«Eraldo Affinati ricostruisce la vita del priore di Barbiana, mettendosi sulle sue tracce in un dialogo costante che recupera una pedagogia rivoluzionaria». la Repubblica, 28 febbraio 2016
Oggi ci sono altre Barbiane nel mondo. Affinati non indossa gli scarponi da montagna di don Lorenzo, ma si mette in viaggio. Va in Gambia, tra i palazzoni di Berlino est, in Marocco. I nuovi poveri si chiamano Pedro, un giovane tossicodipendente di Città del Messico, Manfred, che indossa una maglietta con un teschio, Alì, secco e snodato come doveva essere Barack Obama da piccolo.
Affinati va a vedere i posti in cui il priore è cresciuto e ha insegnato: la casa di famiglia in via Principe Eugenio a Firenze; la dimora di campagna, fuori da Montespertoli, oggi trasformata in agriturismo e, naturalmente, Barbiana, nel cuore del Mugello, dove don Lorenzo era arrivato nel 1954: una sola stanza accanto alla cucina, perché le vere rivoluzioni si fanno con pochi mezzi, serve solo qualche tavolo intorno a cui studiare e mangiare.
Nonostante i tanti libri scritti su don Lorenzo, gli entusiasmi, le strumentalizzazioni, l’oblio in cui l’autore della Lettera a una professoressa è caduto, Affinati, anche lui insegnante, autore di libri come La città dei ragazzi o Elogio del ripetente, crede fortemente nella portata di quella pedagogia rivoluzionaria che ripensò l’insegnamento a partire dal basso. Non ha origini altolocate come don Lorenzo, ma alle scarpe lucide preferisce le suole sporche di fango. La sua idea di pedagogia è concreta, costruita sulle persone, tanto che ha fondato la Penny Wirton, una scuola gratuita di italiano per immigrati. Il cuore di questo bel libro è a pag. 39: «Educare significa ferirsi. Bruciarsi le mani. Andare diritto dove sai che ti fa male».