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Roberto Ciccarelli
Aumentano i non-occupati, ma in compenso piovono i soldi alle imprese
1 Agosto 2015
Articoli del 2015
Articoli di Marta Fana e Roberto Ciccarelli sulla politica economica del governo. Nonostante

gli incentivi alle imprese la stagnazione prosegue, così come il passaggio dal lavoro garantito a quello precario. Fichè restano avvolti nel modello tatcheriano non c'è salvezza. Il manifesto, 1 agosto 2015

È LA DISOCCUPAZIONE, BELLEZZA
di Marta Fana

I dati sul lavoro a giugno: 22mila disoccupati in più, la stagnazione continua. Il governo parla di lavoro con argomentazioni strumentali, quando non manifestamente fuorvianti e parziali. Per Renzi è «piccola ripartenza, ma c’è molto da fare». Poletti si giustifica: «I numeri fluttuano perché siamo all’inizio della ripresa». Vediamo come stanno, davvero, le cose

Sostiene l’Istat che il primo seme­stre 2015 si è chiuso con un anda­mento del mer­cato del lavoro per nulla posi­tivo: a giu­gno il tasso di disoc­cu­pa­zione per l’intera popo­la­zione è tor­nato al 12.7% e quello gio­va­nile rag­giunge il 44.2%. Il numero di occu­pati con­ti­nua a dimi­nuire a giu­gno di 22 mila unità in un mese, dopo il calo di mag­gio di 74 mila unità. Dimi­nui­sce anche il tasso di inat­ti­vità, spie­gato dalle con­di­zioni dram­ma­ti­che in cui ver­sano le fami­glie e non dalla fidu­cia ritro­vata (che pro­prio a giu­gno mostra un calo signi­fi­ca­tivo), come invece vuole farci cre­dere il governo.

Il calo del numero di occu­pati a giu­gno è stato trai­nato inte­ra­mente dalla com­po­nente maschile e gio­va­nile. Nel con­fronto con giu­gno 2014, in Ita­lia ci sono 40 mila occu­pati in meno: men­tre per gli uomini il numero di occu­pati dimi­nui­sce (-82 mila), per le donne aumenta spe­cu­lar­mente (+42 mila unità). Rispetto allo stesso mese del 2014, il tasso di disoc­cu­pa­zione maschile è aumen­tato del 7.5% (da 11.5 a 12.3 per­cento), men­tre quello fem­mi­nile è dimi­nuito del 3%, rima­nendo comun­que a un livello (13.1%) di gran lunga supe­riore alla media euro­pea. Nello stesso periodo, il tasso di occu­pa­zione dei gio­vani tra i 14 e i 25 anni è crol­lato dell’8% in un anno.

Varia­zioni con­si­de­re­voli riguar­dano anche il numero di inat­tivi (-18 mila rispetto a mag­gio) e il cor­ri­spon­dente tasso di inat­ti­vità, entrambi in dimi­nu­zione e trai­nati dalla mag­gior ricerca di lavoro da parte delle donne (-34 mila), men­tre gli uomini sem­brano sem­pre più sco­rag­giati. Tut­ta­via, i dati con­fer­mano che tra mag­gio e giu­gno l’aumento del tasso di disoc­cu­pa­zione è dovuto più alla ridu­zione del numero di occu­pati che a quella rela­tiva agli inat­tivi. Al con­tra­rio, sul con­fronto ten­den­ziale con giu­gno dello scorso anno, è vero che la ridu­zione del tasso di disoc­cu­pa­zione è deter­mi­nato prin­ci­pal­mente dal calo degli inattivi.

Il governo che doveva risol­vere — come molti altri che l’hanno pre­ce­duto — la disoc­cu­pa­zione, feno­meno strut­tu­rale aggra­vato dalla crisi, si rivela di fatto ina­de­guato ad affron­tare il pro­blema: l’unica poli­tica attiva è stata quella di rega­lare alle imprese miliardi di sgravi sul costo del lavoro da uti­liz­zare libe­ra­mente per accre­scere la pro­pria liqui­dità e pro­fitti piut­to­sto che inve­stire e creare occu­pa­zione. Il governo non è sol­tanto inca­pace di far fronte a un feno­meno dram­ma­tico, ma appare anche dele­te­rio, data l’assenza di pro­gram­ma­zione e i tagli al wel­fare. Se è pre­sto per giu­di­care in modo esau­stivo il Job­sAct, rimane incon­te­sta­bile che dall’insediamento del governo Renzi, il tasso di disoc­cu­pa­zione sia aumen­tato del 3.5% a fronte di un calo del tasso di inat­ti­vità di un esi­guo 0.2%.

