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Raffaele Simone
Il partito della Leopolda non vuole avere una base
14 Dicembre 2015
Sinistra
«Al partito alla maniera moderna la perdita degli iscritti non dispiace, anzi! Gli iscritti non gli interessano più. Il partito classico puntava ad avere nello stesso tempo molti iscritti e molti elettori. Al partito di oggi stanno a cuore quasi solo gli elettori».
«Al partito alla maniera moderna la perdita degli iscritti non dispiace, anzi! Gli iscritti non gli interessano più. Il partito classico puntava ad avere nello stesso tempo molti iscritti e molti elettori. Al partito di oggi stanno a cuore quasi solo gli elettori». Il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2015 (m.p.r.)

Qualche anno fa, in occasione di un congresso dei socialisti francesi, Michel Rocard, uno dei grandi vecchi del partito, commentò con tono amaro: «I partecipanti a questo congresso sono di tre tipi: quelli che hanno una carica politica, quelli che aspirano ad averla e quelli che, già che erano da queste parti, sono venuti a guardarsi attorno». La stessa cosa si può dire dell’incontro della Leopolda a Firenze, anche se questo non è un congresso. Ci sono tutte le categorie di persone indicate da Rocard, e nel clima euforico che caratterizza il meeting è difficile accorgersi di un grande assente: mancano gli iscritti e il popolo della base.

L’incontro di Firenze costituisce infatti l’icona di un fenomeno politico che si rende sempre più visibile: i partiti senza iscritti. Il fenomeno è segnalato in diversi paesi d’Europa, soprattutto nell’ala sinistra degli schieramenti. In Gran Bretagna, in Norvegia e in Francia, dal 1980 i partiti hanno perso più della metà degli iscritti. Il Partito democratico non fa eccezione: dai più di 500.000 iscritti del 2013 è sceso ai 350.000 del 2014. Quest’anno siamo sotto i centomila e qualcuno parla finanche di 60.000. Questi sono dati conosciuti.
Meno noto è il suo rovescio: al partito alla maniera moderna la perdita degli iscritti non dispiace, anzi! Gli iscritti non gli interessano più. Il partito classico puntava ad avere nello stesso tempo molti iscritti e molti elettori. Al partito di oggi stanno a cuore quasi solo gli elettori: ciò che vogliono sono i voti, non gli iscritti. Per questo non c’è bisogno di tenere aperte le sedi periferiche: ai tempi di Bersani i circoli Pd erano circa 7000, oggi sono circa 6400 e il piano di riorganizzazione del partito prevede che diventino 4500 entro l’anno prossimo.
Alcuni partiti non hanno praticamente struttura territoriale, non tengono congressi e non si confrontano mai. La dissociazione tra partito e iscritti è sempre più netta. Il partito tende a rendersi invisibile. Ciò si vede chiaramente negli incontri tipo Leopolda: gli emblemi di partito sono scomparsi, non ci sono più inni di appartenenza, il format non è quello del congresso ma oscilla tra lo show (scenografie, annunciatori, ribalte, luci teatrali, casting accuratissimo, star mediatiche e campioni di ogni genere), il corso motivazionale per venditori (c’è perfino la parata delle testate nemiche), la recita parrocchiale, in ogni caso con sovrano sprezzo del senso del kitsch. Le citazioni in grande sui pannelli non sono tratte dai classici del pensiero socialista (e neanche cristiano-sociale) ma da quello scrittore per anime semplici che è Antoine de Saint-Exupéry…
Come si spiega questo fenomeno? Secondo una possibile interpretazione, ai partiti gli iscritti non interessano più perché, in fondo, i molti iscritti sono più un peso che una risorsa. Sono una fonte inesauribile di richieste, proposte e proteste verso il vertice. Interpellano la dirigenza, si candidano alla cariche interne, ne chiedono la rotazione, costringono a dare risposte, pongono problemi scomodi. Insomma, producono un sovraccarico per la dirigenza del partito, che non è più libera di fare quel che vuole. In pratica, il modello di partito come organizzazione che forma le sue idee dal basso verso l’alto non funziona più. È finita l’epoca in cui il dibattito territoriale contribuiva a fissare l’agenda. Adesso l’agenda è fissata dall’alto e portata a condivisione con procedure più adatte al marketing che all’elaborazione politica.
La liquefazione del corpo dei fedelissimi ha diversi significati. Vista dal lato dei cittadini indica che si sono stancati di non contare nulla o quasi e che del ceto politico non si fidano più. Insomma, indifferenza e apatia. Visto invece dal lato dei partiti è indizio di una metamorfosi. Via via sgravati dell’impegnativa massa di iscritti, i partiti stanno cambiando pelle e mission. Una volta erano (almeno in parte) scuole di alfabetizzazione politica, di sensibilizzazione e di dibattito. Oggi sono sempre più «agenzie di marketing politico» ( cito Alfio Mastropaolo), il cui compito primario è quello di reclutare i candidati a livello centrale e periferico, creare e consolidare i gruppi di comando, massimizzare il consenso e soprattutto piazzare persone amiche sulle centinaia di poltrone di tutti i livelli su cui è la politica a decidere.
In pratica, torna a primeggiare la funzione di “patronato delle nomine” che un secolo fa esatto Max Weber indicava come vocazione preminente dei partiti. Per questi motivi non hanno più bisogno né di iscritti né di sedi. Quel che gli occorre sono efficienti e spregiudicati apparati di campagna: portavoce, ricognitori, ufficiali di collegamento, addetti al fund raising, consulenti, sbrigafaccende, tecnocrati e media peopleamici o finanche embedded… Chissà che la riflessione di Rocard, che sembrava una mesta pietra tombale sulla forma-partito classica, non possa esser letta come la partecipazione di nascita del partito nuovo.
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