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Marina Turi e Massimo Serafini
Diktat nascosti
20 Dicembre 2015
Articoli del 2015
«Elezioni spagnole. La grande maggioranza di spagnole e spagnoli continua a volere farla finita con l’austerità e i tagli alle prestazioni dello stato sociale, ma c’è anche la consapevolezza che perseguire questi obiettivi comporta sfidare chi oggi governa l’Europa».
«Elezioni spagnole. La grande maggioranza di spagnole e spagnoli continua a volere farla finita con l’austerità e i tagli alle prestazioni dello stato sociale, ma c’è anche la consapevolezza che perseguire questi obiettivi comporta sfidare chi oggi governa l’Europa».

il manifesto, 20 dicembre 2015

Nell’indifferenza generale sulla campagna elettorale spagnola è puntualmente piombato il diktat dei liberisti europei: chiunque vincerà le elezioni del prossimo 20 dicembre dovrà rispettare i patti e compiere ulteriori massacri sociali, altrimenti chi governerà verrà sottoposto allo stesso trattamento riservato a Tsipras e al suo governo.

Da nessuno dei quattro partiti, cinque se si aggiunge Izquierda Unida, che si contendono il prossimo governo spagnolo è arrivata una presa di posizione. Forse si pensa che elettori ed elettrici spagnole e soprattutto quel 41% che ancora si dichiara indeciso, secondo gli ultimi sondaggi, non diano alcuna importanza a questa minaccia e comunque che essa non abbia un peso nella loro decisione di voto. In realtà la durissima punizione a cui sono stati sottoposti il popolo greco e il suo governo hanno già pesantemente influito sulle intenzioni di voto degli spagnoli, soprattutto su coloro che reclamano cambiamenti sociali e politici profondi, come Podemos. Non a caso il partito, nato per portare al governo l’indignazione sociale che paralizzò la Spagna quattro anni fa, ha perso consensi nei sondaggi proprio a partire dalla conclusione amara della vicenda greca.

Il principale argomento che le destre, ma anche i socialisti, hanno usato contro Podemos è proprio quello che una sua vittoria farebbe fare alla Spagna la stessa fine della Grecia. Non c’è dubbio che la grande maggioranza di spagnole e spagnoli continua a volere farla finita con l’austerità e i tagli alle prestazioni dello stato sociale, ma c’è anche la consapevolezza che perseguire questi obiettivi comporta sfidare chi oggi governa l’Europa.

Che a mettere la testa sotto la sabbia siano le destre si può capire, perché sia il Partito Popolare che Ciudadanos, se dovessero vincere le elezioni e allearsi per governare, rispetterebbero le condizioni capestro che provengono da Bruxelles. Per Rajoy si tratterebbe solo di dare un seguito alle disastrose politiche economiche, sociali ed ambientali che il suo governo ha imposto in questi ultimi anni. Altrettanto farebbe Ciudadanos, cioè la destra presentabile e modernizzante, in grande ascesa nei sondaggi. Il suo leader, Rivera, ha sempre dichiarato che in caso di vittoria si guarderebbe bene dal rimettere in discussione il patto di stabilità e tantomeno abrogare dalla costituzione spagnola l’articolo sul pareggio di bilancio.

Meno comprensibile è il silenzio della sinistra che ha appoggiato il generoso tentativo di Tsipras, cioè Podemos e Unidad Popular-Iu. Altrettanto ambiguo è il silenzio del Psoe. È abbastanza evidente che le promesse di Sanchez e dei socialisti di rilanciare lo stato sociale e il lavoro sarebbero carta straccia senza un no alle richieste dei falchi liberisti. La stessa sorte riceverebbero la rivoluzione energetica rinnovabile, il rilancio della sanità e dell’istruzione pubbliche, la redistribuzione del reddito lanciate dal programma di Podemos o il lavoro (garantito) per tutti richiesto dal giovanissimo candidato premier, Alberto Garzón, di Izquierda Unida.

Pensare che elettrici ed elettori siano solo una folla facilmente manipolabile è vecchio vizio perdente della vecchia politica, che giustamente si condanna. Non era quello della partecipazione e del rifiuto della delega uno degli elementi costitutivi del movimento degli indignados, a cui Podemos e Izquierda Unida si ispirano?

Quindi chi vuole e propone di farla finita con il massacro dello stato sociale e una iniqua distribuzione della ricchezza ha l’obbligo, per essere credibile, di dire chiaramente se intende sottostare ai vincoli imposti da Bruxelles o sovvertirli. Gli ultimi sondaggi, oltre ai tanti indecisi, evidenziano anche che l’unica concreta alternativa a Rajoy sarebbe solo un’alleanza fra socialisti, Podemos e Unidad Popular-Iu. Non sembrano essere queste le intenzioni.

Sia il Psoe che Podemos rinviano qualsiasi eventuale intesa al dopo elezioni, facendola dipendere da come il voto di oggi, 20 dicembre, definirà i rapporti di forza fra questi partiti. Per ora il Psoe, tristemente, sembra attratto a cercare un accordo più con Ciudadanos che con Podemos. Una risposta chiara all’arrogante ingerenza di Bruxelles, dovrebbe obbligare il Psoe ad unirsi a sinistra.

Un no comune della sinistra al diktat aiuterebbe l’elettorato a capire la natura di destra di Ciudadanos che, con una sua vittoria, nulla cambierebbe in Spagna rispetto ad ora. Dare un volto giovane e più rispettabile alle politiche liberiste non le rende meno socialmente disastrose, come dimostra Renzi in Italia. Non solo. Invece un no comune alle pretese di Bruxelles, come è successo in Portogallo, renderebbe più facile un accordo a sinistra per governare.

Fare irrompere, anziché occultare, il proposito comune di una nuova Spagna in una Europa differente avrebbe potuto spostare quegli equilibri, che i sondaggi sembrano aver consolidato, e rilanciare il cambiamento.

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