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Beppe Severgnini
I nostri giovani ora sapranno cos’è l’Europa
12 Gennaio 2015
Articoli del 2015
Piacerebbe pensare che le eccellenze del potere formale, oltre a deprecare i danni degli attentati parigini, riflettano sulle ragioni della disperazione dei popoli, humus dal quale nascono terroristi.

Corriere della Sera, 12 Gennaio, 2015

Ventenni e trentenni ieri si sono resi conto che l’Europa libera non è un gentile omaggio: qualcuno l’ha costruita per loro, ora devono mantenerla. Devono mantenerla con amore e precisione. Senza intolleranza, ma con intransigenza. Questa è la loro guerra. Una guerra lunga, che dovranno combattere con intelligenza, pazienza, fermezza.

Erano molti, ieri nelle strade di Parigi, i nuovi Europei. Nati dopo il 1980, informati e connessi, con una debolezza, forse: pensare che la pace fosse per sempre. Che una volta conquistata, la si potesse amministrare, come un condominio. Non è così: ogni generazione deve meritarsi la sua pace.
Quella contro il totalitarismo religioso, e per la libertà, è la guerra dei nostri figli. Una guerra a puntate, coma ha intuito papa Francesco. La prima l’11 settembre 2001; la più recente a Parigi, nei giorni scorsi. E non sarà l’ultima, purtroppo. Gli americani hanno i Millennials; noi, la generazione Erasmus. Una generazione per cui l’Europa è viaggi, studi, amori, scambi, comunicazioni. Una generazione amareggiata per il lavoro che spesso non c’è; ma fortunata, per quello che ha potuto fare, vedere e condividere. Una generazione cui, forse, mancava una grande prova. È arrivata.
La generazione dei nostri padri ha sofferto le grandi dittature europee, e le ha viste implodere, una dopo l’altra. La nostra generazione ha conosciuto da vicino il comunismo e l’ha osteggiato, quando l’ha capito. La generazione dei nostri figli si trova di fronte a una sfida completamente nuova. Ce la farà, a disinnescare l’attacco del fondamentalismo? Probabilmente sì. E ci insegnerà qualcosa. Le piazze non vanno mai sopravvalutate: il giorno dopo sono ridotte a fotografie e cartacce che volano. Ma quello che si è visto ieri a Parigi era impressionante. Una città - in rappresentanza di un Paese, di un continente e del mondo libero - che diceva: basta così. Queste sono le nostre trincee politiche, giuridiche, morali, mentali. Non si uccide per un’opinione o un disegno, magari sgradevole. Nessuna religione, nessuna convinzione, lo autorizza. Chi sostiene il contrario non è un dissidente: è un assassino.
Affermazioni ovvie? Certo. E allora perché abbiamo aspettato tanto a pronunciarle, tutti insieme? A mettere un po’ di orgoglio nella difesa della società che abbiamo costruito, un’area di libertà senza uguali sul pianeta? Non è ingenuo pensare che la nuova, giovane Europa abbia capito la lezione. L’abbia capita nel modo più duro, e ce la stia già insegnando. Vedere cinquanta capi di Stato e di governo tutti insieme, uniti in nome della libertà e non impegnati a litigare sul deficit al 3%, è consolante. Quelle foto di gruppo le abbiamo viste sulle spiagge della Normandia, davanti alle trincee nelle Ardenne, in visita ai campi di concentramento. Stavolta i nostri leader erano insieme contro i nemici della libertà, attaccata in nome di una religione.
Con loro a Parigi hanno sfilato, in silenzio, due milioni e mezzo di persone. Ognuna, ci auguriamo, ne rappresentava altre duecento: tanti siamo, in Europa, da Lisbona a Tallin. Cinquecento milioni. Siamo diversi, abbiamo governi e tradizioni diverse, ma anche un evidentissimo comun denominatore. Avendo provato - ed esportato - l’orrore delle dittature, da settant’anni crediamo nella democrazia, nella libertà di espressione, nello Stato di diritto. I governi che provano a discutere questi principi vengono tenuti ai margini (Turchia) o guardati con sospetto (Ungheria).
La bellezza della salute si capisce dopo una malattia. La normalità quotidiana si apprezza dopo un brutto incidente. L’Europa, dopo l’eccidio di Parigi, capirà che cos’ha rischiato dividendosi, distraendosi, ingannandosi? Forse sì. E lo capirà - ripetiamo - perché la maggioranza dei nuovi europei inizia a capirlo. In piazza a Parigi, a scuola a Milano, in ufficio a Londra, nei bar di Varsavia e Madrid. Ventenni e trentenni si sono resi conto che l’Europa libera non è un gentile omaggio: qualcuno l’ha costruita per loro, ora devono mantenerla. Come ogni casa. Come ogni cosa.
Devono mantenerla con amore e precisione. Senza intolleranza, ma con intransigenza. Non sono sinonimi, i due vocaboli. L’intransigenza è la qualità dei forti; l’intolleranza la scusa dei deboli. Gruppi e personaggi che, a preoccupazioni giuste, danno risposte sbagliate. Da una parte, gli ortodossi del multiculturalismo, convinti che tradizioni e religioni stiano sopra la legge. Dall’altra, teologi del fine settimana, per cui la fede islamica è incompatibile con la democrazia. Populisti aggressivi che sognano espulsioni di massa. Guerrafondai da scrivania che ripropongono, anni dopo, le ricette fallimentari dei neocon americani.
Stiamo in guardia: non lasciamoci ingannare. Non è dichiarando guerra al mondo che il mondo si conquista. È invece stabilendo buone regole, rispettandole e facendole rispettare. È la scommessa della giovane Europa. La vincerà.
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