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Silvia Truzzi
La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi
12 Dicembre 2015
Democrazia
Le molte facce dello scandalo del salvataggio dei banchieri (una delle componenti del mondo delle banche). L'articolo di Roberto Saviano, la ripresa del Fatto quotidiano e quella di Repubblica«.

Le molte facce dello scandalo del salvataggio dei banchieri (una delle componenti del mondo delle banche). L'articolo di Roberto Saviano, la ripresa del Fatto quotidiano e quella di Repubblica«. PostIl Fatto Quotidiano e la Repubblica, 12 dicembre 2015


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LA MOGLIE DI CESARE
E IL PADRE DI ELENA BOSCHI
di Roberto Saviano

Molti si sono preoccupati di dare ampia pubblicità agli impegni del Ministro Boschi nella giornata in cui il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto che ha salvato dal fallimento anche la Banca della quale il padre è vicepresidente. Molti hanno sentito la necessità di dare ampio spazio all’alibi del Ministro che, salvata la forma, ritiene di aver risolto la questione sul piano politico. Ma non è così.

Perché la Banca sia fallita – dopo essere stata oggetto nei mesi scorsi di sospette speculazioni – è compito degli organi competenti accertarlo (sempre che non si applichino al caso moratorie altrove felicemente utilizzate). Ma il conflitto di interessi del Ministro Boschi è un problema politico enorme, dal quale un esponente di primissimo piano del governo del cambiamento non può sfuggire. In epoca passata abbiamo assistito a crociate sui media per molto meno, contro esponenti di terza fila del sottobosco politico di centrodestra: oggi invece pare che di certe cose non si debba o addirittura non si possa parlare. È probabile che il Ministro Boschi non risponda come se il silenzio fosse la soluzione del problema. Ma questo è un comportamento autoritario di chi si sente sicuro nel proprio ruolo poiché (per ora) le alternative non lo impensieriscono. E se il Ministro resterà al suo posto, senza chiarire, la colpa sarà principalmente nostra e di chi, temendo di dare munizioni a Grillo o a Salvini, sta tacendo o avallando scelte politiche inaccettabili.

Quando è iniziata la paura di aprire un serio dibattito su questo governo? Quando è accaduto che a un primo ministro fosse consentito di prendere un impegno serio sul Sud ad agosto per dimenticarlo del tutto il mese successivo?

Proviamo a immaginare per un attimo che la tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria, fosse accaduta sotto il governo Berlusconi. Tutto questo avrebbe avuto un effetto deflagrante. Quelli che ora gridano allo scandalo, gli organi di stampa vicini a Berlusconi forse avrebbero taciuto, ma per tutti gli altri non ci sarebbe stato dubbio: si sarebbero invocate le dimissioni. Dunque, cosa è successo? Come siamo passati dai politici tutti marci ai politici tutti intoccabili? Cosa ci sta accadendo?

All’alba della Terza Repubblica un ministro del governo Letta, la campionessa Josefa Idem, sfiorata da una vicenda senza alcuna rilevanza penale (aveva indicato come abitazione principale ai fini della tassazione un immobile che non lo era), decise di dimettersi. Era iniziato un nuovo corso e alle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle, con la carica moralizzatrice che gli è propria, aveva ottenuto un risultato impensabile: c’era la necessità di marcare la differenza con il passato. Il passato era la Seconda Repubblica e la sua impostazione liberale, non nel senso classico, ma in quello icasticamente definito da Corrado Guzzanti per il quale la Casa della Libertà era solo un luogo dove ognuno – e i potenti ancor di più – facevano quello che volevano, contro la legge o con l’ausilio di leggi ad hoc.

Si torna sempre a Berlusconi, ma del resto non è vero che senza conoscere il passato non può comprendersi il presente? O si tratta di una massima di portata generale e mai particolare? I nemici di Berlusconi, tra i quali mi onoro di essere annoverato, sono una folta, foltissima schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali, privati cittadini che nel tempo si sono sentiti investiti del compito di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana, alla sua economia. Di comprendere e se possibile rendere pubblici certi meccanismi. I tentativi di censurare, di impedire il racconto della realtà e infine di diffamare chi osasse farlo, sono stati innumerevoli. Ma l’Italia non è mai diventata la Turchia di Erdoğan o la Russia di Putin – amici dichiarati del nostro ex Presidente – perché non eravamo soli. Ognuno di noi sapeva di poter contare sul supporto di altri che come noi spendevano tempo, energie e intelligenza per raccontare quanto succedeva ogni giorno, tra cronaca parlamentare e giudiziaria. Sulle pagine del quotidiano un maestro indimenticabile del giornalismo di inchiesta, Peppe D’Avanzo, inchiodò il berlusconismo a dieci domande che non hanno mai ricevuto risposta, poiché è bene ricordare che il compito del giornalista è chiedere, il dovere del potere è rispondere. Quel potere era legittimo e democratico e quei governi frutto di libere elezioni: i media facevano il proprio dovere, tutelando quelle regole democratiche alle quali il signore di Arcore e il suo codazzo si richiamavano costantemente per fare quello che gli pareva e conveniva. Cosa è successo da allora? Cosa è cambiato nel nostro modo di leggere ciò che accade? Cosa è cambiato nella nostra capacità di indignarci? Cosa ne è di quel fronte unito contro un metodo di governo?

