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Tomaso Montanari
Archeologia: la pezza è peggiore del buco
6 Febbraio 2016
Beni culturali
I giochi d'equilibrio del ministro non riescono a nascondere il dramma della tutela dei beni culturali in Italia, causato dallo cosiddetta "riforma" in corso:

«È chiaro l'obiettivo politico: mani libere sul territorio». La Repubblica online, blog "Articolo9", 6 febbraio 2016

Il lucido, durissimo articolo di Salvatore Settis apparso venerdì su Repubblica ha colto nel segno. Ieri il ministro Franceschini ha replicato – senza mai citare Settis – con una intervista sempre a Repubblica, tutta giocata in difesa.

Un'intervista imbarazzante, per almeno tre motivi.

Il primo riguarda il cuore stesso dell'articolo, e cioè il fantomatico Istituto di Archeologia, il coniglio che esce dal cilindro del ministro di fronte all'epic fail della sua 'riforma' dell'archeologia. Una risposta che non risponde affatto alle critiche della comunità scientifica circa la soppressione delle soprintendenze archeologiche: perché non si compensa l'abolizione di organi di governo e tutela vagheggiando la creazione di istituti di ricerca. Questo è puro storytelling, e di pessima qualità.

È poi noto che il ministro pensa di servirsi di ciò che resta dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo Venezia: e nella foga di trovare una risposta qualsiasi alle pesanti critiche di questi giorni, Franceschini è prontissimo a cancellare da quell'istituto la storia dell'arte, i cui cultori sono evidentemente meno fastidiosi degli archeologi: l'unico risultato di questa grottesca sarabanda sarà infallibilmente quello di ridurre a spezzatino gli organi cui è affidata la vita del patrimonio culturale. Prima si sono separate tutela e valorizzazione, ora si fanno divorziare tutela e ricerca. È chiaro l'obiettivo politico: mani libere sul territorio.

Il secondo motivo di imbarazzo riguarda l'affermazione di Franceschini sulla divisione della comunità scientifica sulla soprintendenza unica. Ebbene, tutte le consulte archeologiche si sono dette contrarie a questa riforma. E ora anche quella degli storici dell'arte ha fatto altrettanto. Forse Franceschini si riferisce all'isolato plauso di Giuliano Volpe, l'archeologo che presiede il plaudente Consiglio Superiore dei Beni culturali. Volpe ha sostenuto più volte di essere in quella posizione non per ragioni politiche, ma per ragioni scientifiche: e sia. Ma ora che la comunità scientifica lo sconfessa in modo così plateale non dovrebbe allora tirarne le uniche conseguenze dignitose?

Terzo, e forse più grave, motivo di imbarazzo è che Franceschini abbia detto di aver imbavagliato l'archeologia a propria insaputa. Il ministro sostiene di non conoscere il provvedimento che vieta ai soprintendenti di parlare della 'riforma' con la stampa: ma il codice di comportamento su cui essa si basa l'ha varato lui stesso, il 23 dicembre scorso. Al comma 8 dell'articolo 3 vi si legge: «Il dipendente - fatto salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini - si astiene da dichiarazioni pubbliche, orali e scritte che siano lesive dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione ed informa il dirigente dell'ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa. Le attività di informazione si realizzano attraverso il portavoce dell'organo di vertice politico dell'Amministrazione e dall'Ufficio stampa, le attività di comunicazione attraverso l'Ufficio per le Relazioni con il Pubblico, nonché attraverso eventuali analoghe strutture». Tradotto: un funzionario archeologo non può parlare con i media della riforma che rischia di cancellare la tutela archeologica.

Ha ragione Settis: se Franceschini firmerà il decreto sull'archeologia il governo si rivelerà una bad company. Ma chi lo dice lede «l'immagine e il prestigio dell'Amministrazione»: tutti zitti, mi raccomando.

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