Il Job­sAct pare non avere alcun effetto miglio­ra­tivo sul mer­cato del lavoro. Di fronte a que­sto qua­dro per nulla posi­tivo, governo e entou­rage pro­vano ad eva­dere il dato sui disoc­cu­pati per mezzo di argo­men­ta­zioni stru­men­tali, quando non mani­fe­sta­mente fuor­vianti e par­ziali. Non si può dar torto al respon­sa­bile eco­no­mico Pd Filippo Tad­dei quando afferma che il tasso di occu­pa­zione segue quello del Pil, tut­ta­via il para­gone è quan­to­meno infe­lice: in Ita­lia, la cre­scita del Pil segnata nel primo tri­me­stre 2015 è di appena lo 0.3% rispetto al tri­me­stre pre­ce­dente quando era nega­tiva: a conti fatti la situa­zione, pur­troppo, è quella di un paese in piena sta­gna­zione e i cui deboli segnali posi­tivi pro­ven­gono dall’andamento dell’economia euro­pea e glo­bale e non certo da una ritro­vata vita­lità del sistema Ita­lia. Il Pil nel primo tri­me­stre del 2015 è cre­sciuto meno di 20 euro a per­sona, per un totale di 1.181 miliardi di euro in più rispetto all’ultimo tri­me­stre del 2014, men­tre nello stesso periodo la domanda per con­sumi delle fami­glie con­ti­nua a dimi­nuire dato che la cre­scita non è uguale per tutti.
Pur di tro­vare un segnale di miglio­ra­mento il mini­stro del lavoro Giu­liano Poletti con­si­dera la ridu­zione delle ore di cassa inte­gra­zione come un aspetto ine­qui­vo­ca­bil­mente posi­tivo. Ma i dati sulle ore lavo­rate pub­bli­cati dall’Istat riguardo al primo tri­me­stre di quest’anno segna­lano come le ore lavo­rate aumen­tino a fronte di una ridu­zione degli occu­pati, soprat­tutto i dipen­denti nell’industria. Ciò indica che sem­pre più lavo­ra­tori sono chia­mati a fare straor­di­nari a con­di­zioni non sem­pre van­tag­giose. Rispetto alla Cig si cela il fatto che la can­cel­la­zione di alcune tipo­lo­gie come quella per ces­sa­zione di atti­vità, ha modi­fi­cato lo sta­tus dei lavo­ra­tori, che sono adesso in mobi­lità e quindi il numero di ore di cig non può che dimi­nuire. Ma le ore di cig dimi­nui­scono anche data la minore coper­tura degli ammor­tiz­za­tori in con­ti­nuità di con­tratto e nel caso di ces­sa­zione di atti­vità. Un det­ta­glio non for­nito dal governo.

RENZI REGALA 16MILIARDI ALLE IMPRESE
E NON PRODUCE NUOVI POSTI DI LAVORO
di Roberto Ciccarelli

Dopo lo Svi­mez, anche l’Istat gua­sta la festa al governo. Ven­ti­due­mila occu­pati in meno e cin­quan­ta­cin­que mila disoc­cu­pati in più a giu­gno, 85 mila in più dal 2014, hanno indotto ieri il pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi a par­lare di «pic­cola ripar­tenza» dell’occupazione. A Renzi è stato sug­ge­rito di guar­dare i dati Istat che atte­stano la ridu­zione degli inat­tivi, sin­tomo di una mag­giore par­te­ci­pa­zione al mer­cato del lavoro. Una ten­denza che si è strut­tu­rata nell’ultimo anno: –0,9% (-131 mila). «C’è ancora mol­tis­simo da fare ma i dati sono inte­res­santi per­ché quelli che ven­gono con­si­de­rati inat­tivi, che erano sfi­du­ciati o ras­se­gnati, tor­nano a cre­derci - ha detto - cioè aumenta il numero di per­sone che ha tro­vato un posto di lavoro ma anche chi lo sta cercando».

A riprova della stra­te­gia del governo, tutta in difesa per giu­sti­fi­care dati da sta­gna­zione pura e sem­plice, sono arri­vati anche i pen­sieri del respon­sa­bile eco­no­mico del Pd, Filippo Tad­dei, il quale sostiene che la «cre­scita» (data allo 0,7%) pro­durrà effetti occu­pa­zio­nali in autunno, «con sei mesi di ritardo». C’è qual­cosa che però non fun­ziona nella trin­cea sca­vata dal governo sotto l’intenso can­no­neg­gia­mento della crisi: se il tasso di inat­ti­vità dimi­nui­sce, dovrebbe dimi­nuire allora anche quello della disoc­cu­pa­zione. Invece accade il con­tra­rio, e non da ieri. Si torna a sfio­rare il record del 13% (siamo al 12,7%).

