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Nadia Urbinati
Perchè ha ancora senso parlare di destra e sinistra
5 Novembre 2015
Articoli del 2015
L'attuale confusione che regna nell'ambito delle diverse formazioni politiche che popolano il palcoscenico italiano non giustificano le pretese di porsi "al di sopra delle parti". La politiche richiede compiere scelte, in chi governa come nel singolo cittadino.

L'attuale confusione che regna nell'ambito delle diverse formazioni politiche che popolano il palcoscenico italiano non giustificano le pretese di porsi "al di sopra delle parti". La politiche richiede compiere scelte, in chi governa come nel singolo cittadino. La Repubblica, 5 novembre 2025

GIUDICARE in politica è tenere una parte o prendere parte, scriveva Hannah Arendt commentando Aristotele. Non si può giudicare senza stare da una qualche parte o schierarsi. Questo vale soprattutto per i cittadini nelle loro considerazioni ordinarie sulle cose relative alla loro città o al loro Paese; anche quando dichiarano di volersi astenere dal giudicare o si professano indifferenti alle parti politiche. È a partire dalla natura fallibile del giudizio politico che i governi liberi vantano di essere quelli nei quali la ricerca del giudizio migliore trova la propria sede, poiché garantiscono le libertà civili grazie alle quali il giudicare pro e contro si dipana in un clima di tranquillità e rispetto. Giudizio e politica stanno in stretta connessione. Un narratore della condizione politica, Thomas Mann, diceva che, per questo, la democrazia è tra tutti i regimi quello più compiutamente politico, perché qui anche chi vuole tirarsi fuori da ogni giudizio politico deve fatalmente schierarsi, facendo della propria posizione impolitica un giudizio di parte.

Le pretese che oggi si levano contro il giudizio politico destano quindi legittimo sospetto. Un candidato possibile alla poltrona di sindaco del Comune di Roma, Alfio Marchini, si propone come al di sopra delle parti politiche — né di destra, né di sinistra.

È un imprenditore, parte della società civile intraprendente, ed è romano. Due ragioni certo rilevanti, la seconda soprattutto, ma non sufficienti.

Perché amministrare una città non è lo stesso che amministrare un’azienda, anche se le città hanno bisogno di buoni amministratori che sappiano ragionare in termini di prudenza, opportunità ed efficienza. Ma non basta. Poiché, contrariamente alle aziende private, l’amministratore di una città deve rendere conto delle sue decisioni, non ai suoi azionisti ma a tutti i cittadini, residenti che hanno diversissime condizioni sociali, economiche e culturali, tutte rappresentate nel voto che esprimono, pro o contro. Solo la politica può rappresentare questa generalità e insieme partigianeria.

E torniamo così al punto di partenza, al giudizio politico. Presentarsi come candidato né di destra né di sinistra è una strategia molto politica, che cerca di capitalizzare a partire dai fallimenti delle precedenti amministrazioni, di destra e di sinistra, le quali — per ragioni e con responsabilità molto diverse tra loro — hanno generato i problemi che portano ora al voto anticipato, dopo essere passati per una gestione commissariale della città capitale d’Italia. Ma si deve dubitare di questo ecumenismo poiché se Marchini diventasse sindaco dovrà pur scegliere dove investire o disinvestire le risorse pubbliche, se occuparsi delle periferie e come, se occuparsi del malgoverno e come, se prediligere il trasporto pubblico e come, eccetera. In tutti i casi, egli dovrà scegliere e si rivolgerà a una parte del consiglio comunale per avere sostegno e voti.

Destra/sinistra sono distinzioni generali che servono a orientare elettori ed eletti. Sono sempre più approssimative e sempre più liminali, ma esistono. La confusione prodotta in questi mesi non aiuta a distinguerle, è vero: la destra parlamentare spesso alleata del partito di centro-sinistra che governa, il quale ha una sua sinistra interna, e un’opposizione grillina che si definisce in ragione di chi contrasta, senza chiarezza sulle proprie posizioni. Tanta confusione disorienta. Ma non elimina le distinzioni di giudizio sulle politiche, che esistono. Rinunciare ad esse o pretendere che non esistano non è indice di oggettiva chiarezza, ma di strategica ambiguità — la speranza di capitalizzare dalla memoria vecchia e recente dei fallimenti della politica.

Scriveva John Stuart Mill — un liberale diffidente verso i partiti—che il sistema rappresentativo non può evitare divisioni di schieramento ideale o ideologico: la divisione tra “progressisti” e “conservatori” (alla quale egli pensava), ovvero tra “sinistra” e “destra”, corrisponde a due modi di giudicare, relativi a due criteri o principi generali non identici e nemmeno interscambiabili. Uno di essi orientato direttamente verso la promozione del benessere della maggioranza con scelte amministrative volte a risolvere i bisogni più urgenti e a includere quanti più possibile nel godimento del benessere generale; l’altro orientato a pensare che favorendo l’interesse dei pochi che hanno risorse da investire ne verrà giovamento per molti, eventualmente. Si tratta, come si vede, di divisioni molto meno esplicite di quelle che la vecchia terminologia ideologica offriva. Ma sono abbastanza chiare nonostante tutto, e corrispondono a due modi di intendere e di amministrare il bene pubblico.
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