La Repubblica
"GIULIO TORTURATO
PERCHÉ PENSAVANO FOSSE UNA SPIA
di Carlo Bonini e Giuliano Foschini
Roma. Se è vero che un corpo senza vita “parla” né più e né meno come un testimone, oggi si può dire che, nel suo martirio, Giulio Regeni abbia consegnato la chiave che porta ai suoi carnefici. E dunque che l’inchiesta della Procura di Roma sul suo omicidio possa partire da due solide circostanze di fatto. Perché sostenute entrambe delle prime conclusioni dell’autopsia eseguita nella notte tra sabato e domenica dal professor Vittorio Fineschi. La prima: le lesioni sul corpo di Giulio (compresa quella letale al midollo spinale con la frattura di una vertebra cervicale) provano che l’omicidio ha una mano e un movente politici. La seconda: nella loro raggelante crudeltà, le sevizie inflitte al ragazzo hanno un inequivocabile format dell’orrore. Proprio degli interrogatori che le polizie segrete riservano a coloro che vengono ritenuti “spie”, come nel caso di Giulio. “Colpevole”, agli occhi dello “squadrone della morte” che lo aveva sequestrato la sera del 25 gennaio, di giocare troppe parti in commedia. Ricercatore universitario, giornalista con pseudonimo per un “quotidiano comunista” (il manifesto), militante politico per la causa delle opposizioni al regime.
Lo squadrone della morte
A Giulio Regeni sono state strappate le unghie delle dita e dei piedi. Sono state fratturate sistematicamente le falangi, lasciando tuttavia intatti gli arti inferiori e superiori. È stato mutilato un orecchio. Chi lo ha sistematicamente seviziato era convinto di poter ottenere informazioni che il povero Giulio non poteva consegnare semplicemente perché non le aveva. Perché non era la “spia” che i suoi aguzzini ritenevano lui fosse. I boia hanno infierito su un inerme. Lo hanno appunto lavorato alle mani, ai piedi e quindi al tronco. Colpendolo ripetutamente al torace, alle costole, alla schiena, dove l’autopsia ha refertato numerose fratture.
Anche il colpo di grazia ha le stimmate degli interrogatori da “squadroni della morte”. Chi era di fronte a Giulio, in quel frangente probabilmente seduto o legato su una sedia, gli ha afferrato la testa facendola ruotare repentinamente di lato oltre il punto di resistenza. Mettendo così fine a un’agonia i cui tempi, oggi, restano ancora incerti. «Il ragazzo è stato ucciso 10 ore prima di essere ritrovato» scrivono i medici legali egiziani nel referto ma per dare una risposta certa i professori italiani hanno bisogno di attendere le analisi.
I tabulati e la retata
I primi esiti dell’autopsia si incrociano con un paio di circostanze che, allo stato, il nostro team investigativo al Cairo ha potuto accertare. La prima. Come è stato possibile ricostruire dai tabulati del suo cellulare, Giulio è stato sequestrato il 25 gennaio poco dopo essere uscito di casa: forse era diretto a una festa, forse prima ha incontrato degli attivisti politici. In ogni caso il suo cellulare , mezz’ora dopo essere uscito di casa si sarebbe spento per non riaccendersi mai più. La seconda. Nello stesso frangente di tempo e di luogo, quel 25 gennaio, è stata condotta una retata proprio nella zona nella quale Giulio doveva transitare. Il che lascerebbe pensare a una “cattura” casuale. Non mirata.
