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Tommaso di Francesco
Presidente, l’articolo 11
4 Febbraio 2015
Articoli del 2015
Si attende dal Presidente qualche gesto che dimostri che la lettera e lo spirito della Costituzione esige che si rispetti quel suo articolo secondo il quale "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli".

Si attende dal Presidente qualche gesto che dimostri che la lettera e lo spirito della Costituzione esige che si rispetti quel suo articolo secondo il quale "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Il manifesto, 4 febbraio 2015

Dav­vero quello di ieri in Par­la­mento del pre­si­dente Ser­gio Mat­ta­rella è stato un discorso non reto­rico d’investitura. Così come del resto, il giorno prima, il gesto di straor­di­na­ria rile­vanza: appena nomi­nato pre­si­dente, «c’è Stato» a ren­dere omag­gio alle Fosse ardea­tine, il luogo testi­mone della vio­lenza dell’occupazione nazi­sta, della ver­go­gna del fasci­smo, della volontà di ribel­lione e riscatto della Resi­stenza. E soprat­tutto sim­bolo nella capi­tale d’Italia della tra­ge­dia san­gui­nosa rap­pre­sen­tata dalla guerra. Che, nella Seconda guerra mon­diale, ha pro­dotto un cimi­tero di 50milioni di morti, lo ster­mi­nio della Shoah, e che si è con­clusa con le «paci­fi­ste» ato­mi­che di Hiro­shima e Nagasaki.

Nell’asciutto e pre­ciso inter­vento rivolto dal Par­la­mento agli ita­liani, una affer­ma­zione è apparsa subito chiara risuo­nando come un monito: la garan­zia più forte della nostra Costi­tu­zione con­si­ste nella sua appli­ca­zione, «nel viverla ogni giorno». E garan­tire la Costi­tu­zione, signi­fica tra l’altro «ripu­diare la guerra e pro­muo­vere la pace»: eccolo l’articolo 11 nel suo primo enun­ciato. Dichia­ra­zione che, nello stile di chi dichiara di essere attento al quo­ti­diano, alle dif­fi­coltà reali dei «con­cit­ta­dini», è sem­brato tutt’altro che reto­rica. Soprat­tutto riven­di­cata nella sede isti­tu­zio­nale più alta, dopo tanti silenzi e ipocrisie.

Ma nel seguito delle sue parole e nell’accoglienza tra i par­la­men­tari, molte ambi­guità sulla que­stione della guerra riman­gono. Sia nell’affermazione: «…A livello inter­na­zio­nale la meri­to­ria e indi­spen­sa­bile azione di man­te­ni­mento della pace, che vede impe­gnati i nostri mili­tari in tante mis­sioni, deve con­so­li­darsi con un’azione di rico­stru­zione poli­tica, sociale e cul­tu­rale senza la quale ogni sforzo è desti­nato a vani­fi­carsi». Sia nel rin­gra­zia­mento «…alle forze armate, sem­pre più stru­mento di pace ed ele­mento essen­siale della nostra poli­tica estera e di sicu­rezza…». In quale crisi — nei Bal­cani, in Iraq, in Afgha­ni­stan o in Libia -, l’uso della forza e della guerra «uma­ni­ta­ria» con la pre­senza inter­ven­ti­sta dei nostri sol­dati ha aiu­tato a risol­vere quei con­flitti e non ha invece incan­cre­nito la situa­zione, anche con la co-responsabilità in stragi con tante, troppe vit­time civili e fughe di milioni di disperati?

Per­ché tutto, nel discorso del Pre­si­dente Mat­ta­rella — sia quello in Par­la­mento che dopo la visita alle Fosse ardea­tine -, viene inscritto comun­que nella neces­sità di rispon­dere al «ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale» e ai «pre­di­ca­tori di odio» che insi­diano la nostra sicu­rezza e i nostri valori. Senza inter­ro­garsi mai se l’uso della forza mili­tare, vale a dire della guerra, abbia fin qui aiu­tato a fer­mare il ter­ro­ri­smo e non piut­to­sto a semi­nare mag­giore odio. Non è forse l’uso della guerra a pre­giu­di­care la pace e per­fino gli sforzi di pace degli orga­ni­smi inter­na­zio­nali? Visto il modo in cui è stata presa la deci­sione di par­te­ci­pare a molti con­flitti, con­tro e oltre la volontà dell’Onu. E ancora, come si rifiuta la guerra se le Forze armate ven­gono pro­mosse al rango di «ele­mento essen­ziale della poli­tica estera» che invece dovrebbe essere pro­pria della diplo­ma­zia, di fatto ine­si­stente in Ita­lia e nell’Unione euro­pea? Se dopo l’89 e la Guerra fredda, si è aperta ricorda Mat­ta­rella, una sta­gione nuova in Europa, che ci stanno a fare 100 piloti ita­liani di cac­cia­bom­bar­dieri nei Paesi bal­tici al seguito della stra­te­gia di allar­ga­mento a est della Nato, peri­co­lo­sa­mente al con­fine della Rus­sia? Dav­vero que­sto aiu­terà la con­clu­sione della crisi ucraina o al con­tra­rio l’approfondirà verso un con­fronto pre-’89?

