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Sandro Roggio
Ajò all'Expo. Ma siamo sicuri di aver capito di cosa si tratta?
10 Febbraio 2015
Articoli del 2015
«Passeremo per guastafeste parlando del primato in servitù militari, dei 450mila ettari di aree avvelenate? Dei rischi di altro consumo di suolo, per case al mare o energia da esportare con eccessi devastanti?».

La Nuova Sardegna, 10 febbraio 2015

Non c'era la Sardegna nel primo confuso elencone Verybello per Expo. È bastato un ritardo di poche ore - prima che comparissero alcune delle manifestazioni previste nell'isola durante l'estate - per suscitare un vespaio di rimostranze risentite. I soliti i bla bla sull' identità misconosciuta e l'orgoglio ferito dalla imperdonabile dimenticanza; per cui qualcuno è andato avanti con la presunzione, “deo so sardu”, la Sardegna che concorre alla bellezza italiana con un profilo distinto che ci dovrebbero ringraziare. Implicita la domanda sulla percezione dell'isola da parte dei forestieri consumatori; e dai sardi, il cui sguardo, è stato/ è molto distratto, anche omertoso sulla Sardegna com'è, e molto esitante sul futuro.

Ajò all'Expo: ma come ? La domanda non è di poco conto, dipende da come si pensa l'Expo, guai a confonderlo con la Borsa del Turismo (BIT) o con una delle grandi fiere enogastronomiche. Nelle Esposizioni Universali dai tempi del Crystal Palace, si trattano questioni ragguardevoli per l'umanità, e ogni Paese partecipante è chiamato a fornire la propria visione sul tema all'ordine del giorno. A mettere in vetrina idee, più che mercanzie in un'ottica bottegaia all'ingrosso. Il palcoscenico milanese è un'occasione per confrontarsi senza boria su emergenza alimentare e sprechi della terra.

Leggo su queste pagine il piano della Regione, l'idea di presentare “l'sola della qualità” attraverso la produzione agricola, le eccellenze naturali (con accenti su longevità e innovazione sostenibile). Il programma è solo delineato. E immagino che si assoceranno presto altri contributi, non solo semplici didascalie su cannonau e ballo tondo (e divagazioni su bandiere da rinnovare). Insomma non potrà mancare un apparato critico/ autocritico sul modello di sviluppo luogo per luogo, per ripensarlo come ha suggerito Francesco («Dio perdona sempre, l’uomo perdona a volte, la terra non perdona mai»), in sintonia con le attese di tanti credenti e miscredenti come me.

Il tema è il governo del territorio in una fase cruciale per la disorientata popolazione sarda. Nel 2006, un piano finalmente progredito è stato contrastato soprattutto per le scelte a difesa degli usi agricoli. Nei quali l'isola avrebbe potuto primeggiare se avesse creduto almeno un po' alla sua natura, al suolo fertile, all'aria buona, al sole generoso. La produzione agroalimentare conta su qualche prelibatezza, ma la Sardegna consuma otto prodotti su dieci importati, come scrive da un po' Giacomo Mameli preoccupato per le troppe ambiguità della produzione locale (torrone con ingredienti istranzi, bottarga fatta chissà dove, mirto da bacche non locali, ecc.) in danno di bravi artigiani.

La natura della Sardegna ha caratteri superstiti di primo livello - record di biodiversità - che dovremmo custodire con mille precauzioni, e invece da mezzo secolo è lasciata senza difese, aggredita nelle sue parti più pregiate, chissenefrega di di paesaggi sconvolti e continuità ecologiche interrotte.

Passeremo per guastafeste se diciamo al Mondo del nostro primato nella presenza di servitù militari, e dei 450mila ettari di aree avvelenate? Sui rischi di ulteriori inutili usi e consumi del suolo ? Magari per fare altre case al mare o per produrre energia da esportare con eccessi devastanti. Mentre avanza lo spopolamento che mette a rischio la tenuta di tanti territori privati di presìdi.

È eccessiva questa versione ? Meglio una rappresentazione attenuata, un adattamento per i tour operator? Sarà più conveniente - credo - dire e dirci la verità. D'altra parte Expo 2015 chiama le comunità “a interrogarsi sulla sostenibilità dei modelli economici, sociali, produttivi e scientifici adottati nel lungo periodo”.

Se si guardasse all'Expo solo per vendere pacchetti vacanze, pure con trailer raffinati, il racconto della Sardegna sarebbe banale, troppo somigliante a quelli che non ci piacciono. Senza cautele storico-antropologiche presenteremmo i sardi della caricatura, con i panni che ci vorrebbero vedere addosso. Per parlare ad una platea internazionale, meglio senza travestimenti che disturbano il confronto e impediscono di guardare avanti.

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