L’Intervento di Al Sisi
C’è infine una terza circostanza, rilevante quanto le prime due. L’American University del Cairo, dove Giulio era ricercatore, è da tempo oggetto dell’attenzione del Mukhabarat, il Servizio segreto egiziano che fa capo al Ministero dell’Interno. Un apparato chiave del Regime di Al-Sisi. Ma in feroce concorrenza con i servizi segreti militari (dai cui ranghi proviene il generale e oggi presidente Al Sisi) e i Servizi di Informazione della Polizia. «L’intervento di Al Sisi ha sbloccato la macchina amministrativa» ha detto ieri l’ambasciatore Maurizio Massari. Dopo l’incontro del presidente egiziano con il ministro Guidi, Regini è stato ritrovato in quel fosso, mezzo nudo, con i media che parlavano di un incidente stradale. Tutti pezzi farlocchi di uno stesso puzzle. Giulio, lo scienziato scambiato per una spia, potrebbe essere stato giustiziato per una guerra che non era la sua.
Il Fatto Quotidiano
GIULIO, FALSE PISTE
E COLLABORAZIONE IN SALITA
E COLLABORAZIONE IN SALITA
di Leonardo Coen
Il Cairo. Ambasciator non porta pena, dicono. Maurizio Massari, il nostro rappresentante al Cairo, deve essere un pragmatico perché è il primo a far capire che l’inchiesta congiunta (la tanto strombazzata “collaborazione trasparente” fra il team dei sette investigatori italiani spediti in Egitto e la polizia locale) non è così semplice come vorrebbero Renzi ed Alfano: «Non è da dare per scontata», ha infatti dichiarato ieri Massari a In 1/2h su Rai 3. La cooperazione è «un banco di prova importante per non fare venire meno la fiducia che abbiamo nel Paese». Tradotto: guai ad irritare i funzionari egiziani, gelosi della loro autonomia.
Polizia ed intelligence sanno
di essere sotto accusa, o comunque
sospettati di aver fermato,
torturato e ucciso il giovane
studente italiano: non vogliono
essere criticati
dai loro impiccioni
colleghi
italiani. Perciò i
tempi si dilatano.
E poi, bisogna discutere
sui limiti
in cui può operare
il team di Roma.
Ieri un primo
incontro:
«Siamo alle prime
battute». Il
presidente al-Sisi
ha sollecitato
gli apparati di sicurezza a collaborare
con gli italiani, ma le
resistenze burocratiche sono
un problema e, magari, una
scusa.
Nel frattempo, la stampa
filogovernativa continua a
distillare notizie che contraddicono
ciò che si era riusciti a
ricostruire, la sera
del 25 gennaio
in cui Giulio svanì
nel nulla. Secondo
il quotidiano
al-Ahram, che è il
più allineato col
regime, il ragazzo
avrebbe partecipato
ad una festa
«in compagnia di
un certo numero
di amici». Si sapeva
che Giulio aveva
un appuntamento dalle parti di piazza
Tahrir verso le 20. E che però
non era mai arrivato. L’avrebbero riferito gli amici cairoti di
Giulio durante gli interrogatori.
Strano che non sia trapelato
nulla. Se ne deduce che Giulio
sarebbe scomparso più tardi
delle 20. Oltre, cioè l’ora delle
retate di polizia attorno a piazza
Tahrir. Un dettaglio che riabilita
l’ipotesi della pista “criminale”, come insiste nel sostenerla
Garir Mustafa, il capo
del Dipartimento di Sicurezza
Generale.
La versione non incanta i
nostri segugi. Vorrebbero parlare anche loro con gli amici di
Giulio. È questo il primo scoglio
procedurale. Circola poi
l’ipotesi che Regeni sia stato
rapito e torturato (31fratture,
una, letale, alla vertebra cervicale)
per sabotare al-Sisi e destabilizzare
le relazioni tra
Roma e il Cairo (vedi il contratto
Eni da almeno 7 miliardi
di Euro). Un quadro complottista
(spezzoni deviati di servizi
e polizia legati ai Fratelli
Musulmani) in cui si vorrebbe
pure silurare le velleità renziane
nei negoziati libici fra Tripoli
e Tobruk. L’effe rate zza
farebbe parte del piano: per
questo il corpo seviziato di
Giulio è stato fatto ritrovare.
Siamo alle solite: tanto fumo
per nessun arrosto.