E tutto que­sto quanto ci costa, visti i magri bilanci tagliati per via della crisi? Per­ché, se pro­prio non vogliamo ripe­tere la frase a noi cara del Pre­si­dente San­dro Per­tini, «Si aprano i gra­nai si chiu­dano gli arse­nali di armi», almeno osser­viamo che dai dati uffi­ciali di Nato e Sipri, l’attuale spesa mili­tare dell’Italia si aggira tra 50 e 70 milioni di euro al giorno. Al giorno. Senza dimen­ti­care che gli F-35 dal costo miliar­da­rio, sono stru­mento d’offesa non di difesa.

Eppure l’articolo 11 della Costi­tu­zione ita­liana rifiuta la guerra pro­prio «come mezzo di riso­lu­zione delle crisi inter­na­zio­nali». Senza malin­ter­pre­tare il secondo comma dell’articolo (che mette a dispo­si­zione risorse per sod­di­sfare le richie­ste degli orga­ni­smi inter­na­zio­nali come l’Onu), come fosse un’autorizzazione a fare la guerra, magari agget­ti­vata con «uma­ni­ta­ria». Ma come può la seconda parte di un arti­co­lato costi­tu­zio­nale fon­da­tivo con­trad­dire e negare la prima parte? Altri­menti, che costi­tu­zione sarebbe. Pen­sate se l’ arti­colo 1 che fonda l’Italia sul lavoro, dichia­rasse nella sua seconda riga invece fon­da­tiva la disoc­cu­pa­zione. La guerra è espli­ci­ta­mente «rifiu­tata». Pur­troppo di que­sto rifiuto si è fatto uso e abuso, e vale la pena ricor­dare che l’avvio della fine della leva mili­tare pro­mosso dal mini­stro della difesa Mat­ta­rella, non ha decre­tato la fine della par­te­ci­pa­zione ita­liana alle guerre ma il con­tra­rio: a par­tire dal 1999, quando Mat­ta­rella era vice-premier, è comin­ciata una nuova sta­gione della Nato che, con la guerra di raid aerei sulla ex Jugo­sla­via, si è tra­sfor­mata da patto di difesa in trat­tato offen­sivo, pronto all’intervento mili­tare. Quel con­flitto è diven­tato il modello di altre avven­ture bel­li­che come in Iraq, Afgha­ni­stan, Libia, Siria» e via dicendo.

Così, alla fine dav­vero è suo­nata appro­priata la stan­ding ova­tion di tutto il Par­la­mento appena Mat­ta­rella ha nomi­nato i «due marò». Certo, con­cor­diamo anche noi che due anni e mezzo di deten­zione senza pro­cesso sono insop­por­ta­bili, in India e sotto ogni giu­ri­sdi­zione. Ma come dimen­ti­care che que­sta dram­ma­tica vicenda è nella scia della scel­le­rata deci­sione bipar­ti­san del Par­la­mento che ha auto­riz­zato i mili­tari dello Stato ita­liano a fare da scorta a navi­gli pri­vati in difesa dei «pirati»; così indi­scri­mi­nata e poco mirata che abbiamo spa­rato, ucci­dendo due dimen­ti­cati pesca­tori indiani, in un’area, le coste del Kerala, dove la pira­te­ria non c’è. Soprat­tutto Mat­ta­rella ha fatto bene a rin­gra­ziare i tanti mili­tari morti nell’adempimento del loro dovere. Quei tanti marò di cui nes­suno parla, malati ter­mi­nali o morti per l’uranio impoverito.

Ora se la pre­si­denza Mat­ta­rella «pro­muo­verà la pace», sarà anche il Pre­si­dente dei paci­fi­sti. E ci aiu­terà a tirare fuori lo sche­le­tro della guerra dall’armadio delle demo­cra­zie occidentali

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