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Giorgio Nebbia
Le religioni si interrogano sull’ambiente
31 Agosto 2015
Giorgio Nebbia
Dagli anni ottanta del Novecento le chiese cristiane stanno dedicando attenzione ai problemi della difesa della natura e dell’ambiente, della pace ... (continua a leggere)

Dagli anni ottanta del Novecento le chiese cristiane stanno dedicando attenzione ai problemi della difesa della natura e dell’ambiente, della pace ... (continua a leggere)

Dagli anni ottanta del Novecento le chiese cristiane stanno dedicando attenzione ai problemi della difesa della natura e dell’ambiente, della pace e della giustizia; tale attenzione è andata crescendo a mano a mano che si sono fatti più vistosi i segni della violenza delle attività umane contro l’ambiente, confermati, in questi ultimi anni, dagli eventi climatici disastrosi che hanno colpito tante parti della Terra e che sono imputabili al lento continuo riscaldamento del pianeta. Una attenzione che ha ricevuto nuovo impulso con la recente enciclica di Papa Francesco, Laudato si’ che ha trattato in maniera organica e unitaria le radici e i rimedi della crisi, non solo climatica, del pianeta Terra, nella società industriale e consumistica odierna.

Questo fermento si sta diffondendo anche nei seguaci delle religioni non cristiane. Il 17-18 agosto scorso, per esempio, si è tenuta a Istanbul una riunione di credenti musulmani che hanno redatto una Dichiarazione islamica sulle modificazioni climatiche mondiali, anche in vista della conferenza internazionale che si terrà a Parigi nel prossimo dicembre alla ricerca di azioni comuni per rallentare il riscaldamento planetario. In Europa abbiamo dell’Islam una visione miope sulla base delle violenze manifestate da gruppi che dichiarano di parlare in nome dell’Islam, e dei conflitti politici e militari fra comunità sunnite (circa 85 percento dei credenti musulmani) e sciite (circa 15 percento dei credenti). Ma il mondo musulmano conta 1600 milioni di credenti, la seconda religione dopo quelle cristiane con 2000 milioni di credenti di cui 1200 milioni cattolici. I credenti nell’Islam hanno come riferimento il libro sacro del Corano, così come i cristiani hanno la Bibbia, e il Corano, come la Bibbia, comincia con la creazione dei cieli e della terra e di tutti i viventi da parte di un solo Dio (Allah, per i musulmani), che ha fatto bene tutte le cose, che sono buone. I beni della creazione appartengono a Dio e l’uomo ne è soltanto il custode (khalifah, nel Corano). Lo stesso concetto che si trova nel secondo capitolo del libro della Genesi: la Terra è stata data all”uomo” perché la coltivi e la custodisca. Una delle molte analogie fra i libri sacri delle due religioni monoteiste.

La dichiarazione islamica di Istanbul ricorda che il riscaldamento planetario, causa dei mutamenti climatici, è dovuto sia al crescente uso di combustibili fossili, sia alla distruzione delle foreste e ai mutamenti della struttura del suolo dovute alla estensione di monocolture per prodotti da esportare nei paesi industriali, fenomeni che si manifestano vistosamente, per esempio, in Indonesia, popoloso paese islamico. La dichiarazione passa poi ad elencare molte raccomandazioni di buon governo ambientale. E’ opportuno risparmiare l’acqua, anche questo un aspetto a cui sono sensibili molti paesi aridi abitati da musulmani, istituire delle aree protette di particolare valore naturalistico, riparare e riciclare le cose usate. La dichiarazione invita a vivere in modo frugale per consentire agli abitanti dei paesi poveri di avere accesso ad una maggiore frazione dei beni naturali e invita le organizzazioni economiche e produttive a diminuire i loro elevati consumi di risorse, la loro ”impronta ecologica”, e a finanziare una economia verde. Viene auspicato anche che si possa arrivare ad un uso al 100 percento delle energie rinnovabili, un tasto delicato dal momento che alcuni paesi islamici sono fra i maggiori produttori ed esportatori di petrolio, il cui uso è una delle principali fonti dei mutamenti climatici. E' comunque interessante che gli esponenti di comunità musulmane, nei cui paesi si hanno i maggiori contrasti fra pochi abitanti ricchissimi e moltitudini abitanti poverissimi, auspichino l’avvento di un nuovo modello di benessere.

L’enciclica e l’insegnamento di Papa Francesco vanno però al di là dei rimedi tecnici o finanziari per contrastare la crisi climatica e riconoscono le vere origini delle violenze ambientali nell’egoismo dei paesi industriali e consumisti, nella ineguaglianza nella distribuzione dei beni materiali, per cui i paesi poveri diventano sempre più poveri essendo costretti a vendere a basso prezzo sia le loro risorse naturali minerarie, agricole e forestali, sia i loro stessi abitanti, costretti a migrare per cercare condizioni decenti di vita. L’enciclica denuncia una politica focalizzata sulla crescita a breve termine, e i governi che, rispondendo a interessi elettorali, non si azzardano a irritare la popolazione con misure, come potrebbero essere più severe iniziative per la protezione dell’ambiente, per la sicurezza dei lavoratori e per i diritti degli immigrati, che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investimenti esteri.

In un’altra occasione Papa Francesco ha detto che la vera ricetta per la crisi anche ambientale contemporanea, è offerta dalla solidarietà, che significa pensare, agire e anche lottare in termini di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni, far fronte agli effetti distruttori dell’impero del dio denaro. Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si possono separare o trattare singolarmente. I problemi economici, sociali, umani, ambientali che abbiamo di fronte sono enormi, comportano il superamento di grandi contraddizioni ed egoismi, ma, come dice il Papa, “L’amore è più forte”.

L'articolo è stato inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno
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