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Virginia Della Sala
Niente election day: così il governo butta 300 milioni
12 Febbraio 2016
Democrazia
«In poco più di due mesi non si può organizzare una buona compagna, nè per il Sì, né per il No: si svuota di significato lo strumento democratico. E perché? Perché così potranno fare campagna elettorale per le amministrative senza interferenze. Sarebbe bello se Mattarella respingesse la data proposta dal Cdm».

«In poco più di due mesi non si può organizzare una buona compagna, nè per il Sì, né per il No: si svuota di significato lo strumento democratico. E perché? Perché così potranno fare campagna elettorale per le amministrative senza interferenze. Sarebbe bello se Mattarella respingesse la data proposta dal Cdm». Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2016 (m.p.r.)

Le associazioni ambientaliste e i comitati No Triv lo stavano chiedendo da settimane: indire un election day per unire il referendum contro le trivellazioni per la ricerca di petrolio in mare e il primo turno delle elezioni amministrative, che coinvolgerà 1342 comuni. Greenpeace aveva anche raccolto 68mila firme a sostegno della giornata elettorale, eppure il governo non ha ascoltato la richiesta e durante il consiglio dei ministri di mercoledì sera ha deciso la data: il referendum si farà il 17 aprile.

Ma quanto costa agli italiani non far coincidere i due eventi? Secondo le stime dei comitati lo spreco è di circa 360 milioni di euro. Altri, come Sinistra Italiana e M5S, parlano di 300 milioni. Basti pensare che per le elezioni politiche del 2013, furono destinati 220 milioni di euro di rimborsi ai comuni e 73 milioni di euro per le esigenze di ordine pubblico. «Ne costasse anche 100 di milioni - dice al FattoAndrea Boraschi, responsabile della campagna Clima ed Energia di Greenpeace - si tratterebbe comunque di una spesa in più per le tasche degli Italiani».

Milione più, milione meno, è una unità di misura non smentibile, soprattutto dal Partito Democratico. «Così buttano dalla finestra 300 milioni di euro in un momento di grave crisi per le imprese e le famiglie italiane - diceva l’oggi ministro dei beni culturali Dario Franceschini, in una mozione votata da gran parte del Pd nel 2011 parlando della necessità di un election day - Si fa per impedire di far raggiungere il quorum al referendum sul legittimo impedimento. Non accorpare la data delle elezioni amministrative con quella dei referendum sarebbe una scelta molto grave non solo per il disagio che porterebbe a molti cittadini ma anche e soprattutto perché produrrebbe un costo per i contribuenti italiani talmente alto da essere insopportabile». Era l’anno in cui, oltre che per le elezioni amministrative e per il legittimo impedimento, si chiamavano gli italiani a votare anche su acqua pubblica e nucleare.
Per giustificare la scelta, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, durante una question time alla Camera, ha prima ammesso che la legge che disciplina l'istituto referendario non conterrebbe previsioni sulla possibilità o meno di abbinamento del referendum abrogativo con le consultazioni elettorali amministrative. Ma poi ha aggiunto la debole osservazione sul fatto che la norma che regola gli election day avrebbe considerato a parte l'esigenza di accorpamento dei referendum, distinguendoli così dalle altre forme. Poi una sequela di problemi amministrativi: la diversa composizione degli uffici elettorali, la ripartizione degli oneri, l’ordine di successione delle operazioni di scrutinio, il fatto che per uno servano quattro scrutatori e che ne servano tre per l’altro, il fatto che le spese per le amministrative vadano divise per legge con lo Stato e che non ci sia un «criterio legislativo per la distribuzione del peso finanziario della consultazione referendaria».
Per decidere quindi di non montare e smontare più di mille seggi due volte e di non chiamare presidenti, scrutatori, forze dell’ordine per due volte, servirebbe «inevitabile intervento di carattere legislativo»: una legge, come quella del 2009 quando si unì il secondo turno di ballottaggio delle elezioni amministrative ai referendum abrogativi in materia elettorale. Legge che, secondo i comitati, il governo non vuole fare perché ha paura. Da un lato di portare alle urne più cittadini di quanto si aspettino e dall’altro che la questione trivelle possa essere usata come deterrente contro il Pd.
«La decisione del governo è uno schiaffo alla democrazia - ha detto al Fatto Enzo di Salvatore, costituzionalista e coordinatore nazionale del movimento No Triv -. Stabilendo che si vada al voto in tempi così stretti, non si dà la possibilità agli elettori di essere adeguatamente informati. In poco più di due mesi non si può organizzare una buona compagna, nè per il Sì, né per il No: si svuota di significato lo strumento democratico. E perché? Perché così potranno fare campagna elettorale per le amministrative senza interferenze. Sarebbe bello se Mattarella respingesse la data proposta dal Cdm».
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