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Carlo Lania
Schenghen, «controlli estesi fino a due anni»
26 Gennaio 2016
Articoli del 2016
Gli eredi delle tante stagioni del colonialismo, che hanno condotto alla miseria e alla disperazione e fomentato le guerre e hanno dimenticato il tempo dei genocidi nazisti, ne proseguono una ancora più devastante.
Gli eredi delle tante stagioni del colonialismo, che hanno condotto alla miseria e alla disperazione e fomentato le guerre e hanno dimenticato il tempo dei genocidi nazisti, ne proseguono una ancora più devastante.

Il manifesto, 26 gennaio 2016

Anche i simboli hanno il loro peso. Nato trent’anni fa a bordo di un barca, il trattato di Schengen rischia oggi di essere affondato dai barconi carichi di migranti. Quello che si potrebbe leggere come l’inizio della fine, è stato annunciato ufficialmente ieri ad Amsterdam al termine del vertice informale tra i ministri degli Interni dei 28, quando si è saputo della richiesta avanzata dagli stati europei alla Commissione Ue di avviare le procedure per consentire di estendere fino a due anni (anziché sei mesi) i controlli alle frontiere. Si tratta di una possibilità prevista dall’articolo 26 del Trattato e applicabile solo in casi eccezionali, come la comprovata incapacità di uno stato nel controllare le proprie frontiere.

Finora sono cinque i Paesi che hanno sospeso il trattato sulla libera circolazione. Oltre a Germania e Austria, anche Francia, Danimarca e Svezia. A premere di più per la proroga sono Berlino e Vienna, per le quali i controlli alle frontiere scadranno a maggio e insistono per rinnovarli. Ma non solo loro. A chiedere frontiere più blindate sarebbero infatti molte capitali, tanto che ieri la ministra austriaca degli Interni Johana Mickl-Leitner, tra i più risoluti nel chiedere misure per arginare gli arrivi di migranti, ha avvertito i partner europei: «Il Trattato sta per saltare. Ciascuno è consapevole che l’esistenza dello spazio Schengen è in bilico e che deve succedere qualcosa velocemente».
Ovviamente non sono certo i profughi che fuggono dalla guerra i responsabili di questa situazione, e Bruxelles dovrebbe guardare piuttosto alla sua incapacità di far rispettare gli impegni presi già da mesi, come quello sui ricollocamenti, agli stati membri. Cosa che però non accade. Il risultato è che gli interessi nazionali prevalgono su tutto spingendo ogni stato a decidere in autonomia. Così c’è chi alza muri, chi rafforza i controlli alle frontiere e chi come l’Austria fissa un tetto alla sua disponibilità ad accogliere i migranti (127.500 fino al 2019).
A spaventare non è solo il milione di profughi arrivato l’anno scorso, ma quelli che potrebbero affacciarsi alle porte dell’Europa non appena le condizioni del tempo lo permetteranno. «Più di 30mila persone sono arrivate via mare finora nel 2016, vale a dire in sole tre settimane», ha detto un allarmato Dimitri Avramopoulos, il commissario Ue all’immigrazione di solito attento a non creare allarmi.
Sul banco degli imputati è finita così soprattutto la Grecia, ancora una volta accusata da molti paesi di non fare sforzi a sufficienza per fermare i migranti e per la quale è perfino ventilata l’ipotesi di una sua possibile esclusione da Schengen. Un atto di accusa portato soprattutto dalla Germania e che ha provocato l’immediata reazione del ministro alle politiche migratorie di Atene Yoannis Mouzalas. «Basta con queste gioco di accuse ingiusto», ha detto durante il vertice. Elencando poi una serie di inadempienze dell’Unione europea, promesse di mezzi e aiuti mai realizzati. «Di tutte le cose che abbiamo chiesto - ha proseguito il ministro - abbiamo ottenuto solo una parte, sia in termini di uomini che di mezzi per gestire l’emergenza».
Il rischio che la situazione possa degenerare a questo punto non è più solo teorico. Bruxelles accelera per la costituzione di una guardia di frontiera terrestre e marittima in grado di intervenire alle frontiere in aiuto di quei paesi in difficoltà nel fronteggiare il flusso di migranti, ma deve spingere anche sui ricollocamenti, facendo fronte alle resistenze di chi, come i paesi dell’est, non ne vogliono neanche sentire parlare. La Slovenia ha addirittura proposto di aiutare la Macedonia a rafforzare i suoi confini, un’idea che guarda caso sarebbe piaciuta a Ungheria, Croazia, repubblica ceca, Polonia, Slovacchia e Austria e che non dispiacerebbe neanche a Bruxelles, anche se ancora non si è pronunciata ufficialmente. Ma che ovviamente allarma non poco la Grecia che in questo modo vedrebbe centinaia di migliaia di migranti bloccati all’interno dei propri confini.

Tra quanti ancora sostengono strenuamente Schengen c’è l’Italia, preoccupata da un’eventuale fine di Schengen. «Abbiamo poche settimane per evitare che si dissolva tra gli egoismo nazionali», ha detto ieri al termine del vertice di Amsterdam il ministro degli Interni Angelino Alfano. Al Viminale si sta pensando anche all’apertura di un hot spot ai confini con la Slovenia: «Dobbiamo tenerci pronti ad un’ipotesi di flusso dalla frontiera nord est a seguito della rotta balcanica», ha spiegato Alfano.

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