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Federico Fubini
Il doppio fondo della verità
4 Febbraio 2015
Articoli del 2015
«Lo stile del ministro greco Varoufakis può non aver conquistato i gessati grigi di Londra, ma le sue frecce sono scagliate con precisione chirurgica».

La Repubblica, 4 febbraio 2015

A porte chiuse, di fronte agli investitori della City, Varoufakis l’altro giorno è stato persino più abrasivo del solito. Il ministro dell’Economia greco ha rispolverato le formule che hanno fatto di lui un blogger di successo. La banca centrale europea si sta comportando come uno hedge fund - ha detto - . Hanno approfittato di noi. Se vogliono possono spararci addosso, ma sarebbe un omicidio».

Lo stile del ministro può non aver conquistato i gessati grigi di Londra, ma le sue frecce sono scagliate con precisione chirurgica. Varoufakis centra in pieno una delle troppe ipocrisie che rendono la Grecia un rebus quasi insolubile e rischiano di farne una fonte di contagio politico in Europa, tanto quanto lo fu di contagio finanziario cinque anni fa.

L’ipocrisia attorno alla Bce si snoda così. Nel 2010 e 2011, la banca centrale ha comprato titoli greci per 27,7 miliardi di euro e solo quest’estate Atene dovrà rimborsarne sei (oltre a circa 8 al Fondo monetario internazionale). A quel punto l’Eurotower, grazie ad Atene, realizzerà una plusvalenza degna dei migliori speculatori perché nel 2010 e 2011 aveva comprato quella «spazzatura» con rendimenti a doppia cifra. A differenza degli hedge fund però la Bce non accetta rischi di perdite benché il rendimento dei titoli sia astronomico, e pretende di essere ripagata fino in fondo. Si realizza così un trasferimento di risorse dai contribuenti greci a Francoforte. In teoria quei guadagni dovrebbero essere di nuovo stornati alla Grecia, ma accadrà solo a condizione che il nuovo governo di Atene accetti i termini di un programma sotto il controllo dell’area euro.

Non è l’unica doppia verità di questa vicenda, ovviamente. È fin troppo facile il gioco di scoprirne in ciascuno dei protagonisti. Barack Obama per esempio accusa gli europei di voler “strizzare” la Grecia, ma gli Stati Uniti non hanno mai usato il loro potere di veto nel Fmi - di cui sono primi azionisti - per allentare le richieste del Fondo e della troika verso Atene; e anche per Obama è inconcepibile un’estensione delle scadenze sui crediti del Fmi alla Grecia, perché in gioco c’è anche la quota versata dalla sua amministrazione. Quanto a Angela Merkel, non ha mai spiegato ai suoi elettori che i pacchetti di denaro degli europei sono serviti anche a far uscire indenni le banche tedesche esposte in Grecia fino a 45 miliardi di dollari; senza quei salvataggi, i tedeschi probabilmente avrebbero dovuto pagare ancora di più per ricapitalizzare gli istituti in rovina del loro stesso Paese.

Neanche Alexis Tsipras, il nuovo premier ellenico, è esente da una buona dose di ambivalenza. Non ha mai riconosciuto che il deficit greco, falsificato per anni, aveva superato il 15% del prodotto lordo. Non ha restituito la scorta né ha mai speso una parola per Andreas Georgiou, l’attuale presidente dell’istituto statistico greco, che da tempo è bersaglio di minacce anonime ed è formalmente imputato per alto tradimento alla nazione dopo aver osato svelare le frodi nel bilancio dello Stato.

È quando la verità inizia ad avere questi doppi e tripli fondi - secondo convenienza - che capisci che questa non è più una questione di tecnica finanziaria. È una partita politica giocata contro il tempo, con scadenza in estate, nella quale tutti hanno moltissimo da perdere se finirà senza accordo. Una Grecia spinta fuori dall’euro da un caotico default sarebbe uno Stato-paria, capace di perdere il 10% del Pil in un solo anno. L’Italia, la Spagna e la Francia dovrebbero pagare tassi d’interessi molto più alti, non appena per i mercati l’uscita dall’euro diventasse un’opzione credibile. E Angela Merkel si lascebbe alle spalle un’eredità di discredito. A quel punto il contagio delle forze anti-sistema in Europa diventerebbe inarrestabile.

Basta questo per capire che tutti alla fine faranno il massimo per mettere da parte le ipocrisie e trovare un compromesso. Tecnicamente non è impossibile. La Bce può essere indennizzata dal fondo salvataggi europeo Esm. Il rimborso del debito di Atene verso gli Stati europei può essere parametrato alla crescita della Grecia, come qualcuno da tempo propone persino da Berlino. Tsipras può impegnarsi su un serio programma basato su una giusta misura di rigore di bilancio, sulla lotta alla corruzione e all’evasione e sull’idea (inedita ad Atene) che anche i ricchi pagano per il risanamento. E l’area euro può favorire e garantire ciò che finora non ha dimenticato di fare: un piano di ricostruzione economica e di investimenti esteri in un Paese che ha fallito la transizione verso la modernità.

Per arrivarci tutti i leader dovranno accettare costi politici. Deve farlo Tsipras, che ha già promesso troppo ed è partito sotto il segno dell’intransigenza. Ma devono muovere un passo indietro anche Merkel e il governo di Madrid, dove si teme che un successo di questa Grecia in Europa rimetta in discussione chi in Spagna ha accettato enormi sacrifici e ora è tornato a crescere a un ritmo di oltre il 2% all’anno.

In mezzo a questi campi di forza si trova da ieri Matteo Renzi, e ha capito che a lui spetta uno spazio intermedio. Non vuole allinearsi del tutto con Merkel. Ma non deve diventare l’avvocato di Tsipras in Europa, perché presto molti sospetterebbero (a torto) che l’Italia è come la Grecia. Rischia ancora di finire male per tutti. Ma in caso contrario, per una volta, il contagio partito da Atene può aprire la strada a un equilibrio più stabile in Europa.

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