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Michele Prospero
Italicum, siamo uomini o marsupiali
23 Gennaio 2015
Articoli del 2015
La riforma Renzi-Berlusconi sfregia il parlamento: ballottaggio nazionale ed eletti dai capi partito sono un delirio antidemocratico del tutto sconosciuto in Europa.

Il manifesto, 23 gennaio 2014

Con l’approvazione dell’emen­da­mento di un sena­tore gio­vin ita­lico (non più turco) la par­tita delle riforme sem­bra pro­ce­dere per il governo con la pre­ve­di­bile speditezza. La cosa più stra­va­gante, sulla nuova legge elet­to­rale, l’ha pro­nun­ciata pro­prio il pre­si­dente del con­si­glio. Davanti ai suoi depu­tati in sub­bu­glio, ha detto che l’Italicum è così geniale, nella solu­zione dell’enigma della gover­na­bi­lità, che il crea­tivo con­ge­gno sarà pre­sto imi­tato in tutta Europa.

I mal­de­stri gover­nanti inglesi, che non sem­pre rie­scono a garan­tire il valore costi­tu­zio­nale della gover­na­bi­lità, cioè ad ulti­mare gli scru­tini con un vin­ci­tore sicuro rico­no­sci­bile la sera stessa dello spo­glio, faranno subito la fila al Naza­reno per com­prare la ricetta mira­co­losa e archi­viare il loro seco­lare, e piut­to­sto stu­pido al cospetto della sin­go­lare tro­vata toscana, for­mato mag­gio­ri­ta­rio uni­no­mi­nale, che non sem­pre dà il volto del gran trionfatore.

E così si appre­sta a fare anche la can­cel­liera Mer­kel. Depo­sta la teu­to­nica pre­sun­zione di suf­fi­cienza, per via di una decen­nale sta­bi­lità e gover­na­bi­lità supe­riori a quella di ogni altro sistema poli­tico euro­peo, la poli­tica tede­sca freme per appren­dere dalla pre­miata ditta Boschi-Verdini come si fa a vin­cere con cer­tezza e a dor­mire tran­quilli la sera stessa del voto, senza essere più appesi alle mano­vre per varare la grande coa­li­zione e quindi indotti al fasti­dioso rito delle migliaia di iscritti della Spd che devono dare la loro appro­va­zione al con­tratto di governo siglato.

Per non dire degli spa­gnoli o dei greci, che devono fati­care sovente per rac­ca­pez­zare sin­goli voti di sigle minori per garan­tire la fidu­cia a un governo malconcio. O dei vir­tuosi sta­ti­sti dei paesi nor­dici, che spesso dal con­teg­gio dei voti non sanno a chi toc­chi lo scet­tro e si affi­dano abi­tual­mente a lun­ghi governi di minoranza. E anche i fran­cesi tro­ve­ranno pre­sto il modo per sep­pel­lire il loro incerto mag­gio­ri­ta­rio uni­no­mi­nale a dop­pio turno e sosti­tuirlo con il sen­sa­zio­nale mag­gio­ri­ta­rio di lista esco­gi­tato al Nazareno.

Ora che l’Italicum ha sve­lato i sacri misteri della vit­to­ria certa, l’Europa può vol­tare pagina nella sto­ria delle isti­tu­zioni e acqui­stare a buon mer­cato il pre­zioso bre­vetto della governabilità. La vit­to­ria certa, da con­se­gnare al calar della sera, nel timore che i depu­tati siano chia­mati per espri­mere una mag­gio­ranza tra­mite le dina­mi­che seco­lari che sor­gono in aula, è però del tutto estra­nea alla logica del parlamentarismo.

Il vincitore è una possibilità, non un obbligo

La costru­zione mec­ca­nica di un vin­ci­tore, altera a tal punto la strut­tura del par­la­men­ta­ri­smo, che pre­fe­ri­bile sarebbe pas­sare, con il rigore neces­sa­rio e soprat­tutto i con­tro­po­teri richie­sti, all’incognita di una forma di governo pre­si­den­ziale piut­to­sto che for­zare in maniera così irra­zio­nale e costosa le com­pa­ti­bi­lità del regime par­la­men­tare sino a sfigurarlo.

