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Gianfranco Bettin
L’anno zero del Veneto e l’ora X di Venezia
3 Giugno 2015
Articoli del 2015
«Al ballottaggio del 16 giugno la città lagunare rischia di passare alla destra. Occorre unire il meglio della società civile». Una lettura tra le tante che considerano far parte della "sinistra" anche i renziani doc.
«Al ballottaggio del 16 giugno la città lagunare rischia di passare alla destra. Occorre unire il meglio della società civile». Una lettura tra le tante che considerano far parte della "sinistra" anche i renziani doc.

Il manifesto, 3 giugno 2015

La spie­ga­zione dell’esito elet­to­rale veneto è abba­stanza sem­plice: la Lega vince, con Zaia, sapendo rap­pre­sen­tare sia il governo (locale e regio­nale) sia la pro­te­sta con­tro le poli­ti­che di Roma (e di Bruxelles).
La sini­stra non rie­sce a fare né una cosa né l’altra, con Ales­san­dra Moretti e la sua coa­li­zione ma anche con le pro­po­ste alter­na­tive in campo. Sulla carta, il pro­gramma del cen­tro­si­ni­stra veneto era il più avan­zato da almeno vent’anni, men­tre la can­di­data pre­si­dente, al di là di qual­che gaffe e bat­tuta discu­ti­bile, era accre­di­tata di una certa effi­ca­cia comu­ni­ca­tiva e di una certa con­cre­tezza poli­tica (con­fer­mata dalle espe­rienze ammi­ni­stra­tive e dal cur­ri­cu­lum elet­to­rale vin­cente), men­tre le forze aggre­gate copri­vano un arco vasto (a fronte di una divi­sione del fronte avverso, con la scis­sione di Tosi).

Eppure non ha fun­zio­nato. Fuori coa­li­zione, l’acuirsi del pro­filo con­tro­ri­for­mi­sta del governo Renzi (tra Jobs Act, Ita­li­cum e scuola), apri­vano uno spa­zio largo d’iniziativa. Nean­che que­sto, però, ha fun­zio­nato. Le per­cen­tuali della sini­stra den­tro e fuori la coa­li­zione sono le minime da sem­pre. La gran­dis­sima parte dello spa­zio poli­tico tra governo e oppo­si­zione è stata satu­rata da Zaia (e, dal lato della pro­te­sta, anche dal M5S, mal­grado il suo risul­tato sia fra i peg­giori d’Italia).

Chi ha con­vinto Zaia? Un Veneto scosso dalla crisi, che vede segnali di ripresa ma che teme siano illu­sori, ango­sciato da cassa inte­gra­zione, licen­zia­menti, fal­li­menti, mutui, tassi d’interesse, cre­diti usu­rai, mer­cato del lavoro spie­tato, con­cor­renza d’impresa feroce, infra­strut­ture cao­ti­che, stra­vol­gi­mento del qua­dro ambien­tale e sociale nella non gestita «meta­mor­fosi» in atto (per citare il titolo di un utile e recente libro di Daniele Marini, edito da Mar­si­lio). Ma anche stanco da una richie­sta ine­vasa di auto­no­mia, di fede­ra­li­smo, un’istanza qui poten­te­mente pre­sente e che la sini­stra assume solo quando la Lega cre­sce ma che viene poi dimen­ti­cata non appena la Lega declina (com’era acca­duto negli anni scorsi, prima del truce ma for­mi­da­bile rilan­cio salviniano).

Tutto ciò, nel tra­va­glio del mel­ting pot ribol­lente che signi­fica soprat­tutto igna­via e ini­quità delle poli­ti­che sull’immigrazione, che aprono spazi alla pre­di­ca­zione xeno­foba e agli impren­di­tori poli­tici della paura, un tempo i Gen­ti­lini e i Bossi oggi i Bitonci e i Salvini.

Zaia è la figura sin­tesi. La sini­stra non ha saputo pro­porre un’alternativa per­ché non ha for­nito rispo­ste ori­gi­nali e con­crete ma, al più, nell’azione di governo a Roma e spesso local­mente, sug­ge­stioni o rivi­si­ta­zioni «mode­rate» delle stesse ricette leghi­ste e libe­ri­ste. Certo, poi ci vuole anche la fac­cia tosta di Zaia, l’abilità a dipin­gersi come estra­neo non solo giu­di­zia­ria­mente ma anche poli­ti­ca­mente alla cor­ru­zione che ha segnato l’amministrazione da lui gui­data (o di cui era il vice, con Galan) di cui lo scan­dalo Mose è solo il più ecla­tante esem­pio, così da porsi come l’uomo giu­sto per gover­nare anche un Veneto giunto, dopo scan­dali e crisi, al suo «anno zero» (per citare un altro fre­sco libro impor­tante, di Renzo Maz­zaro, edito da Laterza).

All’anno zero del Veneto, e all’ora x di Vene­zia, l’ora in cui, il pros­simo 14 giu­gno, al bal­lot­tag­gio, per la prima volta da vent’anni la città rischia di pas­sare in mano alla destra peg­giore, la sini­stra si pre­senta inquieta, insi­cura e divisa.

Si è detto della Regione. Nel capo­luogo, lo scan­dalo Mose, con l’arresto del sin­daco, il com­mis­sa­ria­mento del Comune e l’esplodere della sua crisi finan­zia­ria (anche per gli effetti per­versi del patto di sta­bi­lità), ha disar­ti­co­lato il modello poli­tico e ammi­ni­stra­tivo svi­lup­pa­tosi dagli anni Novanta e ha rime­sco­lato le forze, con il pre­va­lere, a sini­stra (ma anche a destra), di for­ma­zioni civi­che che ripo­si­zio­nano l’offerta elet­to­rale in ter­mini più aperti e tra­sver­sali, a volte personalistici.

Anche a Vene­zia la sini­stra ha cer­cato strade diverse sia den­tro una coa­li­zione che la lea­der­ship di Cas­son ren­deva più natu­rale sia all’esterno. In entrambi i casi si è rac­colto poco. Le pro­po­ste sono sem­brate più resi­duali che inno­va­tive. Il bal­lot­tag­gio tra Cas­son e Bru­gnaro è anche segnato da que­sta debo­lezza della sini­stra, oltre che dalle ambi­guità e dif­fi­coltà del Pd, come in Regione.

Se la forza aperta di Cas­son, oltre che il suo pro­filo inte­ger­rimo, riu­sci­ranno a unire il meglio dell’esperienza di governo della città e le forze che si sono sem­pre oppo­ste al sistema cor­rotto con i movi­menti e i per­corsi «civici» che pun­tano a una vir­tuosa inno­va­zione poli­tica e ammi­ni­stra­tiva (e a un’idea di città all’altezza di que­sto ini­ziale terzo mil­len­nio di Vene­zia), oltre ad assi­cu­rarsi la vit­to­ria cree­ranno le con­di­zioni per un nuovo spa­zio poli­tico, in cui la stessa sini­stra, in forme ine­dite, potrà ritro­varsi e ria­vere forza e respiro.

L’anno zero del Veneto e l’ora x di Vene­zia coin­ci­dono e s’intrecciano, infine, con il com­plesso, agi­tato momento poli­tico nazio­nale, di esso risen­tono ma ad esso, dalla città e dai ter­ri­tori, pos­sono comin­ciare a rispon­dere in modo originale.

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