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Anna Maria Merlo
Ocse, mai così tante diseguaglianze
22 Maggio 2015
Articoli del 2015
Il travaso di ricchezza dai salari alle rendite (finanziarie, immobiliari, politiche) aumenta la forbice tra ricchi e poveri. Lo "sgocciolamento" non funziona. Le Cassandre lo dicevano da anni: e ci azzeccano sempre, perché sanno leggere.

Il manifesto, 22 maggio 2015

Il rapporto. L’organizzazione dei paesi più industrializzati ha registrato un aumento delle differenze tra ricchi e poveri: un fenomeno che con la crisi si è accentuato, e che non si arresta. Dal 2007 al 2011 il 40% della fascia più bassa ha perso il 40% del reddito, mentre i più facoltosi hanno guadagnato il 51%. Le cause: dal dilagare del lavoro precario alla detassazione dei milionari

Siamo arri­vati a «un punto cri­tico, le ine­gua­glianze non sono mai state così forti nei paesi Ocse», afferma Angel Gur­ria, segre­ta­rio gene­rale dell’organizzazione che riu­ni­sce i 34 paesi più indu­stria­liz­zati. «Stiamo cam­biando di dimen­sione», spiega un eco­no­mi­sta. Nel terzo rap­porto Ocse sulle ine­gua­glianze, pre­sen­tato ieri al Châ­teau de la Muette, la situa­zione appare peg­gio­rata rispetto ai pre­ce­denti studi (2008 e 2011): dall’inizio della crisi, il 40% della popo­la­zione più povera ha regi­strato un calo di red­dito; tra il 2007 e il 2011 il red­dito reale (cor­retto dagli effetti infla­zio­ni­stici) della fascia più debole è dimi­nuito di circa il 40%, men­tre il 10% più ricco, dal 1995 ha accu­mu­lato un aumento del 51%.

All’origine dell’aumento delle ine­gua­glianze c’è l’esplosione del part time impo­sto, dei con­tratti a ter­mine, del pre­ca­riato, dei tagli al sala­rio per spin­gere le per­sone al lavoro auto­nomo, accol­lan­dosi tutti i rischi, forme di occu­pa­zione che hanno rap­pre­sen­tato più della metà dei nuovi posti creati nei paesi Ocse dal 1995 al 2013. In più, sot­to­li­nea l’Ocse, nei prin­ci­pali paesi indu­stria­liz­zati più della metà del lavoro pre­ca­rio riguarda i gio­vani sotto i trent’anni. Le donne restano indie­tro, con salari in media del 15% più bassi degli uomini e il 16% in meno di pos­si­bi­lità di occu­pare un impiego.

Oggi, nei 34 paesi più ric­chi del mondo il 10% della popo­la­zione più agiata ha un red­dito 9,6 volte supe­riore a quello del 10% più povero. Nel 1980 que­sto scarto era di 7,1 volte supe­riore, nel 2000 era già salito a 9,1, cioè siamo di fronte a una pro­gres­sione costante delle dise­gua­glianze. Que­sti scarti aumen­tano in modo espo­nen­ziale se si cal­co­lano i patri­moni delle fami­glie. La crisi ha aggra­vato la situa­zione e acce­le­rato que­sto fenomeno.

L’Ocse sot­to­li­nea le con­se­guenze nega­tive della cre­scente ine­gua­glianza: nei 19 paesi esa­mi­nati, avrebbe ampu­tato la cre­scita di 4,7 punti tra il 1990 e il 2010. E per il futuro il per­pe­tuarsi di que­sta ten­denza è desti­nato a distrug­gere il capi­tale umano e a decur­tare le pos­si­bi­lità di cre­scita dell’economia. C’è stato l’aumento del pre­ca­riato che è andato di pari passo con la dimi­nu­zione dell’efficacia dei mec­ca­ni­smi di redi­stri­bu­zione, le tasse sono dimi­nuite per i ric­chi e ad esse sfug­gono lar­ga­mente le mul­ti­na­zio­nali gra­zie al ben oliato mec­ca­ni­smo dell’«ottimizzazione fiscale», oggi sotto accusa anche nella Ue. I tagli alle impo­ste per i più ric­chi, in un mondo dove ormai si è dif­fusa l’intolleranza fiscale (prima dell’era Rea­gan, negli Usa il decile più alto era tas­sato a più dell’80%, per­cen­tuale che oggi sarebbe con­si­de­rata insop­por­ta­bile), hanno con­tri­buito all’esplosione delle ineguaglianze.

