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Adriano Sofri
La grande ritirata dai paradisi dei turisti. Il nostro mondo è sempre più piccolo
28 Giugno 2015
Articoli del 2015
«Bisognava capire che fra la nostra mobilità (provvisoriamente) di lusso e la loro mobilità (perennemente) sventurata c'era e c'è uno scambio ineguale, ma inesorabile: e che l'una, affondando, si porta dietro l'altra».
«Bisognava capire che fra la nostra mobilità (provvisoriamente) di lusso e la loro mobilità (perennemente) sventurata c'era e c'è uno scambio ineguale, ma inesorabile: e che l'una, affondando, si porta dietro l'altra».

Larepubblica.it, 27 giugno 2015 (m.p.r.)

C'è un modo peculiare per tener dietro alla rocambolesca evoluzione della scena geopolitica: star connessi al sito "Viaggiare sicuri" del Ministero degli esteri. Quegli addetti, come generali di una ritirata militare presso a farsi rotta, spostano via via più a ridosso dei nostri confini le bandierine del territorio ancora accessibile. La ritirata riguarda noi, la parte privilegiata, dalla quale si parte con documenti rispettabili, e un biglietto di andata e ritorno in tasca. Dalla parte opposta si viene arrancando, con le tasche vuote di andata e ritorno. La sicurezza, da quell'altra parte, è la più ironica delle parole. Ci si mette in viaggio a rischio della vita. Se si sopravvive, se si tocca terra d'Europa, libertà e democrazia, comincia un'altra traversata, altre soste immemorabili, sugli scogli di Ventimiglia e nei piazzali di Calais. Il vero discrimine del mondo di oggi, dice Zygmunt Bauman- lo ridice nel dialogo con Ezio Mauro - non corre più fra ricchi e poveri, ma fra mobilità e fissità, fra chi resta fermo e chi si sposta. Lui parla soprattutto della finanza globale, che a differenza dal capitalismo industriale non sottostà a vincoli territoriali e si muove fulmineamente da un capo all'altro del pianeta, fino ad annichilire la capacità negoziale di lavoratori e sindacati lasciati a boccheggiare su un loro suolo prosciugato.

Ma è la mobilità umana, nella sua doppia faccia, a opporre nuove classi: l'una urtata dalle guerre e le carestie, l'altra spinta da voglia di conoscenza e vacanza. Il fantasma dell'invasione barbarica e il miraggio del turismo, intelligente o avventuroso o semplicemente piacevole. Quanto pesa, nel nostro sentimento, anche il meno malintenzionato, la carta d'identità che ci fa attraversare con piede leggero i confini di Schengen, il passaporto che ci autorizza, tutt'al più con la seccatura d'un visto, a visitare il mondo pressoché intero. Quando diciamo "extracomunitario" non pensiamo a cittadini con passaporto canadese, o svizzero. Ed ecco che il mondo dei nostri dépliants ci si stringe sotto i piedi, nelle impronte rovesciate delle stesse eruzioni che travolgono e cacciano i fuggiaschi. A marzo, dopo il Bardo, era giusto proporsi di tornare, deprecare le grandi compagnie che cancellavano quelle coste dagli itinerari, promettersi un'estate tunisina colma di bellezze archeologiche e naturali e di dedizione solidale. Ma la cosa era legata a un filo: bastava uno o due di questi superstiziosi che infestano l'aria del tempo, col corredo di un kalashnikov e un paio di calzoncini da spiaggia per dare il colpo di grazia all'economia e all'anima di un paese intento a riscattarsi. Oggi è più difficile replicare gli impegni: non si chiede a bravi pensionati di andare in vacanza per resistere al terrorismo.

Sulla carta continuamente ridisegnata dalla violenza contemporanea si allargano i territori su cui è scritto: Hic sunt leones; e si cancellano le frontiere. Alla larga da quella fra Libia e Tunisia. Pericolante l'Algeria. Alla larga dal Sinai e dal mar Rosso. I paesi del Golfo insidiati, il Corno d'Africa al bando: nella fatale giornata di ieri all'eccidio tunisino si sono sommati la strage nella moschea sciita del Kuwait e quella nella base dell'Unione Africana in Somalia. Gli shabab hanno portato il terrore sempre più dentro un paradiso del nostro turismo come il Kenya. Luoghi materni del genere umano, l'Iraq, la Siria, lo Yemen, sono interdetti a un rischio peggiore della vita, e così gran parte dell'Africa sotto il Sahara. In Europa, a casa nostra, dove temiamo tanto l'avvento dei fuggiaschi del mondo invasato, fra poco commemoreremo i vent'anni di Srebrenica con un'Ucraina che ripercorre la strada ex-jugoslava, e i jet militari che si sfiorano sul Baltico.

Del resto, il fanatico assassino che va a conquistarsi il paradiso in calzoncini su una spiaggia di Susa non ci metterà molto ad approdare anche di qua dallo stesso mare arrivò già nel cuore dell'Europa, ed era casa sua. Bisognava saperlo, bisogna ancora. Anche a non essere innamorati del prossimo e dei diritti umani, anche a essere solo gelosi di Palmira e di Ninive e di Timbuctu e di Sanaa e della regina di Saba, e dei propri tour tutto compreso, bisognava capire che fra la nostra mobilità (provvisoriamente) di lusso e la loro mobilità (perennemente) sventurata c'era e c'è uno scambio ineguale, ma inesorabile: e che l'una, affondando, si porta dietro l'altra.

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