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Emanuele Piccardo
Renzo Piano e la città messa ai margini della vita quotidiana
30 Dicembre 2014
«Affron­tare la peri­fe­ria solo con lo sguardo dell’architetto è un pec­cato ori­gi­nale che ne impe­di­sce una let­tura com­plessa e articolata. Un intervento sul progetto Periferie di Renzo Piano. La riqualificazione di alcuni quartieri di Roma, Catania e Torino che ignora programmi già operativi e le richieste degli abitanti».

Ilmanifesto.info, 30 dicembre 2014 (m.p.r.)

Sono vent’anni che urba­ni­sti, archi­tetti, socio­logi, si inter­ro­gano sulle sorti della peri­fe­ria ita­liana senza tro­vare solu­zioni accet­ta­bili che ne miglio­rino le con­di­zioni. La «poli­tica» con­si­dera i quar­tieri di edi­li­zia pub­blica solo come bacino elet­to­rale, usa parole ina­de­guate per con­fron­tarsi con le istanze, sacro­sante, degli abi­tanti, impe­dendo di fatto a chiun­que di pro­porre solu­zioni pro­get­tuali ade­guate. Poi nel 2013 Napo­li­tano nomina sena­tore a vita un archi­tetto: Renzo Piano. Come prima azione del suo man­dato attiva il pro­getto del «ram­mendo» della peri­fe­ria ita­liana, dove coin­volge un gruppo di gio­vani archi­tetti seguiti da tutor per lavo­rare su tre casi: Torino, Cata­nia, Roma.

L’idea ini­ziale con­si­ste nel ricu­cire, attra­verso fun­zioni pub­bli­che, il tes­suto diso­mo­ge­neo e fram­men­ta­rio delle peri­fe­rie ita­liane. Pur­troppo que­sta inten­zione di buona volontà non si attua come ci si aspet­tava. Se da una parte gli archi­tetti hanno deter­mi­nato la peri­fe­ria odierna, brac­cio armato di una poli­tica incom­pe­tente e arre­trata cul­tu­ral­mente, dall’altra cer­cano di rime­diare pro­po­nendo vie di fuga dal degrado sociale e spa­ziale. È sba­gliato e pre­sun­tuoso pen­sare che l’architettura da sola rie­sca a sal­vare la peri­fe­ria, occorre che la poli­tica inter­preti i desi­deri e i biso­gni dei cit­ta­dini senza dema­go­gia. Ser­vono soldi e idee. Sui soldi Renzi ha messo a dispo­si­zione 200 milioni di euro per il «ram­mendo», un ter­mine con­so­la­to­rio da vec­chia nonna con nipoti un po’ riot­tosi (i periferici).

Il pro­getto Peri­fe­rie ela­bo­rato da Piano è stato pre­sen­tato come un qual­cosa di sal­vi­fico, invece è una ope­ra­zione media­tica che non solo non risolve i pro­blemi, ma non con­si­dera nem­meno i pro­getti ante­ce­denti che sono stati fatti sulla peri­fe­ria, un impor­tante archi­vio di idee da cui par­tire. I costi soste­nuti per l’operazione par­lano chiaro: 96.998 per i com­pensi dei gio­vani pro­get­ti­sti, 25mila euro per rim­bor­sare i loro viaggi, quelli dei tre tutor e di 11 con­su­lenti. In tutto il 2014 si è chiuso con una per­dita, rispetto ai 153.641 euro dello sti­pen­dio da sena­tore a vita, di 62.759 euro (fonte Il Sole 24 ore). Forse con le stesse cifre si poteva pro­durre di più. Da un archi­tetto della bra­vura di Piano ci si poteva aspet­tare un’azione par­la­men­tare per far appro­vare la legge sulla qua­lità dell’architettura, in iti­nere dal 1998, o linee guida per il recu­pero delle peri­fe­rie avendo una visione glo­bale del pro­blema. Invece ci tro­viamo con ana­lisi super­fi­ciali dei luo­ghi, senza com­pren­dere quali siano i reali pro­blemi, con esiti banali e scon­tati dei pro­getti presentati.

Al di là dell’architettura, il pro­cesso di miglio­ra­mento della peri­fe­ria non può avve­nire senza un chiaro pro­getto poli­tico. La poli­tica deve ren­dersi conto che sono mutate le esi­genze delle comu­nità, occorre inse­rire nuove fun­zioni nei quar­tieri (ska­te­park, spazi per con­certi, pale­stre, biblio­te­che, verde pub­blico, tea­tri), pen­sare a forme di dira­da­mento degli edi­fici esi­stenti cam­bian­done la tipo­lo­gia. Non è un caso che lad­dove ci sia una esten­sione in oriz­zon­tale degli alloggi e minor numero di per­sone, i con­flitti siano molto minori. All’opposto, nei sistemi edi­lizi inten­sivi come Tor Bella Monaca o Tor Sapienza, il con­flitto nasce dall’assenza di spa­zio e dalla sovrap­po­si­zione dei nuclei fami­gliari misce­lando lega­lità con ille­ga­lità nella spe­ranza che fac­ciano comu­nità. Qui sta l’errore sto­rico della poli­tica che usa lin­guaggi vec­chi e obso­lete pra­ti­che ope­ra­tive, igno­rando i desi­deri degli abi­tanti. Per com­pren­dere meglio una pos­si­bile via di fuga c’è un inte­res­sante stu­dio del 2004 sulle peri­fe­rie fran­cesi rea­liz­zato dagli archi­tetti Laca­ton e Vas­sal, del quale sono stati rea­liz­zati tre pro­getti. Il pro­getto con­si­ste nella ristrut­tu­ra­zione degli edi­fici costruiti negli anni Set­tanta, ridu­cendo il con­sumo ener­ge­tico, ridi­se­gnando le fac­ciate per ren­derle più armo­ni­che, modi­fi­cando le piante degli alloggi e inse­rendo nuove fun­zioni comuni.

