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Gianni Barbacetto
Expo 2015 e poi? Cercasi benefattore per aree e padiglioni
21 Agosto 2014
Milano
Chi riuscirà a diventare più ricco e potente sfruttando gli errori compiuti da amministratori pubblici incapaci e impunibili? Non c’è che da aspettare e vedere.

Chi riuscirà a diventare più ricco e potente sfruttando gli errori compiuti da amministratori pubblici incapaci e impunibili? Non c’è che da aspettare e vedere. Il Fatto quotidiano, 21 agosto 2014

Cercasi masochista con fisico bestiale, grande pazienza e soprattutto tanti soldi, per lavare il peccato originale di Expo. È stato lanciato il bando per il dopo-Expo: l’esposizione, bene o male, si farà; tutta da decidere è invece la sorte dell’area, dopo che nel 2016 saranno smontati i padiglioni. Che cosa farne? Arexpo, la società pubblica che ha comprato i terreni e li ha messi a disposizione di Expo Spa, ora deve trovare a chi rivenderli, per far rientrare i soldi sborsati dai soci (Comune di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Fiera, Provincia di Milano, Comune di Rho) e prestati dalle banche. Ecco dunque il bando preparato da Arexpo che lancia una gara pubblica per scegliere il compratore. Le offerte dovranno essere consegnate entro il 15 novembre 2014. Una commissione indipendente sceglierà la migliore entro il 30 novembre.

Non ci sarà, prevedibilmente, una folla di pretendenti né una corsa per arrivare primi. Perché le condizioni sono buone per il bene comune, ma praticamente improponibili per un privato. Secondo il bando, avrà l’area l’operatore (o il gruppo di operatori) che ci metterà almeno 315,4 milioni di euro, non un centesimo di meno, gradita qualche cosa in più. Poi però non potrà farci quello che vuole: dovrà lasciare a parco metà dell’area (440 mila metri quadrati); quanto al resto (480 mila metri quadrati, comunque sufficienti a costruirci l’ennesimo quartiere), dovrà edificare il meno possibile, mischiando residenza, uffici, spazi produttivi e negozi (ma non un grande centro commerciale: al massimo 2500 metri quadrati). Preferite opere di uso pubblico, tipo il nuovo stadio del Milan, la cittadella dello sport, un nuovo centro di produzione della Rai e attività che abbiano a che fare con il tema Expo, cioè il cibo, l’agricoltura, l’ambiente.

Non solo: dovrà pure aspettare che, nel 2016 o nel 2017, siano i Consigli comunali di Milano e Rho ad approvare – se e come vorranno – i piani urbanistici. Più che un operatore, si cerca un santo. Disposto a lavare a sue spese il peccato originale di Expo: quello di essere stato localizzato (dall’ex sindaco Letizia Moratti e dall’ex presidente Roberto Formigoni) su un’area privata. Pagata a caro prezzo da Comune e Regione, con la necessità, a cose fatte, di far rientrare i soldi (nostri). Si poteva fare su un terreno pubblico? Sì: sull’area Porto di Mare, o alla Bovisa. Invece Formigoni ha imposto quell’area sbilenca a nord-ovest di Milano chiusa tra due autostrade, il carcere di Bollate e il cimitero di Musocco. Perché? Perché era in gran parte della Fondazione Fiera (ai tempi della scelta controllata dai ciellini formigoniani) che aveva i conti in rosso: con l’operazione Expo li ha sistemati.

A questo proposito, bisogna dire che alla conferenza stampa di presentazione del bando si è distinto proprio il rappresentante della Fiera, Corrado Peraboni (ieri leghista, oggi forse ex leghista, sempre certamente peraboniano). Mentre il vicesindaco di Milano, Ada Lucia De Cesaris, si è laicamente appellata all’ottimismo della volontà (abbiamo ereditato questa situazione, dobbiamo cercare di uscirne vivi) e il presidente della Regione Roberto Maroni ha fatto trapelare un certo distacco (stiamo a vedere che cosa succederà), Peraboni è venuto a farci la morale, sostenendo che deve prevalere l’interesse pubblico: proprio lui che rappresenta la Fondazione che è all’origine di questo pasticcio e che, in pieno conflitto d’interessi, ha venduto a se stessa (in quanto socio di Arexpo) le sue aree per rimettere in sesto i conti disastrati. È come se Diabolik facesse uno spot contro i furti di diamanti. O se Schettino fosse chiamato, che so, a far lezione all’università.

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