L’obbligo della vit­to­ria fa incli­nare tutto il con­ge­gno com­pe­ti­tivo nella dire­zione della gover­na­bi­lità come arti­fi­cio e la rap­pre­sen­tanza perde qual­siasi rilievo fon­da­tivo del rap­porto poli­tico, è un mero con­torno inessenziale. Non è dalla rap­pre­sen­tanza che si esprime la fun­zione di governo ma è dalla posta­zione del governo, aggiu­di­cata da un capo di coa­li­zione, che si pro­cede alla riem­pi­tura della rap­pre­sen­tanza con nomi­nati ben retri­buiti ma desti­nati a un ruolo pas­sivo nella legislazione.

E’ evi­dente che una logica pre­miale, già di dif­fi­cile com­pren­sione nella sua con­fi­gu­ra­zione siste­mica, è comun­que ammis­si­bile come un ecce­zio­nale sup­porto for­zoso ad una ricerca di gover­na­bi­lità (in paesi fran­tu­mati e bloc­cati, senza ricam­bio), altri­menti non garan­tita, solo se com­pare come una pos­si­bi­lità. Cioè, fis­sata al 40 per cento l’opportunità di otte­nere un pre­mio in seggi, se il bonus non scatta, per­ché nes­suna lista ha var­cato la soglia pre­vi­sta, diventa una palese for­za­tura costrin­gere l’elettorato ad una seconda tor­nata, dove l’entità della par­te­ci­pa­zione peral­tro sfuma.

Se la pre­vi­sione di un dop­pio turno è effi­cace nei sin­goli col­legi per ampliare il radi­ca­mento ter­ri­to­riale del depu­tato che in astratto si separa dalla disputa nazio­nale per il governo, del tutto insen­sato diventa come cor­nice di una com­pe­ti­zione tra liste. La volontà del corpo elet­to­rale, in merito al pre­mio, può mani­fe­starsi nel primo pas­sag­gio elet­to­rale. Se gli elet­tori non hanno offerto un soste­gno espli­cito al par­tito mag­giore, è una cami­cia di forza alquanto impro­pria pre­ve­dere la costri­zione a dare comun­que il pre­mio attra­verso un bal­lot­tag­gio di lista.

Il premio può essere eventuale, non obbligatorio

Se poi il pre­mio otti­male dal punto di vista nume­rico è sti­mato dal legi­sla­tore al 15 per cento dei seggi (per­ché non si può gover­nare con il 50,1 per cento? Kohl aveva nel Bun­de­stag un solo voto di scarto), salta ogni rife­ri­mento a un incen­tivo ragio­ne­vole se viene rap­por­tato alla quan­tità di con­senso riscossa nel primo turno. Alla luce dei son­daggi odierni, il Pd avrebbe, in caso di suc­cesso al bal­lot­tag­gio, un pre­mio di oltre il 20 per cento, il M5S del 35 per cento e Forza Ita­lia del 40 per cento.

Le distor­sioni del prin­ci­pio di rap­pre­sen­ta­ti­vità, e la can­cel­la­zione della pari influenza delle sin­gole espres­sioni di voto, restano evi­denti. Nell’Italicum, le liste con ripar­ti­zione dei seggi sta­bi­lita a livello nazio­nale sono evo­cate per tra­scen­dere i col­legi, e il capo di coa­li­zione, inve­stito del supremo comando, è intro­dotto per ren­dere irri­le­vanti le liste.

Nel modello per­si­stente di una inve­sti­tura del lea­der o sin­daco d’Italia, il par­la­mento non deve in alcun modo esal­tare la sua auto­no­mia fun­zio­nale di organo di con­trollo e di indi­rizzo. Con­nessa a tale voca­zione all’opacità del ruolo del par­la­mento, è la stroz­za­tura di ogni nesso tra depu­tato ed elet­tori, tra col­legi e territori. Il capo vin­ci­tore crea la rap­pre­sen­tanza, e una schiera di nomi­nati fa da scudo alla sua volontà di potenza. L’anomalia di un governo costi­tuente, che si crea la legge elet­to­rale per vin­cere, e la con­fe­ziona secondo un cal­colo di imme­diata con­ve­nienza, è dav­vero un uni­cum in demo­cra­zie di un qual­che pregio.

La gran fretta di appro­vare la legge elet­to­rale prima dell’elezione del capo dello Stato (e quindi anche dell’opportunità di un suo pre­li­mi­nare vaglio di costi­tu­zio­na­lità) svela una pre­oc­cu­pante caduta del ren­di­mento demo­cra­tico di isti­tu­zioni sfre­giate a colpi di canguro.

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