In pra­tica, coloro che per­dono il lavoro sono di più di quelli che lo cer­cano e sono tor­nati a «met­tersi in gioco» come direbbe Renzi. Chi invece ha tro­vato un lavoro esce dalla cassa inte­gra­zione. Lo atte­stano i dati: tra il 2014 e il 2015 110 mila per­sone si tro­vano in que­sta situa­zione. Tad­dei e il mini­stro del lavoro Poletti ieri lo hanno rivendicato.

Solo che c’è un grande pro­blema: non si tratta di nuovi posti di lavoro, quelli tanto pro­messi, ma sono con­ver­sioni di quelli già esi­stenti, ma pre­cari. Le imprese non stanno creando nuovi posti di lavoro, ma si limi­tano ad incas­sare gli sgravi fiscali elar­giti dal governo. Da Palazzo Chigi si giu­sti­fi­cano soste­nendo che arri­ve­ranno «dopo», ma si sa che la teo­ria dei due tempi non fun­ziona mai. Per avere un qua­dro più atten­di­bile, e meno ideo­lo­gico, della situa­zione dalle parti della mag­gio­ranza biso­gna pre­stare ascolto ad uno degli alleati di Renzi, per di più ex mini­stro del lavoro e pre­si­dente della com­mis­sione lavoro del Senato: «Il governo – ha spie­gato Mau­ri­zio Sac­coni — deve riflet­tere sugli impulsi prio­ri­tari alla cre­scita posto che gli oltre 16 miliardi di detas­sa­zione sul lavoro hanno sor­tito effetti mode­sti. Come inse­gna la ripresa spa­gnola, non basta la domanda estera se non si con­giunge con la ria­ni­ma­zione di quella interna».

Per Sac­coni tale «ria­ni­ma­zione» avverrà con il taglio delle tasse pro­messe da Renzi sugli immo­bili, per pagare i quali il governo taglierà la sanità pub­blica. Un pastic­cio, pro­dotto puris­simo dell’austerità, da cui non sarà facile uscire per l’esecutivo. Da que­sti discorsi, fatti arram­pi­can­dosi sugli spec­chi, ieri è rima­sto in un cono d’ombra il con­ti­nente della disoc­cu­pa­zione gio­va­nile: al 44,2%. Dopo il fal­li­mento del pro­gramma di Garan­zia Gio­vani, per il governo è ormai un tabù, tanto è vero che non ieri non ne ha par­lato. In que­sto caso non ci sono «flut­tua­zioni dovute alla ripresa» come sostiene Poletti per la disoc­cu­pa­zione gene­rale. La ten­denza è uni­voca: i gio­vani, e le donne, under 34 sono ormai le vit­time accer­tate della crisi. Alfredo D’Attorre, depu­tato della sini­stra Pd, coglie il punto: «Mai è stata così alta – sostiene – si scrive dal 77 solo per­ché allora comin­ciano le serie sta­ti­sti­che omo­ge­nee, in realtà allora la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile era al 21,7%, oggi è al 44,2%». I gio­vani sono per­duti lungo la strada sognata della «crescita».

«L’Istat con­ferma come l’occupazione gio­va­nile sia insta­bile e di breve durata – ha soste­nuto Serena Sor­ren­tino (Cgil) – Il Jobs Act non dà rispo­ste, ma il governo è ancora in tempo per modi­fi­carne radi­cal­mente i decreti. La smetta di finan­ziare a piog­gia le imprese e finanzi un piano per il lavoro». L’impotenza sui gio­vani e la «mal riu­scita Garan­zia Gio­vani» spinge Guglielmo Loy (Uil) a par­lare di fal­li­mento delle poli­ti­che del lavoro. «Non è suf­fi­ciente un incen­tivo per aumen­tare l’occupazione» ha aggiunto Gigi Pet­teni della Uil. Da parte delle oppo­si­zioni duplice è la richie­sta: «red­dito di cit­ta­di­nanza e inter­venti per il bene pub­blico» (Gior­gio Airaudo, Sel) e «abban­dono della leva fiscale e inve­sti­menti pub­blici che trai­nano quelli pri­vati. Altri­menti il Tita­nic di Renzi e Poletti pun­terà dritto verso l’iceberg» (Movi­mento 5 Stelle).

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