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Salvo Salerno
Sicilia: «La politica si impadronirà definitivamente dell’intera Regione»
31 Dicembre 2014
Beni culturali
Continua in Sicilia la distruzione del governo pubblico delle Soprintendenze: la cronaca di Marina De Michele e l'intervista a Salvo Salerno che denuncia il sistema drogato dell'amministrazione pubblica «Sono tutti intercambiabili, nessuno necessario, l'unico requisito lo dà il politico».

Lacivettapress.it, 30 e 31Dicembre 2014 (m.p.r.)

CIRCOLARE CHOC DEL DIRIGENTE BB.CC.
GLI ATTI IN USCITA SPETTANO AL SOPRINTENDENTE

di Marina De Michele

La rivoluzione di Rino Giglione: le pratiche, prima firmate dai dirigenti e vistati dal vertice, ora competono solo al Capo. In questo modo, con mano libera sulle nomine di sole dieci persone, la politica si impadronisce di un settore delicatissimo della Sicilia.

Il Dirigente Generale dei Beni Culturali, Rino Giglione, è uomo d’azione; e neppure il gravoso compito di dover assolvere a due incarichi - seppure, a quanto pare, in barba alla legge Severino - gli impedisce di mettere in atto una sua vera e propria rivoluzione nel sistema regionale dei Beni Culturali. Mentre da un lato “normalizza” la Soprintendenza di Siracusa, prima con la rimozione del Soprintendente e poi con la “rotazione” dei dirigenti… sospetti (sono difesi nientemeno che dagli ambientalisti!), dall’altro infligge un duro colpo alla già residuale autonomia tecnica delle Soprintendenze dell’isola.

Nella circolare 21, il Dirigente Generale declina la propria personale interpretazione della legge 10 del 2000 (sulla dirigenza) e della Legge Severino (di cui, si direbbe con qualche dimenticanza, è convinto assertore). Dalle pieghe di un involuto ragionamento reso nel più faticoso burocratese, una disposizione emerge chiara: l’obbligo per i Soprintendenti, da ora in avanti, e in contrasto con quanto sostenuto da tutti i suoi predecessori, di firmare gli atti in uscita non per “visto” ma per piena ed esclusiva assunzione di responsabilità, anche nel merito del contenuto tecnico dei provvedimenti.

Questione di lana caprina, si dirà; non era così anche prima? Non era indispensabile la firma del Soprintendente perché un atto in uscita assumesse rilevanza esterna? Non proprio: e la differenza non è di poco conto. Fino ad oggi, e con tanto di autorevoli circolari sull’argomento, la responsabilità del contenuto tecnico del provvedimento, e di conseguenza la firma, si attestava al dirigente dell’unità operativa competente, nella qualità di responsabile del procedimento; il “visto” del Soprintendente attestava l’attività di controllo e di coordinamento dell’ufficio, e conferiva efficacia esterna all’atto.

Quindi il Soprintendente non aveva alcuna voce in capitolo sul contenuto tecnico (per intenderci, e a titolo di esempio: il rilascio di un’autorizzazione oppure no, e le motivazioni relative)? Non del tutto. Veniva riconosciuta al Soprintendente la facoltà di sostituirsi al dirigente nella produzione del contenuto tecnico dei provvedimenti, ma solo in via eccezionale e in due casi ben definiti: inerzia o motivato dissenso. Vale a dire, qualora il dirigente non adempisse all’obbligo di emanazione di un atto di propria competenza, oppure il contenuto dell’atto non fosse condiviso dal Soprintendente nel merito tecnico. In tal caso però, si imponeva una procedura formale: un provvedimento di avocazione dell’atto, contenente le motivazioni della mancata condivisione, inviato anche al Dirigente Generale, che ne controllava la correttezza.

Quindi, ogni provvedimento era in realtà il frutto di una responsabilità condivisa e di un indispensabile confronto nel merito; e, in ogni caso, la limitazione del potere di avocazione da parte del Soprintendente costituiva una forma di garanzia dell’autonomia tecnica del dirigente, assicurando nel contempo al Soprintendente la possibilità di correzione di eventuali anomalie di funzionamento dell’ufficio.