Nel mondo indu­stria­liz­zato ci sono paesi più ine­guali di altri. Cile, Tur­chia, Mes­sico, ma anche Usa e Israele sono tra i più ine­guali, men­tre Dani­marca, Nor­ve­gia, Slo­ve­nia e Slo­vac­chia sono quelli dove le dif­fe­renze sono minori, come mette in evi­denza la tabella del rap­porto Ocse che pre­senta il coef­fi­ciente Gini. La Fran­cia è in una posi­zione cri­tica, ormai al 21esimo posto per ine­gua­glianza su 34 paesi: la situa­zione si sta aggra­vando con la crisi, il 10% delle per­sone più ric­che ha regi­strato una cre­scita del red­dito del 2% l’anno (cioè più della media Ocse), men­tre il 10% più povero ha subito un calo dell’1% (un po’ meno della media), gra­zie agli ammor­tiz­za­tori sociali, non ancora del tutto distrutti. Ma, dal punto di vista della con­cen­tra­zione patri­mo­niale, il 10% più ricco con­trolla più della metà del patri­mo­nio delle fami­glie. La pre­si­denza del socia­li­sta Hol­lande non sem­bra aver avuto alcuna influenza su que­sto trend di diseguaglianza.

Quest’ultimo rap­porto Ocse sug­ge­ri­sce agli stati mem­bri di inter­ve­nire, per rein­tro­durre più effi­caci poli­ti­che redi­stri­bu­tive. Siamo di fronte a un caso di schi­zo­fre­nia dell’organizzazione, che in nume­rosi altri rap­porti non fa che sug­ge­rire da anni la libe­ra­liz­za­zione del mer­cato del lavoro e il taglio ai diritti come solu­zione per uscire dalla crisi e com­bat­tere la disoc­cu­pa­zione. È que­sta la ricetta che viene pre­sen­tata come Tina (there is no alter­na­tive) a tutti gli stati della Ue, dall’Italia fino alla Grecia.

La pro­gres­siva distru­zione della classe media, che in gran parte si impo­ve­ri­sce, ha già con­se­guenze poli­ti­che, con l’irruzione della destra popu­li­sta, la cre­scita della paura e l’illusione di una solu­zione nel rifiuto dell’altro. La classe media, che si assot­ti­glia e perde ter­reno, si sente vit­tima della mon­dia­liz­za­zione e que­sto comin­cia ad avere effetti anche geo­po­li­tici. In Europa, cre­sce l’euroscetticismo e la chiu­sura nazio­na­li­sta.

Per­fino negli Usa si dif­fonde lo scet­ti­ci­smo verso le pro­po­ste di Obama su accordi inter­na­zio­nali di libe­ra­liz­za­zione com­mer­ciale, come il Ttip con la Ue o il Tpp con il Giap­pone e l’area del Pacifico.

Ocse: in Italia si amplia la forbice tra ricchi e poveri
di red.eco.
Il rapporto. Con la crisi la situazione si è aggravata. L'1% dei più facoltosi detiene il 15% della ricchezza nazionale, mentre il 40% della fascia più bassa si deve spartire il 5%. Penalizzati bambini, "atipici" e lavoratrici. Cgil: "Serve una patrimoniale". Uil: "Rinnovare i contratti e restituire il maltolto ai pensionati"
L’1% più ricco della popo­la­zione ita­liana detiene il 14,3% della ric­chezza nazio­nale netta (defi­nita come la somma degli asset finan­ziari e non finan­ziari, meno le pas­si­vità), pra­ti­ca­mente il tri­plo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%. Que­sta è la foto­gra­fia della distri­bu­zione della ric­chezza nel Bel­paese secondo lo stu­dio dif­fuso ieri dall’Ocse.