Perché era giusto sotto Berlusconi chiedere le dimissioni, urlare allo scandalo e all’indecenza ogni volta che qualcosa, a ragione, ci sembrava andare nel verso sbagliato e tracimare nell’autoritarismo? Perché sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità giuridica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre? E perché invece oggi noi stessi ieri zelanti siamo indulgenti anche dinanzi a una contraddizione così importante e oggettiva?

Se Berlusconi, che per anni abbiamo considerato causa dei mali dell’Italia, era in realtà la logica conseguenza della ingloriosa bancarotta della Prima Repubblica, così la stagione politica che stiamo vivendo adesso non ha nessuna caratteristica peculiare, nessun pregio o difetto autonomo, ma nasce dalle ceneri di quella esperienza. Il che non vuole dire in continuità, ma neanche ci si può ingannare (o ingannare gli altri) raccontandoci l’incredibile approdo sul suolo italico di una nuova generazione di politici senza passato. Banalmente – questa la narrazione dei media di centrodestra – potremmo dire che quando al potere ci sono le sinistre, si è più indulgenti. L’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti. È come se, a prescindere, si fidassero. Anche se ho seri dubbi che al governo ci sia la sinistra, o anche solo il centro-sinistra, e nemmeno, a dire il vero, una politica moderna: dato il ridicolo (per non dire peggio) ritardo sul tema dei diritti civili.

O forse le ragioni della attuale timidezza risiedono nell’iperattivismo del Renzi I (dato che tutti prevedono un nuovo ventennio per mancanza di alternative, forse dobbiamo prepararci alle numerazioni di epoca andreottiana) che lascia spiazzati, poiché il timore è di sembrare conservatori (con un uso improprio degli hashtag) o peggio nostalgici.

Del resto come si comunica contro gli hashtag del premier senza passare per gufi o nemici del travolgente cambiamento? Ormai si è giunti ad un passo dall’accusa di disfattismo. Imporre la furba dicotomia che criticare il governo o mostrare le sue forti mancanze sia un modo per fermare le riforme, che invece vogliamo, e per armare il populismo, verso cui nutriamo sempiterna diffidenza, è un modo per anestetizzare tutto, per portare all’autocensura.

Ma non cadiamo nella trappola: la felicità di Stato non esiste, è argomento che riguarda gli individui, non si impone, si raggiunge e noi ne siamo lontani. E la critica non è insoddisfazione malinconica, non è mal di vivere, non è spleen: e considerarla tale è quanto di peggio possa fare un capo di governo. Che il ministro Boschi risponda e subito della contraddizione che ha visto il governo salvare la banca di suo padre con un’operazione veloce e ambigua. Lo chiederò fino a quando non avrò risposta.

Il Fatto Quotidiano
LO SCRITTORE: “MARIA ELENA SI DEVE DIMETTERE”
MA L'ARTICOLO È SU ILPOST.IT, NON SU REPUBBLICA

di Silvia Truzzi

Notizia numero uno: Roberto Saviano attacca frontalmente il governo sul l’affaire banche, per «il conflitto di interessi del ministro Boschi, un problema politico enorme». Notizia numero due: il pezzo non è uscito su (giornale di cui l’autore di Gomorra è una delle più autorevoli firme) ma su il post.it (sito d’informazione con il quale Saviano non aveva mai collaborato) e poi ripreso da numerosi altri siti. Notizia numero tre: il lungo e argomentatissimo articolo contiene altre accuse, anche al sistema dei media.