Oggi, la situazione è diversa. L’aver accentrato nel Soprintendente tutta la responsabilità, sia tecnica che amministrativa, dell’atto decisorio gli conferisce una straordinaria autonomia rispetto al dirigente, dalle cui decisioni può discostarsi senza più la necessità di procedere ad un formale atto di avocazione. Non è, come si potrebbe pensare, una questione di tecnicismo burocratico né semplicemente una diminuzione del ruolo del dirigente di unità operativa. Di fatto, la Soprintendenza non viene più intesa come un organismo complesso, che assomma diverse specificità tecniche, e in cui la responsabilità tecnico-scientifica degli atti non può che ricadere in capo alle diverse strutture competenti per materia; di fatto, essa si trasforma in un ufficio monolitico, con un unico vertice decisorio.

Tutto, in ultima analisi, ricade e si attesta al Soprintendente. Come ai vecchi tempi, si dirà; ma allora le Soprintendenze erano tematiche (e quindi non c’era pericolo che un soprintendente architetto dovesse occuparsi di scavi archeologici o un bibliografo di restauro architettonico) e quando, soprattutto, i Soprintendenti divenivano tali per concorso; con tanto di titoli, punteggi prestabiliti e regole certe.

Oggi, il sistema di reclutamento dei vertici delle Soprintendenze, grazie alle innovazioni della legge 10 del 2000, è sotto gli occhi di tutti. Titoli e curriculum non sono più che parole vuote, e la discrezionalità che la sciagurata legge consente ha trasformato ogni giro di nomine in un’arena in cui si azzuffano politici di ogni risma, per piazzare i propri candidati. E adesso, il gioco è fatto: chi riuscirà a far insediare al vertice di una Soprintendenza il proprio uomo avrà in mano un’intera provincia. E lo stesso Soprintendente che volesse conservare una sua autonomia tecnica nei confronti della politica, dovrà affrontare in toto e da solo le conseguenze di eventuali decisioni scomode alla politica, senza potersi far forte della condivisione delle scelte con i dirigenti del suo ufficio; e sarà quindi più debole e ricattabile.

Con la mano libera sulle nomine di sole dieci persone, la politica si impadronirà definitivamente dell’intera Regione; mare compreso (e così la finiamo anche con questi medievali no alle trivellazioni nel Canale di Sicilia!)

“TRA I DIRIGENTI UN GEOLOGO ALLA GUIDA DEL CONTENZIOSO, UN FILOSOFO ALL'AMBIENTE …”
Intervista di Marina De Michele all'avvocato Salvo Salerno

L’avv. Salvo Salerno: “Sono tutti intercambiabili, nessuno necessario, l'unico requisito lo dà il politico. Vengono nominati senza i requisiti in dispregio di parte della legge 1. E’ un sistema drogato, vera causa dell’inefficienza amministrativa dilagante”

L'avvocato Salvo Salerno è rappresentante sindacale per la Funzione Pubblica - Area della Dirigenza della Cgil e dirigente regionale, consigliere dell'Ufficio Legislativo e Legale della Regione, fino a poche settimane fa responsabile dell'Ufficio legale dell'Azienda Foreste Demaniali.

Da tempo rappresenta una voce critica, per lo più erroneamente inascoltata, sulle problematiche di una dirigenza regionale 'infeudata' come lui la definisce, caratterizzata da una mobilità e premialità frutto del mero 'padrinaggio' politico. Risale a due anni fa un suo articolato intervento sul tema della 'delegittimazione' dei dirigenti nell'era Crocetta che si può supporre essere stato tra le cause, insieme al suo parere negativo sulla riforma Caltabellotta della forestale, per le quali ha successivamente perso l'incarico di responsabile dell'ufficio legale.