In poche parole, se vogliamo tra­durla in numeri asso­luti, circa 600 mila fami­glie ita­liane (la crème dei ric­chi) deten­gono un patri­mo­nio pari a tre volte quello dete­nuto da 24 milioni di per­sone (la fascia più povera).

La crisi ha con­tri­buito ad aumen­tare le dif­fe­renze, ad aprire la for­bice tra ric­chi e poveri: la per­dita di red­dito dispo­ni­bile tra il 2007 e il 2011 è stata ben più elevata(-4%) per il 10% più povero della popo­la­zione rispetto al 10% più ricco (-1%).

La ric­chezza nazio­nale netta, dice ancora l’organizzazione pari­gina, in Ita­lia è distri­buita in modo molto diso­mo­ge­neo, con una con­cen­tra­zione par­ti­co­lar­mente mar­cata verso l’alto. Il 20% più ricco (primo quin­tile) detiene infatti il 61,6% della ric­chezza, e il 20% appena al di sotto (secondo quin­tile) il 20,9%. Il restante 60% si deve accon­ten­tare del 17,4% della ric­chezza nazio­nale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero.

Anche nella fascia più ricca, inol­tre, la distri­bu­zione è net­ta­mente squi­li­brata a favore del ver­tice. Il 5% più ricco della popo­la­zione detiene infatti il 32,1% della ric­chezza nazio­nale netta, ovvero oltre la metà di quanto dete­nuto del primo quin­tile, e di que­sta quasi la metà è in mano all’1% più ricco.

In Ita­lia «la povertà è aumen­tata in modo mar­cato durante la crisi», in par­ti­co­lare per gio­vani e gio­va­nis­simi, dice l’Ocse. L’aumento del cosid­detto “tasso di povertà anco­rata” (soglia fis­sata all’anno pre­ce­dente) è stato di 3 punti tra il 2007 e il 2011, il quinto più ele­vato. La fascia con il mag­gior tasso di povertà sono gli under 18, con il 17% 4 punti in più della media Ocse, seguita dalla fascia 18–25, con il 14,7%, 0,9 punti sopra la media.

Il feno­meno è evi­dente fra i bam­bini (inci­denza di povertà del 17% rispetto al 13% della media Ocse) men­tre fra gli over 65 il livello è del 9,3% (con­tro una media del 12,6%). Il 40% della popo­la­zione opera in con­di­zioni «non stan­dard», cioè senza rego­lari con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato. E le dise­gua­glianze restano forti fra uomini e donne: solo il 38% delle lavo­ra­trici ha un impiego a tempo pieno con­tro la media Ocse del 52%.

Par­ti­co­lar­mente pena­liz­zati, come è pre­ve­di­bile, sono i lavo­ra­tori ati­pici. Il tasso di povertà i «non-standard» (auto­nomi, pre­cari, part time) è al 26,6%, con­tro il 5,4% per quelle di lavo­ra­tori sta­bili, e il 38,6% per quelle di disoc­cu­pati. In par­ti­co­lare, se si fissa a 100 il gua­da­gno medio dei lavo­ra­tori con posto fisso, quello degli ati­pici si ferma a 57, con grosse dispa­rità tra le varie cate­go­rie (72 per un auto­nomo, 55 per un con­tratto a ter­mine full time, 33 per un con­tratto a ter­mine part time).

E si resta pre­cari a lungo: tra le per­sone che nel 2008 ave­vano un lavoro a tempo deter­mi­nato, 5 anni dopo solo il 26% era riu­scito a otte­nere un tempo indeterminato.

L’Italia è il però Paese Ocse con la minor per­cen­tuale di fami­glie inde­bi­tate, il 25,2%, davanti a Slo­vac­chia (26,8%), Austria (35,6%) e Gre­cia (36,6%), e ben lon­tana dai livelli delle altre due grandi eco­no­mie dell’eurozona, Fran­cia (46,8%) e Ger­ma­nia (47,4%), della Gran Bre­ta­gna (50,3%) e degli Usa (75,2%).

Le pos­si­bili solu­zioni? La Cgil chiede una patri­mo­niale sui red­diti e i patri­moni più alti, la Uil chiede il rin­novo dei con­tratti, anche quelli pub­blici, e la resti­tu­zione del “mal­tolto” ai pensionati.

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