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Giovanni Valentini
Persi venti metri di costa al giorno “Il cemento divora le spiagge italiane”
18 Agosto 2015
«La denuncia di Legambiente sulla salute del mare italiano è di “un punto inquinato ogni 62 km di costa. Su 266 campioni di acqua analizzati da Goletta Verde, il 45 per cento ha cariche batteriche superiori ai limiti imposti dalla normativa”».
La Repubblica, 16 agosto 2015
Siete in vacanza al mare? Ci siete già stati o siete in procinto di andarci? In ogni caso, potrà interessarvi sapere che nella nostra amata penisola “spariscono” 20 metri di costa in media al giorno.
Più precisamente, vengono “divorati” da un mostro famelico che si chiama urbanizzazione e ha le sembianze del cemento. E purtroppo c’è da temere che la riforma della Pubblica amministrazione approvata recentemente dal Parlamento, introducendo il meccanismo del silenzio-assenso se le Soprintendenze non esprimono il proprio parere entro 90 giorni, finisca per alimentare questa voracità.

I dati raccolti da Legambiente a partire dal 2012 compongono un quadro allarmante sul “consumo delle aree costiere italiane”. Da Ventimiglia a Trieste, il dossier traccia il profilo dell’intera penisola e sarà completato l’anno prossimo con lo studio di Sardegna e Sicilia.

Ma la situazione risulta già ora impressionante: sui 3.902 chilometri di costa analizzati, oltre 2.194 sono stati trasformati dall’urbanizzazione selvaggia in palazzi, alberghi, ville e porti, con una percentuale del 56,2 per cento sul totale. Dal 1985 a oggi, cioè da quando la legge Galasso impose la distanza minima di 300 metri dal mare per le nuove costruzioni, sono stati praticamente “cancellati” 222 chilometri di litorale, al ritmo di quasi otto all’anno. La lava di cemento non distingue fra i tre mari che ci circondano: 1.257,3 chilometri su 1.784,9 trasformati sul Tirreno; 706,2 su 1.309 lungo l’Adriatico e 485,7 su 808,5 nello Jonio. Né la colata fa differenza tra Nord, Centro e Sud.
Nella classifica generale delle regioni, il record negativo spetta nell’ordine a Calabria, Liguria, Lazio e Abruzzo, dove si salva ormai appena un terzo del paesaggio costiero. Dal 65 per cento di litorale calabrese cancellato, per un totale di 523 chilometri su 798 di cui 11 dopo il 1988, si varia al 36 per cento del Veneto (sei chilometri su 170 dopo l’entrata in vigore della legge Galasso): qui, però, ha fatto da argine la particolare morfologia della costa, tra laguna di Venezia e delta del Po. E ciò vale anche per il tratto che va dal Conero (Marche) al Gargano (Puglia).

Nel Lazio, su un totale di 329 chilometri e 208 cancellati, in questi ultimi anni sono stati distrutti 41 chilometri di paesaggi costieri con caratteristiche naturali o agricole. La Puglia ha eroso addirittura 80 chilometri, per un totale di 455 su 810. Ma è stato il piccolo Molise a registrare l’aggressione più violenta, con il 28,6 per cento della costa trasformata in tempi più recenti: dieci chilometri cementificati dopo l’introduzione della legge Galasso, per una somma di 17 sul totale di 35.
Il consumo delle coste non è solo un problema di ordine estetico o paesaggistico. È in senso più ampio una questione ambientale. Un’emergenza che compromette l’assetto idro-geologico del territorio: quando i fiumi non trovano più sbocchi sufficienti nel mare, ingabbiati o bloccati dalla barriera di cemento, allora esondano e provocano alluvioni, com’è avvenuto nei giorni scorsi in Calabria. E quindi, parliamo anche di una minaccia per quella risorsa nazionale che è costituita dal turismo.

«Il silenzio-assenso previsto dalla legge Madia – avverte il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza – mette ancora più a rischio le coste italiane ed è l’esperienza di decenni a dimostrarlo. Da un capo all’altro della penisola, sono troppi i casi di opere eseguite forzando i vincoli delle procedure, anche senza questo meccanismo automatico. Eppure, per impedire ulteriori scempi,basterebbe limitare il silenzio-assenso alle regioni che hanno già approvato Piani pae-saggistici, ai sensi del Codice dei Beni culturali, come Puglia, Toscana e Sardegna».
Oltre a questa prima misura immediata, gli autori del Rapporto propongono di «aprire i cantieri di riqualificazione delle aree costiere », nel quadro del programma europeo 2014-2020. Il patrimonio edilizio lungo le coste è generalmente obsoleto e malandato. Qui si tratta innanzitutto di favorire la rigenerazione energetica, come s’è cominciato a fare adesso per 11 fari marittimi, in modo da incrementare l’offerta turistica.

Due esempi per tutti: il vecchio albergo abbandonato e pericolante sul lungomare di Portovenere (Liguria) e la colonia estiva costruita dal fascismo sul porto di Santa Maria di Leuca (Puglia), un rudere che deturpa il paesaggio come un eco- mostro d’epoca.

La valorizzazione turistica, secondo l’approccio costruttivo di Legambiente, può e deve coniugarsi insomma con l’esigenza primaria della tutela. A patto che le amministrazioni pubbliche siano in grado di garantire la certezza dei tempi sugli interventi. È un impegno comune in difesa di un patrimonio naturale come quello costiero che, per una penisola protesa nel Mediterraneo e circondata da tre mari, racchiude una parte cospicua della nostra identità, della nostra storia e della nostra memoria collettiva.
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