Avvocato, ci fa comprendere cosa accade alla Regione Sicilia?
La Legge 15 maggio 2000 n. 10, pur non sempre a torto indicata come la causa principale del collasso della dirigenza regionale, è stata disattesa dalla classe politica anche nelle sue previsioni più positive e strategiche. Pensiamo al Ruolo Unico (art. 6) che, in sostituzione delle vecchie tabelle professionali, ora racchiude tutti i dirigenti. In tale bacino l'Amministrazione avrebbe dovuto pescare i dirigenti da incaricare, e con cui stipulare i relativi contratti di incarico (art. 9), in una logica aperta di incontro della domanda e offerta delle prestazioni dirigenziali.

Dove si è voluto creare il black out da parte dei governi Cuffaro, Lombardo e Crocetta? Semplice! In un espediente solo apparentemente secondario e cioè nella mancata attuazione della seconda parte dell'articolo 6 che espressamente prevede che il Ruolo Unico sia "articolato in modo da garantire la necessaria specificità tecnica e/o professionale anche ai fini dell'attribuzione degli incarichi in relazione alle peculiarità delle strutture… e per promuovere la mobilità e l'interscambio professionale degli stessi [dirigenti]… tra amministrazioni…”. Niente suddivisione del Ruolo Unico in sezioni tecniche e professionali quindi, e i profitti malsani sono arrivati puntuali e copiosi per la politica.

Vuole chiarire?
Senza distinzione dei dirigenti secondo le qualità tecniche e professionali ai fini dell'attribuzione dell'incarico, succede che tutti insieme i dirigenti vadano bene per qualsiasi incarico. Salta il meccanismo selettivo dell'articolo 9 che subordina l'incarico al possesso anche del requisito professionale e nessun confronto di titoli e meriti è così più necessario per il conferimento dell'incarico. Decide solo il politico, cioè il Presidente e l'Assessore, attraverso il loro strumento diretto che è il Dirigente Generale. Capita così di vedere un geologo alla guida di un Ufficio del Contenzioso, un filosofo di quello ambientale, un legale dell'agricolo e così via. Tutti intercambiabili, nessuno necessario, l'unico requisito lo dà il politico.

Ma Crocetta in un'intervista del 6 settembre a La Repubblica si è lamentato di non poterli mandare via e di non potersi avvalere di un numero ancor maggiore di esterni!
Crocetta dimentica di dire di aver contribuito, con i suoi predecessori, a drogare il sistema. Una volta incaricato e insediato, quel dirigente acquisirebbe "sul campo" (parole dello stesso governatore) i requisiti non posseduti e pertanto, da quel momento, diventa idoneo all’incarico stesso. Così una pedagogista, neppure dipendente regionale, diventa Segretario generale della Regione, o un geometra, senza essere dirigente, diventa capo di uno dei più grossi enti regionali, e ancora un ingegnere si permette di far scrivere a un agronomo le direttive sul contenzioso, sebbene disponga di un legale, e potrei continuare. Ecco la vera causa dell’inefficienza amministrativa dilagante.

La Corte Costituzionale, con sentenza del 5 febbraio 2010 (la n° 34), ha dichiarato l'illegittimità dello spoil system dei dirigenti intermedi. Se ne tiene conto alla Regione?
No. Il particolare legame tra l'assessore, e naturalmente il gruppo politico che su di lui ha investito, e il dirigente "liberamente" nominato può far sì che quest'ultimo orienti la propria azione non più all’applicazione oggettiva della legge, secondo il principio dell'imparzialità e del servizio alla Nazione (artt. 97 e 98 della Costituzione), ma secondo altri criteri, facilmente deducibili. Anche per questo è possibile che un dirigente generale - non importa se bravo o meno -, disinteressandosi delle norme sul procedimento amministrativo o sulle procedure contrattuali, possa rimuovere come birilli i dirigenti sottordinati non funzionali all'obiettivo politico. O che a un archeologo prestigioso possa essere preferito un architetto, nella guida della Soprintendenza archeologica più importante. Naturalmente una gran mole di titoli professionali "spazzatura" è l'ulteriore conseguenza di un tale sistema drogato che così si alimenta di continuo. Perché è ovvio che il dirigente "fidato" accumula incarichi che poi spenderà nel suo curriculum per conseguire sempre nuovi incarichi. Persino l'avvio, oggi, di una procedura formalmente rigorosa e trasparente di selezione dei nuovi incarichi in base ai titoli finirebbe così per premiare proprio i dirigenti più infedeli alla Costituzione e più fedeli ai potenti di turno.

