loader
menu
© 2024 Eddyburg
Stefano Boato
I cambi d’uso e la normativa vigente
3 Novembre 2015
Terra acqua e società
«Il cambio d’uso non è un obbligo ma una eventuale concessione eccezionale che può essere data (se ve ne sono le condizioni) ma può anche essere negata dando un primo segnale della volontà di fermare l’esodo e avviare il ripopolamento».
«Il cambio d’uso non è un obbligo ma una eventuale concessione eccezionale che può essere data (se ve ne sono le condizioni) ma può anche essere negata dando un primo segnale della volontà di fermare l’esodo e avviare il ripopolamento». La Nuova Venezia, 2 novembre 2015
A propositi di esodo e ripopolamento di Venezia la discussione sui cambi d’uso deve partire dalla conoscenza delle norme del piano urbanistico in vigore. L'art. 25.1 delle NTA vieta il cambio di destinazione d'uso delle unità immobiliari di superficie utile inferiore a mq 120, anche delle unità immobiliari abitative che attualmente risultano non occupate o sfitte alla data del 31 dicembre 2000, (purché queste risultino accatastate come abitazioni o che tale destinazione risulti da altra documentazione ufficiale come licenze, autorizzazioni, abilitazioni ecc.). Questa norma era stata inserita per evitare la richiesta di accorpamenti immobiliari e successivamente la richiesta di cambi d'uso da residenza ad attrezzatura ricettive, aggirando in tal modo il limite dei 120 mq. In conclusione non è possibile trasformare l'uso abitativo di una unità immobiliare di superficie inferiore ai 120 mq anche se questa risulta vuota, purché sia registrata e accatastata come abitazione alla data del 31 dicembre 2000.
Da quanto riportano i giornali (occorre verificare le deliberazioni in discussione) risulterebbe, che per le tre unità abitative interne ad un'unica unità edilizia, viene utilizzata la deroga prevista dall'art. 28.1 delle NTA perché attualmente sono vuote. Se ciò fosse vero sarebbe un'interpretazione errata o solo una grande forzatura. In ogni caso l'art. 28.1 consente l'insediamento di un'unica utilizzazione compatibile con il tipo edilizio sull'intera unità edilizia e quindi il cambio degli usi abitativi in atto (intendendo anche in questo caso certificati da atti quali accatastamenti, autorizzazioni, abilitazioni ecce.) purché risulti che i 2/3 della superficie dell'unità edilizia sia utilizzata ad un'unica diversa utilizzazione da quella abitativa. Tanto è vero che il comma 2° dello stesso articolo 28.1 punto b) prevede che sia stipulata una convenzione con il Comune per la eventuale riallocazione degli utilizzatori delle abitazioni inserite nell'unità edilizia in altri congrui immobili.
La controversia riguarda proprio la parola “destinazione d'uso abitativa in atto”, ma non vi è dubbio che la norma sia chiara così come espressa all'art. 25.1. L'Amministrazione comunale dà un'interpretazione tutta sua e a suo piacimento. Così anche per l'art. 28.1 in atto non deve intendersi “attualmente” poiché il proprietario pur di raggiungere i suoi scopi potrebbe dare prima lo sfratto agli inquilini (o buonuscita) e una volta ottenuto non avere nemmeno l'obbligo di sistemare gli stessi in un congruo immobile. Prima di trasformare la destinazione d'uso delle unità immobiliari ad uso residenziale è necessario verificare da quando non sono occupate e se gli eventuali inquilini sono stati sfrattati per raggiungere lo scopo di trasformare tutta l'unità edilizia in albergo.
Quindi il cambio d’uso non è un obbligo ma una eventuale concessione eccezionale che può essere data (se ve ne sono le condizioni) ma può anche essere negata dando un primo segnale della volontà di fermare l’esodo e avviare il ripopolamento. Se vi è effettiva volontà politica in pochi giorni può essere riadottata, in variante, la norma precedente vigente fino al 1999 che tutelava tutte le unità catalogate come residenza. La norma va in vigore, come salvaguardia, dal giorno stesso della sua adozione. Nella città storica vi sono moltissimi altri spazi disponibili (identificati, classificati, normati e quantificati fin dal 1990) per essere destinati ad altre attività terziarie (possibilmente non ricettive).
Ovviamente per bloccare l’esodo di abitanti (e attività) non basta impedire il cambio d’uso degli appartamenti rimasti. Occorre attivare delle forti politiche per favorire e rendere conveniente la residenza in città, altrimenti comunque il mercato continuerà a spingere verso l’esodo.
Stefano Boato Venezia, ex assessore all’Urbanistica anoressia

ARTICOLI CORRELATI
7 Giugno 2019

© 2024 Eddyburg