In particolare lo scrittore prova a «che la tragedia che ha colpito il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria, fosse accaduta sotto il governo Berlusconi. Tutto questo avrebbe avuto un effetto deflagrante. Quelli che ora gridano allo scandalo, gli organi di stampa vicini a Berlusconi forse avrebbero taciuto, ma per tutti gli altri non ci sarebbe stato dubbio: si sarebbero invocate le dimissioni. Dunque, cosa è successo? Come siamo passati dai politici tutti marci ai politici tutti intoccabili? Cosa ci sta accadendo?».
E ancora: «I nemici di Berlusconi, tra i quali mi onoro di essere annoverato, sono una folta, foltissima schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali, privati cittadini che nel tempo si sono sentiti investiti del compito di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana, alla sua economia. Di comprendere e se possibile rendere pubblici certi meccanismi». E poi quel riferimento, proprio al suo giornale: «Sulle pagine del quotidiano un maestro indimenticabile del giornalismo di inchiesta, Peppe D’Avanzo, inchiodò il berlusconismo a dieci domande che non hanno mai ricevuto risposta, poiché è bene ricordare che il compito del giornalista è chiedere, il dovere del potere è rispondere.
Quel potere era legittimo e democratico e quei governi frutto di libere elezioni: i media facevano il proprio dovere. Cosa è successo da allora? Cosa è cambiato nel nostro modo di leggere ciò che accade? Cosa è cambiato nella nostra capacità di indignarci? Cosa ne è di quel fronte unito contro un metodo di governo?». Su questo punto, tra l’altro, bisogna dire che la versione mattutina era leggermente diversa da quella definitiva. Non «sulle pagine del quotidiano Repubblica», bensì «sulle pagine di un quotidiano».
E questo ci porta a una domanda: perché Saviano non ha scritto questo - puntuale e puntuto - pezzo su o sull’Espresso, dove tiene una rubrica? Sembra che lo scrittore lo abbia proposto al suo giornale ma che ieri non ci fosse posto. Ed ecco spiegata la collocazione sul Post diretto da Luca Sofri. Però non è la prima volta che capitano incidenti così. E di incidenti bisogna parlare: a non può aver fatto piacere che un collaboratore tanto prestigioso abbia scritto altrove, dando buca (e pure un buco) al suo giornale. C’è un precedente primaverile: il 6 maggio scorso Roberto Saviano era ospite della riunione di redazione di Repubblica, che quotidianamente viene ripresa sul sito del giornale. Tra le altre cose aveva parlato delle regionali in Campania e della controversa candidatura di Vincenzo De Luca. Ma qualche ora dopo il titolo Gomorra nelle liste di De Luca si poteva leggere su Huffington Post, cui Saviano aveva rilasciato una lunga intervista.
Allora, visto che il Gruppo Espresso possiede il 49% di Huffington Italia, si pensò che fosse una questione domestica. Ma stavolta è diverso: e il Post.it non sono nemmeno lontani parenti. Ciliegina: ieri, nel tardo pomeriggio, il sito di ha pubblicato un lungo audio-intervento in cui Saviano chiede le dimissioni del ministro Boschi e critica duramente l’esecutivo Renzi. È peggio la toppa dell’auto-buco?

La Repubblica

SAVIANO: “LA BOSCHI DEVE DIMETTERSI”
di f.s.

Roma. «Il ministro Boschi deve dimettersi». Roberto Saviano chiede al ministro per le Riforme di lasciare, in un video messaggio pubblicato da Repubblica Tv. Lo scrittore giudica «abnorme» il conflitto di interessi rappresentato da un membro dell’esecutivo che decide sul destino di una banca, la Popolare dell’Etruria, di cui il padre è stato dirigente e il fratello dipendente. «Il governo non doveva occuparsi della banca, oppure deve chiedere al ministro di dimettersi», sostiene Saviano. Il fatto che Boschi non abbia partecipato al voto sul “salva-banche” è solo una «dissimulazione»: «Una struttura politica ha compiuto l’ennesimo atto autoritario».
Dalla Leopolda sono arrivate le reazioni di diversi esponenti del Pd. «Il governo ha fatto quello che era necessario, non capisco la richiesta di dimissioni», ha detto il sottosegretario Scalfarotto. «Servono equilibrio e attenzione, non credo che questo aiuti», ha aggiunto il vice segretario Guerini. E per il sindaco di Firenze Nardella, Saviano è «fuori dal mondo».
Due giorni fa Boschi ha preso le difese del padre Pier Luigi, vice presidente della Popolare fino a febbraio del 2015, data del commissariamento: «È una persona perbene, non sento nessun disagio». Un gesto nobile, secondo Saviano, ma che ricorda le frasi di Marina Berlusconi sul padre. «Questo governo deve essere criticato con lo stesso rigore con cui abbiamo criticato il governo Berlusconi», continua lo scrittore. «Per molto meno siamo scesi in piazza. Non possiamo introiettare l’accusa di disfattismo con cui Renzi reagisce alle critiche». Secondo Saviano sulla vicenda restano «troppe opacità» a cui Boschi deve rispondere: «Se resterà al suo posto è solo perché questo è il Paese del conflitto di interessi».
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