Nel caso Roma del gruppo G124 (il cui nome deriva dal numero della stanza del senatore-architetto), il pro­getto riguarda il sot­to­via­dotto della tran­via che doveva col­le­gare Saxa Rubra alla Lau­ren­tina. L’esito pro­get­tuale, che scim­miotta i pro­getti del col­let­tivo di artisti-architetti Stal­ker (attivi dal 1995 e autori del pro­getto Osser­va­to­rio Nomade al Cor­viale con buoni esiti pro­get­tuali) è il col­lo­ca­mento di due con­tai­ner (al cui interno sono pre­vi­sti un labo­ra­to­rio urbano e uno spa­zio per la manu­ten­zione del micro parco) una serie di gomme-fioriere, pal­let rici­clati come pavi­mento, con l’intenzione di ricreare uno spa­zio «pub­blico». Un approc­cio discu­ti­bile di fronte ad un pro­blema sto­rico della mobi­lità tra il quar­tiere e il resto della città, dove il vero pro­getto poteva essere, come dalla deli­bera di ini­zia­tiva popo­lare (11mila firme rac­colte) rati­fi­cata dal con­si­glio comu­nale nel feb­braio 2006, il com­ple­ta­mento della tran­via. Ma ancora più sto­nata è l’idea di ricon­ver­tire il sedime della tran­via in una pista cicla­bile, quando dall’altra parte della strada c’è il mera­vi­glioso parco delle Sabine tutto da ripensare.

Nel quar­tiere Librino a Cata­nia pro­get­tato su piano di Kenzo Tange (1970) erano pre­vi­sti ser­vizi sociali e spazi pub­blici, immersi nel verde, che ogni archi­tetto aveva pro­get­tato in ogni quar­tiere della peri­fe­ria ita­liana, fin dal periodo Ina-Casa. Ma come sem­pre non erano stati rea­liz­zati tra­sfor­mando in poco tempo il quar­tiere, com­plice il solito mine­strone di pro­blemi, in un ghetto sociale. Qui il G124 indi­vi­dua ancora il verde quale ele­mento cen­trale della pro­po­sta, ma da solo non può reg­gere l’assenza di spazi e poli­ti­che per la comu­nità. Anche a Cata­nia si dimen­tica il grande lavoro svolto, fin dal 2002, da Anto­nio Pre­sti, che ha inne­scato un pro­cesso di rin­no­va­mento iden­ti­ta­rio di Librino attra­verso un nuovo imma­gi­na­rio defi­nito dagli arti­sti visivi. Quello che si vuole segna­lare è il totale disin­te­resse da parte di Piano per chi, come Pre­sti, Stal­ker e molti altri hanno fatto espe­rienze nella peri­fe­ria con buoni risul­tati. Affron­tare la peri­fe­ria solo con lo sguardo dell’architetto è un pec­cato ori­gi­nale che ne impe­di­sce una let­tura com­plessa e articolata.

Infine nel caso tori­nese le dimen­ti­canze riguar­dano il pro­getto Peri­fe­rie del Comune di Torino (1997–2005) all’interno del pro­gramma Urban II dell’Unione Euro­pea che, tra gli altri, ha coin­volto il quar­tiere di Mira­fiori. Lì l’associazione a.titolo ha rivi­ta­liz­zato il quar­tiere con opere degli arti­sti Lucy Orta, Mas­simo Bar­to­lini, Ste­fano Arienti, Clau­dia Losa, all’interno del pro­getto della Fon­da­tion de France «Nou­veaux Com­man­di­taire». Un pro­getto di media­zione tra arti­sti e comu­nità, dove l’artista invi­tato rea­lizza un’opera per­ma­nente che rimane nel quar­tiere. Nel caso tori­nese gli arti­sti hanno costruito spazi archi­tet­to­nici. Invece il G124 ha ana­liz­zato la Bor­gata Vit­to­ria par­tendo da un parco. L’esito. un work­shop sulla città bene comune, appare ancora una volta debole evi­den­ziando come il pro­getto di recu­pero di un quar­tiere non possa basarsi uni­ca­mente sul verde pubblico.

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