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Stefano Rodotà
Internet e Privacy: C'è un giudice in Europa che frena gli USA
12 Ottobre 2015
de homine
Economia battuta dai diritti personali. I giudici hanno ripetutamente mostrato che un’altra via è possibile, anzi necessaria. Ora è, o dovrebbe essere, il momento della politica, che deve dare sviluppo convinto e vigoroso ai principi di libertà ormai pienamente emersi.
Economia battuta dai diritti personali. I giudici hanno ripetutamente mostrato che un’altra via è possibile, anzi necessaria. Ora è, o dovrebbe essere, il momento della politica, che deve dare sviluppo convinto e vigoroso ai principi di libertà ormai pienamente emersi.

La Repubblica, 12 ottobre 2015

Di fronte ad una politica aggressivamente ripiegata sulla sola economia, sono i giudici che cercano di mantenere viva l’Europa dei diritti. Lo ha confermato qualche giorno fa una sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo che ha dichiarato illegittima una decisione della Commissione europea del 2000 sul trasferimento dei dati personali dai paesi dell’Unione europea negli Stati Uniti perché violava il diritto fondamentale alla tutela della privacy. La sentenza nasce da un caso riguardante Facebook, è stata certamente influenzata dalle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio elettronico americano, ma mette in evidenza un vizio d’origine dell’intesa tra Commissione europea e amministrazione degli Stati Uniti, sul quale bisogna riflettere.

Un vizio ben noto, e che era stato denunciato fin dal momento in cui si negoziava quell’intesa. Poiché all’epoca facevo parte del gruppo europeo sulla tutela dei dati personali, posso dare una personale testimonianza del fatto che tutti gli argomenti adoperati oggi dalla Corte di Giustizia erano stati ampiamente sollevati quindici anni fa. Si disse che le regole previste privavano i cittadini europei di ogni potere di controllo sul modo in cui sarebbero state adoperate le loro informazioni una volta trasferite negli Stati Uniti, si prospettò il rischio che di quei dati si sarebbero impadroniti gli organismi di sicurezza, come poi è avvenuto. La discussione fu aspra, si riuscì a limitare qualche danno, ma l’atteggiamento della Commissione fu, in modo smaccato e protervo, di assoluta subordinazione alle richieste americane.
Quella protervia è stata ora travolta. È bene sottolinearlo, perché l’Unione europea sta ridefinendo il proprio sistema di garanzie per i dati personali, le pressioni degli Stati Uniti sono sempre forti e le resistenze europee non sembrano adeguate. Ma la Corte di Giustizia ha indicato con grande chiarezza le condizioni da rispettare perché le decisioni in questa materia possano essere considerate legittime. La tutela dei dati personali è riconosciuta come un diritto fondamentale d’ogni persona dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La parola privacy, che continua ad accompagnare le discussioni, ha ormai un significato non riducibile alla semplice riservatezza che si può esigere per la propria sfera privata. Indica una dimensione della libertà dei contemporanei, che devono curarla con attenzione e regole adeguate, anche nell’interesse di quelle che vengono chiamate le generazioni future.
Nel tempo dei “big data”, del controllo pervasivo sulle persone attraverso la raccolta delle informazioni incessantemente prodotte dal muoversi in un ambiente innervato da tecnologie della vita quotidiana, dal passaggio all”Internet delle cose”, si sta davvero costruendo un mondo nuovo, con forme inedite di accentramento dei poteri e di riduzione dei diritti che devono essere adeguatamente contrastate.
Nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea si rinvengono criteri preziosi, e vincolanti. Parlo di sentenze al plurale, perché quella appena pubblicata si colloca in una linea che la congiunge a due sentenze dell’anno scorso, altrettanto importanti, sul tempo di conservazione dei dati personali e sul diritto all’oblio. Una linea di tendenza ormai chiara. Nei casi di conflitti tra il diritto fondamentale alla tutela dei dati personali e le esigenze di sicurezza e di mercato è proprio il primo a dover avere la preminenza. In una sentenza dell’anno scorso, relativa ad un caso riguardante Google, si è detto con chiarezza che “il diritto fondamentale alla tutela dei dati personali prevale giuridicamente sull’interesse economico degli operatori del settore”. Nella decisione ultima si afferma che “una disciplina che permetta alle autorità pubbliche di accedere in maniera generalizzata ai contenuti delle comunicazioni elettroniche deve essere considerata come una violazione del contenuto essenziale del diritto fondamentale alla vita privata garantito dalla Carta europea”.
Sono affermazioni di grande rilievo, di portata generale, particolarmente importanti in un momento in cui molti Stati membri dell’Unione europea approvano norme che consentono forme di sorveglianza di massa sulle persone, evidentemente in contrasto con l’ultimo principio ricordato. Ma vi è una ulteriore, assai significativa conseguenza di queste sentenze. Poiché riguardano soggetti e situazioni che si collocano su scala globale, i loro effetti sono destinati a prodursi ben oltre i confini dell’Unione. Queste decisioni stanno così costruendo il nucleo di un diritto anch’esso globale, favorito da una unificazione determinata da una tecnologia che si sviluppa secondo modalità che hanno il mondo come riferimento.
Solo nelle apparenze, quindi, la tendenza espressa dalle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea apparterrebbero a quella sorta di “balcanizzazione” di Internet che taluni mettono in evidenza. È vero che siamo di fronte a dinamiche che innescano conflitti legati a contrastanti interessi economici, agli appetiti di Stati nazionali, autoritari e non, di controllare Internet. Ma il carattere proprio di Internet rimane quello del più grande spazio pubblico mai conosciuto, che evoca in ogni momento la necessità di muovere dalla considerazione del ruolo delle persone e dell’assetto dei poteri.
Questo comune punto di riferimento è ritrovato dai giudici europei nel loro continuo, insistito riferimento ai diritti fondamentali. Un punto, insieme, di attrazione e di unificazione. Lo dimostrano le diverse legislazioni che si ispirano proprio al modello europeo e alla sua costruzione intorno ai diritti fondamentali, come testimoniano, tra le altre, le normative brasiliane. Lo conferma il moltiplicarsi di progetti di Internet Bill of Rights, con una manifestazione significativa nella Dichiarazione dei diritti di Internet elaborata dalla nostra Camera dei deputati, che è all’origine di un documento comune della Presidente della Camera e del Presidente dell’Assemblea nazionale francese.
Siamo di fronte ad iniziative volte ad una “costituzionalizzazione” di Internet, che ovviamente portano con sé un confronto tra diverse impostazioni, che continua da anni tra Europa e Stati Uniti, con le distorsioni già segnalate. È tempo di prendere atto dell’impulso dato a questo processo dal riferimento giuridicamente obbligato alla Carta dei diritti fondamentali, che la politica europea ha omesso in questi anni, guardando alla logica economica quasi come ad una immutabile legge naturale e alterando così gli equilibri istituzionali dell’Unione. I giudici hanno ripetutamente mostrato che un’altra via è possibile, anzi necessaria. Ora è, o dovrebbe essere, il momento della politica, che deve dare sviluppo convinto e vigoroso ai principi di libertà ormai pienamente emersi. Ricordando, in primo luogo, che l’assetto complessivo di diritti e poteri su Internet definisce già oggi la dimensione dove si gioca il futuro della democrazia.
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