilevanti per la politica (il referendum costituzionale di ottobre, le prossime elezioni politiche), si sblocca il settore dell’editoria che all’improvviso inizia a reagire ai traumi della crisi con un processo di aggregazioni e concentrazioni. Che spinge i grandi gruppi più vicini all’orbita del governo renziano. Ecco la fotografia della rivoluzione in corso.

RCS. La cordata di Andrea Bonomi e dei soci storici (Mediobanca, Della Valle, Pirelli, UnipolSai) ha presentato un’offerta migliore di quella dell’editore puro Urbano Cairo, sostenuto da Intesa Sanpaolo. Bonomi ha un fondo di private equity, vuole fare soldi (e l’unico modo è facendo operazioni sulla parte sportiva, Gazzetta dello Sport e Marca), agli altri il Corriere serve per pesare politicamente. E Mediobanca, regista della cordata, vuole rimanere al centro di un sistema finanziario che vive di operazioni legate al settore pubblico e alle grandi imprese controllate dal governo. Per Palazzo Chigi un Corriere del la Sera così non sarà certo un problema (mentre quello attuale, che ha approfittato della frammentazione dell’azionariato per ritrovare indipendenza, è parecchio sofferto). La battaglia tra Cairo e gli altri si deciderà entro l’estate.

STAMPUBBLICA. A marzo, l’annuncio della fusione tra Gruppo Espresso (Repubblica, Espresso, giornali locali, radio) e Itedi (Stampa, Secolo XIX) ha messo le basi di un grande gruppo editoriale controllato dalla Cir dei De Benedetti e da Exor di John Elkann. Un grande gruppo con i conti in ordine,ma i cui soci hanno una lunga lista di interessi fuori dall’editoria che lambiscono la politica: la Cir ha appena venduto parte del suo business sanitario a F2i, fondo partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti, la Fiat che John Elkann presiede è parte integrante della proiezione internazionale di Matteo Renzi (che spesso si consulta con Carlo De Benedetti). Sorgenia, la società energetica che era controllata dalla Cir, è naufragata sotto il peso di scelte sbagliate e se la sono accollata le banche creditrici, a cominciare da Mps. Al presidente di Sorgenia, Chicco Testa, i renziani di governo avevano promesso il posto di ministro dello Sviluppo, ma ci sono state troppe polemiche. Il presidente del Gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, non si è mai espresso pubblicamente sul referendum di ottobre, ma ha affidato il giornale a Mario Calabresi, già direttore di una Stampa molto renziana. A Repubblica ha confermato la stessa linea (in questi giorni però qualche spazio lo
hanno avuto anche i sostenitori del “no”).

CALTAGIRONE. Altro gruppo sano che ha interessi soprattutto nella politica romana: è sufficiente ricordare la campagna contro la candidata sindaco Virginia Raggi, M5S, appena ha provato ad avvicinarsi all’Acea, ex municipalizzata di cui il Gruppo Caltagirone è il primo azionista privato. Con il governo ha buoni rapporti, ma ha rifiutato di farsi carico del Corriere della Sera. Però ha deciso di uscire dalla Fieg, la federazione degli editori. Uno strappo che – temono i giornalisti – darà ancora più potere ai gruppi editoriali riducendo l’autonomia di chi scrive che potrebbe non avere più le tutele del contratto nazionale di categoria.

IL FOGLIO. A parte una piccola quota (pignorata dai giudici) in mano a Denis Verdini, il Foglioè passato per intero all’imprenditore immobiliare Valter Mainetti dopo che il finanziere Matteo Arpe ha deciso di non voler fare l’azionista di minoranza. Mainetti appoggia in pieno la linea renziana del direttore Claudio Cerasa, che ha appena lanciato una campagna per convincere l’ex editore Silvio Berlusconi (che aveva intestato il quotidiano alla ex moglie Veronica Lario) a sostenere il “Sì” al referendum di ottobre.

LIBERO. La famiglia Angelucci (vedi articolo a fianco) licenzia il direttore Maurizio Belpietro, che si congeda con un editoriale sull’importanza di votare “No” al referendum di ottobre. Al suo posto torna Vittorio Feltri, già schierato per il “Sì”.

IL SOLE 24 ORE. Da mesi i pezzi di Confindustria più contigui alla politica sono insofferenti ogni volta che il Sole 24 Ore, di cui sono editori, muove qualche critica al governo, con il direttore Roberto Napoletano. Nell’elezione del nuovo presidente Vincenzo Boccia sono state determinanti le imprese a controllo pubblico (renziano), in particolare l’Eni presieduto da Emma Marcegaglia. Da Radio 24, che fa parte del gruppo, il giornalista Oscar Giannino denuncia pressioni renziane di un governo “affamato di informazione”.

L’UNITÀ. Che come direttore resti Erasmo D’Angelis, già collaboratore di Renzi a Palazzo Chigi, o arrivi Riccardo Luna, altro consulente del premier sul digitale, il giornale non cambierà. La sua sostenibilità economica è a rischio (si parla di 250 mila euro di perdite al mese), ma almeno fino al referendum deve resistere in edicola, per diffondere l’interpretazione autentica del pensiero renziano. Poi si vedrà.

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