E cosa ne è stato dei dirigenti regionali "originali" entrati per concorso pubblico per esami?
Per lo più penalizzati. Oggi, per colpa della politica, il numero dei dirigenti regionali, tra puri e "spuri", è balzato al numero di quasi 1800 unità, il 95 % dei quali è parcheggiato in "terza fascia", mentre la prima fascia - quella che dovrebbe esprimere i dirigenti generali - contempla solo due unità e la seconda - che dovrebbe fare da base per la prima - ne contempla solo 42, tra cui però soggetti che non hanno mai sostenuto un concorso, che sono entrati silenziosamente provenendo da altri e diversi enti o da “particolari” enti. Risultato: tutti in terza fascia, compresi gli attuali dirigenti generali, che una sentenza recente del TAR Palermo (15/05/2014 N. 01244) ha praticamente dichiarato abusivi, proprio perché in terza fascia!

Una panoramica devastante: è possibile uscirne, trovare una scappatoia?
Intanto fare ordine partendo dalla sterilizzazione dei titoli dirigenziali formatisi grazie agli incarichi politici (incarichi commissariali, nei Gabinetti, nelle Partecipate etc.), dall'azzeramento degli attuali dirigenti generali e dalla verifica di tutte le posizioni dirigenziali di seconda e terza fascia con espulsione dalla seconda fascia dei dirigenti non entrati nella Regione grazie a un concorso pubblico per esami. In seconda fascia andrebbero quindi inseriti solo i dirigenti regionali che possano dimostrare il superamento di un concorso pubblico per esami ai ruoli di dirigente e non di funzionario. I dirigenti "scartati" potrebbero essere mantenuti in terza fascia ad esaurimento. Per loro solo la partecipazione ad un apposito concorso per esami, e non per soli titoli, dovrebbe eventualmente aprire le porte della seconda fascia.

Alla luce di questa nuova configurazione, dovrebbero poter accedere alla prima fascia solo i dirigenti di seconda fascia che possano documentare competenze, titoli e preparazione per gli incarichi apicali. Solo da qui gli incarichi di dirigente generale. Sarebbe necessaria anche la riduzione drastica dei dirigenti generali "esterni" ai soli casi di documentata indisponibilità di professionalità interne. I dirigenti generali esterni possono avere una certa utilità nel management delle società partecipate, ma se impiegati nell'amministrazione pubblica diretta, risultano spesso deleteri perché non dotati del senso della terzietà e, come tutti gli operatori privati, la loro azione risponde non alla Nazione ma all’interesse di parte, quando non anche personale.

Ovviamente a monte di questo "utopistico" sistema perfetto, sarebbe indispensabile l'istituzione di organismi veramente indipendenti di valutazione dei dirigenti e la rifondazione della ricerca e formazione di eccellenza in ambito pubblico, sostenendo enti e organi regionali che svolgono tali funzioni, quali ad esempio il CERISDI e l'OPCO, presso i quali distaccare i dirigenti regionali per sessioni seminariali e/o periodi formativi, nonché la celebrazione di nuovi concorsi pubblici per esami, una volta attuati i punti precedenti.

Ma il cosa fare è un preciso obbligo morale per una politica che voglia dirsi e ritenersi effettivamente diversa. Lei crede davvero che oggi sia possibile un cambiamento?

Riferimenti

Si veda su eddyburg di Giuseppe Palermo Soprintendenze e tentativi di epurazione: prove generali in Sicilia?

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